C’è un palazzo storico a S. Massimo che si autocontraddice
Il Canonico Gioia che lo edificò agli inizi del XIX secolo non doveva avere delle idee chiare a proposito di architettura, pur essendo un uomo di grande cultura, tante scelte architettoniche che egli effettuò si rivelano contraddittorie
di Francesco Manfredi-Selvaggi
19 Febbraio 2025
Tutto ciò che riguarda questo palazzo sembra avere un valore scolastico, di un’opera di scuola che in quanto tale, cioè per il suo essere replica di un modello di architettura codificato, ha poca aderenza con la realtà locale, in particolare con il sito in cui si ubica. La dimostrazione lampante (o plastica come si dice oggi) di ciò è il suo distanziamento dagli edifici prossimi che è minimo, due strettissimi vicoli che per la loro limitata larghezza non sono in grado di garantire l’illuminazione dei locali del palazzo che vi si affacciano. La ricerca di isolamento che rivela tale tenere a distanza i fabbricati vicini appare espressione di un atteggiamento aristocratico, mentre dal punto di vista pratico, quello di dare luce alle stanze sui fronti laterali, l’effetto è poco significativo e, comunque, l’affaccio non è dei migliori, si guarda un muro, per di più disadorno, e, in aggiunta, vi è un problema di introspezione visiva da parte dei confinanti.
Quello esposto è il primo aspetto che induce a pensare che l’impostazione progettuale del palazzo sia basata su principi teorici non sulla fattualità. La seconda prova rivelatrice della mancanza di concretezza è la facciata e vediamo perché. La facciata di cui stiamo per parlare è quella principale, in verità l’unica in quanto gli altri prospetti non prospettano su alcunché, su delle oscure viuzze come si è detto, sono dunque nascosti, essa è la faccia pubblica. Ebbene questa facciata per la sua fattura rappresentativa meriterebbe di essere fronteggiata da una piazza di una certa nobiltà e, invece, non è così.
Innanzitutto è una piazzetta, per altro per un pezzo in pendio, e non una piazza e poi dimensionalmente non è rapportata al palazzo la cui parete adiacente ad essa è più lunga del lato contiguo della piazza. In altri termini, ma è la stessa cosa, la facciata del palazzo sopravanza in lunghezza la porzione del perimetro della piazza che le è a contatto. Quindi dalla piazza non si ha una visione integrale della facciata guardando frontalmente. D’altro canto non sarebbe potuto essere altrimenti, ad un palazzo grande deve corrispondere una piazza grande; ciò vale pure se quest’ultima viene intesa come corte, come luogo aperto subordinato al palazzo, normalmente è, comunque, il palazzo ad essere sottomesso alla piazza.
Conclusasi la dissertazione riguardante il secondo punto ovvero il secondo argomento che avvalla la tesi enunciata all’inizio che l’idea architettonica che presiede la configurazione del palazzo sia, come si conviene ad un’idea, un qualcosa di ideale, non connessa con la situazione effettiva del posto dove esso sorge, passiamo alla terza questione. Facciamo un autentico ribaltamento di fronte perché la trattazione che si va ad effettuare riguarda il, per l’appunto, fronte opposto del fabbricato il quale può essere definito il “retro”. Qui la parete è contornata da due torri e ciò va bene, non è contraddittorio con quanto succede nel “verso”, quello che accade dietro non deve essere necessariamente simile a quello che si verifica davanti.
Una facciata di stile sobrio, per così dire classica, espressione del decoro borghese è appropriata quale controfaccia della dimora di una famiglia del ceto dei “galantuomini” fronteggiante uno slargo peraltro centralissimo dell’abitato, mentre un’immagine neogotica quale quella conferita all’immobile dalle torri angolari si associa con il paesaggio naturale, è solo che nel nostro caso il brano di natura è un giardinetto, in questo aspetto sta la terza contraddittorietà. Lo stabile guardando dalla campagna figura come una fortezza piuttosto che un palazzo. L’altezza che l’edificio raggiunge nel “rovescio” è maggiore, emerge alla vista un piano aggiuntivo, il seminterrato, uno in più di quelli del fronte principale ovvero del “dritto” poiché impostato ad una quota superiore.
L’imponenza del setto murario posteriore oltre il fatto che turrito fa pensare ad una struttura castellana. Di regola le opere fortificate sono a immediato contatto con ambienti ostici, preferibilmente scoscesi se non rocciosi, una situazione ambientale difficile è di per sé un presidio difensivo, la morfologia aspra coadiuva “naturalmente” la cinta muraria posta al suo limitare nella protezione dell’insediamento abitativo. A smentire l’ipotesi che si è al cospetto di un tratto della fortificazione urbica è la circostanza che ai piedi del fronte posteriore del palazzo non vi è alcunché di accidentato, non è una superficie inclinata né un blocco di roccia bensì un fazzoletto di terra in piano, una conformazione morfologica ottenuta, di sicuro, con riporto di terreno.
È da aggiungere che tale orto, non è un giardino se si intende quest’ultimo quale luogo di “delizie”, precede la linea di demarcazione dell’agglomerato urbano che coincide con il muro continuo di sostegno della serie di orti tra cui vi è il nostro fiancheggianti una delle strade di accesso al borgo. In definitiva, non ha fondamento la teoria che le torri facessero parte di un bastione medioevale poi inglobato nel palazzo. Non c’è contrasto nell’organizzazione architettonica tra i due lati, la sua monumentalità è data in un caso dalle torri e in un altro caso, dall’articolato scalone a T, preceduto da un ampio atrio che si sviluppa in profondità con 3 campate, un vestibolo d’ingresso generoso cui si accede dal fronte principale.
(Foto: Una ipotesi di restauro della facciata)
di Francesco Manfredi-Selvaggi
19 Febbraio 2025