• 12/03/2021

Campobasso, città giardino all’italiana

Il primo carattere, quello di essere dritti, lo si ritrova nei viali dei parchi pubblici

di Francesco Manfredi-Selvaggi  

3 dicembre 2021

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Sarebbe potuto essere considerato “all’inglese” se i suoi viali fossero stati curvilinei, riproducendo così le forme consuete dei percorsi nella natura. L’unico è la pista ciclabile tra il capoluogo regionale e Ferrazzano e perciò qui si parla del rapporto tra viabilità urbana e extraurbana.

Già i Romani avevano avuto in mente l’unitarietà nella progettazione della rete viaria tra strade extraurbane ed urbane; si prenda il caso di Aesernia dove la via Latina diviene il decumano della città attraversandola. Questo, però, c’entra poco con il topos che vogliamo affrontare il quale è quello dei viali piuttosto che della viabilità tout court. Un tema settoriale, sì, ma non secondario qui a Campobasso la quale è stata chiamata “città-giardino” proprio per le sue vie e piazze alberate, almeno un tempo.

Ad ogni modo, qualcosa c’entra con la questione che intendiamo trattare la considerazione iniziale perché a causa dell’espansione insediativa, la quale ha riguardato i centri maggiori, sono state inglobate nell’area urbanizzata porzioni delle arterie di accesso ed essendo quest’ultime, poiché a servizio dei centri maggiori di cui sopra, delle Statali esse sono contornate da filari di alberi sempreverdi come i viali. È molto bello l’ingresso a Casacalenda della Sannitica con il suo lungo rettilineo con ai fianchi una lunga teoria di pini ad ombrello e appunto perciò ombreggianti tanto da farlo assomigliare ad un viale.

Lo stesso percorso stradale da Napoli a Termoli passa per il capoluogo di regione in cui nel tratto coincidente con l’attuale via Trivisonno le piante storiche sono state tagliate per sostituirle con delle nuove, appena messe a dimora, mentre rimangono lungo via Mons. Bologna che è il suo seguito. Tale via è denominata viale e propriamente in quanto ci sono sia le essenze arboree, peraltro con una larga chioma capace di fornire ombra ai passanti, sia il marciapiedi e quindi la sicurezza a chi la frequenta, sia è pianeggiante, morfologia del suolo favorevole alle passeggiate.

Si è nominato il marciapiede includendolo tra i requisiti per essere un viale, una componente della sezione stradale ad un tempo, qui da noi, antica, vedi i crepidoma dei decumani di Bovianum e di Altilia, e moderna poiché fino al XIX secolo le nostre strade erano a malapena pavimentate, figurarsi se avevano un marciapiede. Non siamo ancora al dunque, lo si è solo sfiorato, che è quello preannunciato nell’incipit, cioè la continuità tra la viabilità esterna e quella interna all’abitato, con particolare, lo si è aggiunto un attimo dopo, attenzione ai viali.

La visione di un rapporto organico tra gli assi di circolazione in seno e al di fuori del nucleo abitativo la ebbe il Wan Rescant il cui piano per l’ampliamento della città, antagonista a quello proposto da Musenga sulla base del quale si realizzò il Borgo Murattiano, prevedeva tre, diciamo così, vialoni che si dipartivano dal palazzo del Decurionato, forse nel sito dell’odierna Prefettura, la cui lunghezza era indefinita. Essi sarebbero stati gli elementi ordinatori dell’assetto urbanistico e, nel contempo, direttrici territoriali, coinvolgendo la campagna circostante.

Niente di originale in quanto questo, il tridente, è uno schema classico dell’urbanistica barocca, applicato per la prima volta alla reggia di Versailles e posteriormente a quella di Caserta dove l’asta centrale è la linea di congiunzione diretta tra la capitale del regno Borbonico e la residenza “fuori porta” dei regnanti. Siamo nell’epoca dell’Assolutismo e la raggiera viaria che ha quale fulcro la sede del potere, monarchico nel caso delle dimore reali o municipale a proposito della casa dei Decurioni nel polo di comando della Provincia di Molise, sembra voler simboleggiare il controllo del territorio esercitato da queste istituzioni.

Siamo di fronte, le arterie disegnate dal Wan Rescant, a poco più che linee ideali, una programmazione sulla carta invece che una pianificazione sul terreno, e noi adesso ci intratteniamo su due loro caratteristiche, la rettilineità e la larghezza, le quali hanno attinenza con la tematica dei viali che sono dotati di ambedue i connotati e sempre senza dimenticare che ci siamo prefissi di vedere il legame tra i canali viari presenti nel contesto cittadino e quelli che corrono nell’agro.

Il primo carattere, quello di essere dritti, lo si ritrova nei viali dei parchi pubblici, pure nella Villa De Capoa, progettati sul modello del “giardino all’italiana” e Campobasso, correggendo in qualche modo la definizione riportata in precedenza, è per intero, quantomeno il Nuovo Borgo, una “città-giardino all’italiana”. In campagna nelle zone collinari è impossibile utilizzare la riga per progettare i percorsi i quali qui sono necessariamente curvilinei.

Tra questi vi è la strada che congiunge Ferrazzano alla “capitale” della regione, la quale ha buone argomentazioni per farsi riconoscere quale viale, ma che di buon grado accettiamo di chiamare pista ciclabile, un nome che fa tendenza. Nessuno di tali argomenti, va detto, da solo basterebbe, è il loro insieme che ci permette di attribuire ad essa la qualifica di viale: c’è la piantumazione di platani al bordo i cui rami formano una cupola vegetale che scherma dal sole, c’è il marciapiede, il vialetto pensato per le bici e utilizzato soprattutto dai pedoni rialzato dalla sede carrabile con il suo traffico costante di pendolari causa di qualche disturbo acustico, c’è l’amenità del passaggio, c’è la superficie piana su cui si sviluppa.

Ciò che la differenzia dal resto dei viali è il suo essere planimetricamente movimentata per le diverse curve nel suo svolgimento. Se è un viale allora è un viale di un giardino non più all’italiana, bensì all’inglese, lo stile del “pittoresco” con il quale si cerca di ricreare negli spazi a verde angoli, non geometrici evidentemente, di natura non addomesticata, se così si può dire o addirittura selvaggia. I tragitti naturalistici hanno traiettorie mosse con aperture visuali sempre differenti e ciò rende stimolante la loro frequentazione.

Il secondo dei caratteri di cui sopra richiesto ai viali, che posseggono sia quelli di Wan Rescant sia quelli, attuati, di Musenga è l’estensione in senso trasversale e ciò non per favorire le passeggiate essendo un dettato dei propugnatori della nuova scienza nata a fine Settecento, l’Igiene, bensì per prevenire i contagi prodotti dall’affollamento nei luoghi collettivi e per la migliore insolazione e aereazione degli alloggi che su essi prospettano, accorgimenti legati a preoccupazioni di ordine sanitario che si giustificano negli agglomerati interessati dalla Rivoluzione Industriale e che non guastano anche da noi. Infine, visto che oggi appare retrò proporre la costruzione di viali e, se per fare breccia occorre chiamarli piste ciclabili va bene denominarli così.

di Francesco Manfredi-Selvaggi

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