• 02/24/2025

Consumare per produrre

Nella società della tecnologia tutti dovrebbero prendersi il tempo per rieducarsi alla lentezza

di Dario Carlone (da lafonte.tv)

 

24 Febbraio 2025

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Fast (in italiano ‘veloce’) è l’aggettivo che – a mio parere – meglio definisce il nostro tempo, sia in senso positivo che in quello negativo. “La velocità è uno dei tratti-chiave e degli aspetti più caratteristici e pervasivi delle società industrializzate. In qualunque modo si vogliano definire tali società, la velocità di svolgimento raggiunta nelle operazioni, negli spostamenti e nell’ambito delle relazioni sociali a molteplici livelli non può essere tralasciata o sottovalutata” (Giovanni Gasparini, Tempi e ritmi nella società del Duemila). Come abbiamo spesso evidenziato, “una prospettiva corrente di lettura delle società industrializzate [è legata] alla rapidità e all’intensità delle trasformazioni di tipo culturale, politico ed economico conosciute da gran parte dei sistemi sociali”.

Voglio partire da questa premessa per riflettere brevemente su quella che è stata denominata fast fashion [pronuncia: fast-fascion], vale a dire la pratica di produrre capi di abbigliamento rapidamente e a basso costo, spesso seguendo le tendenze più recenti. Tradotta in italiano con ‘moda veloce’, l’espressione sta ad indicare non soltanto la capacità di alcune aziende di mettere velocemente sul mercato prodotti da indossare, ma anche la durata del ciclo di vita di tali capi che si riduce a poche settimane. In realtà quasi ogni settimana i negozi ricevono prodotti nuovi, confezionati nel giro di poco tempo, grazie alla stretta integrazione delle fasi di lavorazione (proget- tazione, produzione e distribuzione). In quindici giorni alcuni marchi di fast fashion riescono ad offrire ai/alle clienti piccole produzioni, firmate da stilisti famosi, che però sono ad un prezzo contenuto ed ovviamente attraggono il maggior numero di persone.

Viene da chiedersi il perché di questo fenomeno. Soprattutto ci interroga il fatto che esso sia rapido: quanto giova a noi, consumatori e consumatrici, tutto questo? Secondo l’associazione ambientalista Greenpeace, si tratta chiaramente di “capi a prezzi stracciati, collezioni che si rinnovano a una velocità impressionante e un modello di business basato sull’acquisto compulsivo. … Nel cuore del fast fashion c’è un ciclo incessante di produzione e consumo che spinge le aziende di moda a produrre abiti a ritmi vertiginosi e i consumatori a credere di dover acquistare sempre di più per rimanere al passo con le tendenze”. I vestiti sono diventati, quindi, articoli ‘usa e getta’, per la realizzazione dei quali si ricorre ad un uso smodato di materie prime ed eccessiva produzione di rifiuti.

La salvaguardia dell’ambiente – che è poi la finalità di Greenpeace – richiede che si fermi “questo sistema distruttivo che dietro a prezzi irrisori nasconde una produzione di massa dalle conseguenze ambientali, sociali ed economiche devastanti”. Se si confezionano di continuo indumenti ciò comporta che “sempre più vestiti vengono comprati e gettati via altrettanto velocemente, creando enormi quantità di rifiuti” il cui smaltimento risulterebbe di difficile gestione e sostenibilità.

Il sistema economico occidentale, nel quale ci troviamo a vivere, ci riserva continue sorprese. Due normali aspetti del nostro esistere, ‘vestirsi’ e ‘risparmiare tem- po’, appaiono stravolti dall’abitudine che stiamo acquisendo. Compiere azioni in maniera veloce, ricevere notizie e informazioni, ed anche merci, con rapidità è certamente un merito ed un traguardo che la società contemporanea ci garantisce, ma appare evidente – nel caso del fast fashion – che il fattore tempo non sia essenziale, anzi veicola atteggiamenti e comportamenti irrispettosi non solo dell’ambiente ma anche della libertà dell’individuo. Siamo sempre più sottoposti/e a suggerimenti, consigli, proposte di acquisti che non consentono a potenziali acquirenti di giudicare, scegliere, apprezzare ciò che viene loro presentato e di conseguenza rispondere a tali stimoli.

Velocità e proposte innovative su cosa indossare o regalare è ciò che il fast fashion garantisce. E se da un lato potremmo tutti essere lieti di tale servizio, non lo è certamente l’ambiente che, come abbiamo visto, ne subisce i maggiori danni: ancora Greenpeace ci avverte che dietro la denominazione di sostenibilità ambientale e dell’uso di materiali riciclati (quindi ecologici!), si nascondono operazioni esclusivamente di facciata. “Promettere una ‘moda sostenibile’ è un totale controsenso se poi la maggior parte dei capi d’abbigliamento viene realizzata con materiali inquinanti come il poliestere ricavato dal petrolio, che a ogni lavaggio rilascia microplastiche”.

E non dovrebbero essere contente nemmeno le persone che, nel vortice continuo di offerte e suggerimenti di moda per le varie occasioni della vita, dedicano il loro tempo a guardare, valutare, scegliere. Il tempo è una delle risorse più preziose che noi esseri umani abbiamo, e di esso dovremmo fare buon uso in quanto – è banale dirlo – “non torna più”!

Nella società della tecnologia tutti dovrebbero prendersi il tempo per rieducarsi alla lentezza. Essere lenti vuol dire prendersi il tempo per sentire la vita” (Selene Calloni Williams, Wabi Sabi – La bellezza della vita imperfetta).

di Dario Carlone (da lafonte.tv)

 

24 Febbraio 2025

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