• 12/30/2020

Da Altilia a Terravecchia a Tappe

In questo percorso costituiscono soste obbligate il tempio di S. Pietro in Cantoni e, più in alto, il cosiddetto Conventino, un piccolo insediamento monastico forse mai completato

di Francesco Manfredi Selvaggi

07 gennaio 2021

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Non è la stessa cosa che arrivare da località Masserie Parente, il punto più vicino a Terravecchia raggiungibile con l’auto. Partire da Altilia ha molto più significato almeno per 4 motivi che si illustrano di seguito. Il primo è che attraverso questo percorso si compie un salto all’indietro nella storia delle civiltà passando da quella romana, Saepinum, a quella sannita, Saipins, una sorta di viaggio nel tempo. Il secondo è che il tragitto che si svolge dal sito dell’antico municipium, quindi dalla piana verso l’alto incontrando nel suo svolgimento prima Terravecchia, poi Campitelli di Sepino e, di seguito, passo S. Crocella è quello che si doveva effettuare in passato (prima della costruzione della strada rotabile che passa dentro l’abitato di Sepino) per andare in Campania, collegando popolazioni sannite che vivevano nei due opposti versanti del Matese.

Il terzo è che esso, portando dai prati della valle del Tammaro all’altopiano, ovvero ai pianori, oppure campitelli di, appunto, Campitelli di Sepino, era, quando la pastorizia veniva praticata in maniera tradizionale, la via dell’alpeggio. Il quarto è che nel sistema vicano, quello adottato all’epoca del Sannio nell’organizzazione insediativa la Saepinum romana doveva essere un vicus, magari recintato, da cui il suo nome che rimanda al verbo saepio , cingere, mentre il templio italico di S. Pietro in Cantoni costituiva il santuario tribale e Terravecchia la fortezza da utilizzare nei momenti di pericolo; il sentiero che congiunge questi tre fatti permette di comprendere in maniera, come si dice oggi, plastica le relazioni che intercorrono tra di essi.

Per quanto riguarda quest’ultima motivazione, che è, poi, la quarta di quelle annunciate all’inizio, è da dire che la si ritiene la più convincente, non perché le altre non siano valide, ma perché il territorio sepinese costituisce un caso unico in cui è possibile cogliere con un colpo d’occhio, per così dire, o meglio con una breve escursione, come era strutturata in senso spaziale una tribù sannita.

In altri termini si vuole evidenziare che, rimanendo nella stessa area che è la matesina, stradelli per la monticazione, percorrenze viarie che scavalcano la montagna (se pur rare), possibili itinerari che intendono mettere insieme luoghi aventi datazioni differenti, non è difficile trovarli mentre non vi è nessun altro comune dove vi sia la compresenza, beninteso non la sovrapposizione nel medesimo sito, bensì la giustapposizione, a una certa distanza, di tutti gli elementi del modello urbanistico dei sanniti con i vici che rappresentano le zone residenziali, i santuari le zone di culto e le cinte fortificate quelle militari e, infine, la rete sentieristica che è la viabilità.

Si cammina in salita dovendo compiere un salto di quota di quasi 500 metri, a differenza di quello che congiunge Masserie Parente a Terravecchia che sono pressoché di comparabile altitudine, il che lo rende più faticoso oltre che molto più lungo, fatica che viene ridotta dalla presenza di alcuni gradoni morfologici disposti lungo il pendio del monte, quelli dove sono collocati il templietto di S. Pietro in Cantoni e il Conventino, un complesso edilizio formato da una cappella, forse mai completata, annessa ad una costruzione che doveva fungere da abitazione dei frati.

L’ascensione, dunque, offre dei momenti di riposo che permettono di riprendere fiato e, nel contempo, gli episodi architettonici, in verità entrambi allo stato di rudere, di cui sopra spezzano l’uniformità dell’incedere verso l’alto costantemente in ambiente boscoso. Per quanto riguarda S. Pietro in Cantoni in cui una chiesetta cristiana si è sovrapposta presumibilmnte dopo un millennio (i Romani spostarono le divinità nei centri urbani) al templio pagano, sfruttandone il podio e le colonne, è interessante osservare che è l’unico edificio di culto conosciuto nella parte bassa del territorio comunale; ad Altilia, nonostante che un pezzo della sua superficie, dal XVII secolo in poi perlomeno, sia stato abitato non si reinvengono tracce di strutture religiose di età cristiana per cui l’architettura sacra prossima, ma non vicinissima, è quella di S. Pietro la quale è la prima tappa nel nostro salire.

Successivamente, si incontra il Conventino che, seppure in rovina, emana anch’esso, come S. Pietro in Cantoni che lo si è detto era il solo riferimento della gente che andava a ripopolare il piano per soddisfare il bisogno di pregare, un senso di spiritualità essendo, per via del suo isolamento, una postazione di eremitaggio (vi è vissuto Padre Anselmo, un uomo considerato santo). In definitiva, ancora si avverte, in entrambi i casi, la sacralità del posto.

Se si aggiunge che in Terravecchia, riabitata nel periodo altomedioevale, sono stati trovati resti di due chiesette paleocristiane si può vedere come ad Altilia, una città sorta durante il paganesimo, quasi per liberarsi pure della sua memoria si sia sovrapposta sul rilievo montuoso adiacente una sorta di catena di emergenze cultuali legate al nuovo credo, il cattolico, che conferisce, in qualche modo, anche al fianco del monte un non so che di spirituale. Pure per questo aspetto è importante il percorso ascensionale e, più in generale, sono determinanti le percorrenze per capire a fondo il nostro ambito.

Qui più che in altre parti è significativo spostarsi a piedi e non in macchina come si fa quando a Terravecchia si va parcheggiando alle Masserie Parente. Non si tratta, muovendo verso l’acropoli sannita da questo bellissimo agglomerato di case tradizionali che già di per sé è meritevole di una gita, di «turismo mordi e fuggi» quale quello esecrato da Antonio Cederna in un articolo su L’Espresso a proposito del fabbricato sorto presso Porta Bojano, definito un “archeogrill”, ma, comunque, visitare pedonalmente questo comprensorio archeologico (assai più ampio del parco archeologico previsto, limitato agli intorni di Saepinum) è un’esperienza sicuramente più completa.

Per onestà intellettuale bisogna ammettere che il raggio in cui muoversi è abbastanza indefinito potendo comprendere pure la Villa dei Neratii a S Giuliano del Sannio, nonostante sia rimasta un fatto a sé stante nel circondario, non avendo portato nel periodo finale dell’Impero, a differenza di quanto è sistematicamente successo altrove, all’affermarsi dell’economia curtense; da tale Villa sorpassando il Tammaro si entra ad Altilia proprio da Porta Tammaro e continuando, seguendo il cardo, si sottopassa Porta Terravecchia diretti sul Matese, Poco prima il cardo si era incrociato con il decumano, cioè il tratturo il quale ha tanto a che fare con Terravecchia e con il percorso che si è indicato in quanto su di esso venivano convogliati gli armenti, che in estate avevano pascolato non distante da Saepins, per andare in Puglia.

di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it) 

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