• 04/26/2017

Corruzione senza fine?

Riconquistare nella collettività i principi morali dell’onestà e del rispetto delle regole condivise

di Umberto Berardo

7 giugno 2017

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La violazione delle norme nelle gare o negli appalti da parte di un pubblico ufficiale può riguardare la corruzione, la concussione, l’abuso d’ufficio o il rifiuto e l’omissione di atti d’ufficio, l’induzione indebita a dare o promettere utilità, ma è sicuramente un fenomeno deplorevole non solo  perché viola i canoni dell’onestà comportamentale, ma anche in quanto reca danni di natura economica alla collettività ed incancrenisce la trasgressione delle regole condivise.

Il fenomeno è disciplinato dal Codice Penale soprattutto agli articoli 318 e 319.

Nel 1992 con l’inchiesta Mani Pulite del pool di Milano si scoperchiò in maniera plateale la corruzione allora dilagante e si ebbe la sensazione di poterla eliminare o quantomeno ridimensionare.

Sono passati gli anni, ma il fenomeno ha continuato a diffondersi coinvolgendo pubblici ufficiali, imprenditori, il mondo della finanza e delle banche, la politica ed in generale singoli individui tutti indirizzati verso l’idolatria della ricchezza e del denaro conquistati tra l’altro con reati gravissimi e non visti più in termini negativi, ma come una forma esistenziale condivisibile e perfino da ammirare.

In tale direzione si è sempre più ragionato in termini di convenienza piuttosto che di onestà e di principi etici.

Senza più idee forti alla base della convivenza abbiamo assistito appunto ad una deriva etica che ha portato sul lastrico tanti piccoli risparmiatori con il crack di alcuni istituti di credito.  

La legge Severino del 2012, con i tentativi di misure di prevenzione, di riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, di modifiche al Codice Civile e Penale anche con aumenti di pena, e lo stesso Decreto legislativo 235/2012 con l’incandidabilità per i condannati a pene superiori ai due anni di reclusione non hanno dato risultati accettabili.

A giudicare dagli eventi che continuano a presentarci ininterrottamente atti di corruzione, il cui indice in Italia è il peggiore dei Paesi Ocse, anche l’Autorità nazionale anticorruzione, pensata come organo di vigilanza nella trasparenza degli atti della pubblica amministrazione, sembra non aver dato sin qui esiti migliori.

Le ordinanze di custodia cautelare e gli arresti che continuano senza interruzione da anni testimoniano una situazione davvero inaccettabile.

Hanno allora sicuramente ragione Nicola Gratteri e Antonio Nicaso ad affermare nel loro saggio “Padrini e padroni” che “C’è una preoccupante correlazione tra criminalità, corruzione e distorsione dei processi democratici” rispetto alla quale sembriamo assuefatti e che purtroppo rappresenta il rischio più grande che sta avvelenando l’economia e creando discriminazioni e disuguaglianze.

Le indagini non mancano, ma sicuramente occorre prendere atto della necessità di leggi più adeguate, di meccanismi più efficienti di accertamento dei reati, di pene più severe capaci di fungere veramente da deterrenza, della riconsiderazione del concetto di prescrizione ed anche di codici etici all’interno delle forze politiche in grado di affidare la governance della collettività a persone competenti e soprattutto eticamente responsabili.

Non ci convince molto l’idea di chi vorrebbe diminuire le pena per il corruttore nella speranza di averlo come delatore per il corrotto, perché davvero entrambe le figure ci sembrano passibili di condanne molto severe.

Occorre ancora cancellare intorno a noi quel modo di vivere che è disponibile a venire a patti con la propria coscienza nella convinzione inaccettabile che “tanto così fanno tutti”.

Sono deroghe da eliminate dalla collettività nella quale bisogna riconquistare i principi morali dell’onestà e del rispetto delle regole condivise.

Le pene per chi non rispetta le leggi sono utili, ma si deve lavorare a livello educativo per trasmettere alle coscienze la necessità di rifuggire da comportamenti malvagi che sono sempre la negazione della giustizia sociale e quindi dei corretti rapporti umani di rispetto dei diritti altrui.

Questo compito importante un tempo lo avevano le famiglie, la scuola, la Chiesa, i partiti politici ed in generale le associazioni.

Oggi è una funzione che sembra sgretolarsi rischiando di fare molti danni alla società.

Si chiama educazione civica e morale e noi tutti abbiamo il dovere di rifondarla intorno a noi non solo con l’insegnamento, ma soprattutto con l’esempio di vita.

Se accettiamo che l’individualismo spinga verso il male, la protervia e l’esclusione nella convinzione di rincorrere solo  l’idolo della ricchezza, noi daremo alle nuove generazioni una visione completamente distorta della vita e della gioia di esistere e di condividere serenamente con gli altri ogni cosa.

Non possiamo permetterci oltretutto di ovviare  alla costruzione di un pensiero critico, positivo e libero possibilmente da illazioni negative che rischiano di rendere oscuro il futuro, ma anche buio il presente in cui molti sembrano smarriti per mancanza di ancoraggi etici.  

di Umberto Berardo

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