• 10/06/2021

Campobasso a colori

Il capoluogo oggi ha acquistato un bel colorito che rende meno triste l’atmosfera nelle grigie giornate del lungo inverno 

di Francesco Manfredi-Selvaggi

6 ottobre 2021

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L’ultimo arrivato dei murales, anche se riguardando un pavimento non si dovrebbe chiamare murale, è la segnaletica stradale con una allegra ridipintura delle strisce pedonali. La street art acquista così una dimensione orizzontale. Se non ci fosse stata la scoperta di ritrovati chimici coloranti non si sarebbe potuta avere l’esplosione dell’arte di strada. La nostra città oggi ha acquistato un bel colorito che rende meno triste l’atmosfera nelle grigie giornate del lungo inverno di queste parti.

Campobasso si è colorata, ma non si è messa un abito in tinta unita, bensì policromatico. Non è stata, comunque, solo la nostra città a volersi dare una veste a colori, perché è invalso l’uso di colorare gli ambienti urbani un po’ dappertutto. Vi è stato nel mondo contemporaneo una forte affermazione del colore. Si è detto volutamente contemporaneo e non moderno, perché l’architettura moderna, quella “razionalista”, non correnti architettoniche, rimaste minoritarie, che si ispirano a Gaudi, alle sue fantasmagoriche opere estremamente vivaci anche dal punto di vista coloristico, rifuggiva dalla colorazione dei prospetti.

A cominciare dai grattacieli in ferro e vetro nei quali non si può, addirittura, parlare di facciate fino agli edifici in cemento a faccia vista che proprio perché tale, è evidente, non ammette la tinteggiatura. Per Adof Loos, uno dei maestri delle Avanguardie Artistiche del Novecento, l’”ornamento è delitto” e nell’ornato va sicuramente ricompresa la pitturazione decorativa dei fronti di un fabbricato.

Per le coloriture non va meglio nei manufatti in stile “mediterraneo” (perché ispirato alle casette dei villaggi dei pescatori dell’Egeo), quelle di cui si è parlato prima sono in International Style, che spuntano lungo le coste, tutti rigorosamente bianchi; esempi se ne vedono nelle villette turistiche di Campomarino Lido e questa è una tendenza che è durata fino ai nostri giorni, per cui il complesso per vacanze sorto di recente tra Petacciato e Montenero di Bisaccia con i blocchi edilizi tinteggiati l’uno differentemente dall’altro appare, per certi versi, eversivo.

Macchie di colore punteggiano più l’agro, anche se essendo l’intento quello di mimetizzare le costruzioni nel contesto paesaggistico, non si sarebbero dovuto notare, ma tant’è, cioè una contraddizione in termini, piuttosto che l’agglomerato urbano: tetti verdi nei capannoni per polli, pali metallici dell’elettricità bruni per richiamare il legno, piloni di viadotti dipinti con tonalità che richiamano, in modo da confondersi con esso, quelle del suolo in cui sono impiantati. Si dimenticava di dirlo, ciò in ossequio alle prescrizioni della Soprintendenza ai Beni Culturali.

Il quadro delineato comincia a cambiare negli ultimi decenni del secolo scorso e più velocemente nei primi (2!) del nuovo millennio (salvo le regole soprintendili, è ovvio). Forse è un punto di vista, per così dire, materialista e, però, qualche fondamento lo ha, il motore della trasformazione è stata la comparsa nel comparto dei prodotti edili di una quantità vastissima di vernici sintetiche le quali hanno ampliato notevolmente le possibilità coloristiche.

Le pitture viniliche in così grande varietà, peraltro combinabili fra loro e di intensità graduabile (rispetto al passato si possono ottenere colori assai più accesi, se non sgargianti come quelli impiegati di norma nei murales), hanno spinto ad un’apertura al colore, ad abbandonare la sobrietà tanto nell’oggettistica per la casa quanto nel trattamento esterno delle costruzioni. È vero che pure i palazzi di prima erano tinteggiati, ma quando l’allora sindaco Massa negli scorsi anni novanta emise le prime ordinanze per la riqualificazione dell’immagine esteriore degli immobili che affacciano sul corso Vittorio Emanuele, il principale del capoluogo della regione e, di conseguenza, della regione stessa, nessuno si aspettava quel rinnovamento cromatico si è determinato in questa strada che è un po’ la vetrina del Molise. Il merito è delle nuove tinte a disposizione.

I colori applicati ai fronti edificati non è che siano l’avvio di un percorso che oltre un decennio in avanti porterà ai murales, i quali adoperano tinte altrettanto nette, ma è, comunque, un passo nell’evoluzione del gusto coloristico; a supporto di tale affermazione, si fa notare la distanza, non fisica poiché via Roma è alle spalle del corso, bensì di sensibilità coloristica che vi è tra le colorazioni del secondo e quella della sede della Provincia di meno di un decennio, adesso, indietro con il suo celestino che è il “color dell’aria” della tradizione architettonica romana, qualcosa che ricorda la tecnica storica della scialbatura qui appropriata essendo un monumento.

Il percorso di cui si è detto prevede tappe intermedie tra cui vi sono le riproduzioni sui muri di opere d’arte classica ad opera del prof. Iannelli. Per due aspetti, oltre al soggetto, differiscono dai murales veri e propri, l’uno è che sono di piccole dimensioni, l’altro è che sono protette mediante un vetro, sia dai vandalismi sia dal deperimento dovuto allo smog (sono posizionate ad altezza d’uomo lungo vie carrabili) e agli agenti atmosferici.

Il progressivo degrado sembra inevitabile nei dipinti murali e, anzi, viene programmato come, ad esempio, nel caso del celebre ciclo sulla storia di Roma raffigurato su un muraglione del lungotevere nei pressi di Castel S. Angelo. Se non un’obsolescenza materica ve n’è sicuramente una contenutistica: il Trump che discute con gli altri leader mondiali in un murales del quartiere S. Giovanni de’ Gelsi non è più il presidente degli Stati Uniti. Un ulteriore passaggio verso i murales è rappresentato dall’abbellimento delle saracinesche, quasi moderne tele d’artista, tante ne sono state a essere oggetto di maquillage, con disegni estremamente colorati.

Nel nostro discorso esse sono lo spunto per parlare delle bombolette spray, lo strumento principe degli street artist il quale ha il limite delle campiture continue, non permettendo lo sfumato che, invece, l’affresco, quello di Iannelli, consente. Le serrande, per fortuna, nel centro cittadino sono poche (non solo in via Ferrari dove sono concentrati i negozi con vetrinette sporgenti sul percorso viario, in parte risvoltanti ai lati dell’ingresso, fuoriuscenti dalla parete dello stabile, che fa tanto retrò), perché vengono frequentemente sostituite con grigliati metallici i cui occhielli impediscono la visione della merce in vendita.

Beninteso è tutto legale, mentre non lo sono i graffiti i quali sono delle scritte, non dei disegni, che imbrattano i muri qua e là nelle città e financo il patrimonio monumentale, successe alla chiesa di S. Giorgio. Per realizzare dei murales occorre che ci siano edificazioni “in linea”, tipologia presente esclusivamente nelle Zone di edilizia economica e popolare poiché si concludono con una parete cieca e perciò lì si trovano a S. Giovanni dei Gelsi e a Fontanavecchia; servono pure a migliorare l’immagine di alcuni luoghi in cui sono presenti importanti muri di sostegno, il tragitto che conduce al Terminal, attraverso il sottopasso ferroviario o sottopassando il ponte della ferrovia, e la stessa stazione degli autobus, una specie di continuum.

Nella parte centrale si è intervenuti, non senza polemiche, sul Mercato Coperto con un intervento di optical art perché il drago rappresentato ha gli occhi coincidenti con le finestre. Una eventualità concreta è che sfruttando l’ecobonus si effettui il “cappotto” sui fabbricati del Quartiere CEP i quali non vennero intonacati o per minimizzare i costi o per le esigenze estetiche dell’architettura neorealista che vogliono che il mattone e la struttura portante in c. a. siano visibili, o per entrambe le cose facendo di necessità virtù; una volta rivestiti di intonaco, essendo il tipo edilizio in linea, essi, i loro lati corti, in particolare le testate prospicienti la viabilità principale, sono pronti per fare da supporto ad operazioni di street art.

di Francesco Manfredi-Selvaggi

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