Come velame che cade
Viaggio lirico nella terra di Molise
di Giancarlo Pontiggia (da lapoesiaelospirito.it)
20 Febbraio 2025
Leggo, in questi giorni, il bel libro di versi e di immagini che Valentino Campo e Pino Bertelli hanno voluto pubblicare per le edizioni Volturnia con il titolo Come velame che cade. Viaggio lirico nella terra di Molise. Ed è un mondo nuovo che sorge in me, ben diverso da quello – pure amatissimo – di Francesco Jovine, anche se certi racconti di Ladro di Galline e del Pastore sepolto, come Malfuta o della fondazione di un villaggio o Il cavallo del diluvio o Le lacrime degli eredi e altri ancora, sembrano condividere qualcosa delle immagini aspre e potenti di queste pagine. Ma qui è a un Molise eterno che ci volgiamo, a una petramater remota e arcaica, sannita e poi cristiana, ma che sembra ogni volta mantenere l’impronta del suo territorio: e non solo i sentieri, le montagne, i boschi, i tratturi, ma i paesi stessi, e perfino le voci che salgono da quelle terre danno la sensazione di far parte di una natura impervia e immutabile. La lingua di Valentino Campo testimonia di una ricerca personale che va verso l’asprezza dei suoni e la tensione dura delle immagini, a volte anche verso la litania, come nella seconda sezione del libro, dove l’incipit, ripetuto ogni volta, sembra dire di qualcosa di sacro e inalterabile, e fissato una volta per sempre: Fatum, se è vero che questa parola, in latino, esprimeva un ordine fatale stabilito dall’eterna legge di natura. E colpiscono, in questa sezione, certe formule interrogative o certe inserzioni sentenziose (come nel distico finale di XIII) che portano in sé la lingua apocalittica di Eliot. E poi ci sono i morti, che invadono il sonno e le acque, e sembrano intrufolarsi in ogni pensiero, così come negli occhi degli animali. E gli animali stessi, i buoi che impregnano di sé la mente del narratore nella prima sezione del libro. Niente di addomesticato, in questi versi, solo verità. E verità a volte inquietanti, minacciose, che stridono, e tagliano la pagina come qualcosa di rauco e di crudo, di indomato. E con una lapidarietà che è della lingua come del pensiero di chi parla. E penso ancora alla prima sezione, quella sannita, e a poesie come Così come è stato, quasi epigrafica nella sua essenzialità:
«Così come è stato
Il padre di mio padre,
il padre, vigilia
di mia madre, scroto.
Sia figlio di mio figlio,
il padre, ed io
semenza di mio figlio, fiato.
Io sono il bue,
mi dicono sacro
agli dei degli inferi, a questa lama,
alla fenditura
del cielo che s’assottiglia e che dirada.
Il bue inghiotte fili,
impregna l’aria
di là dal campo dove i romani
con croci e spini celano gli altari».
Bellissimi i versi, come le immagini di Bertelli: due mondi e due linguaggi che s’intersecano e si potenziano reciprocamente, ma conservando intatta la propria autonomia espressiva.
di Giancarlo Pontiggia (da lapoesiaelospirito.it)
20 Febbraio 2025