Edifici di culto e monasteri
La chiesa come socio di maggioranza di patrimonio culturale molisano s.p.a.
di Francesco Manfredi Selvaggi
10 Gennaio 2025
Edifici di culto ma anche monasteri, i beni storico-artistici di proprietà delle istituzioni religiose costituiscono la maggioranza delle emergenze architettoniche del Molise.
C’è un castello in ogni comune, mentre di chiese in un comune ce ne sono sempre più di una. Alla chiesa-madre, quella parrocchiale è normalmente una sola in quanto la maggioranza dei nostri centri è di piccola taglia, se ne aggiungono altre tanto nell’abitato quanto in campagna. In definitiva, il nostro patrimonio culturale è in maggioranza costituito da edifici di culto. Le architetture religiose sono importanti sia in quanto, appunto, architetture sia per le opere d’arte e gli elementi di arredo di solito di ottima fattura artigianale custoditi all’interno. Le strutture ecclesiastiche, “bene immobile”, sono il “contenitore” e gli oggetti artistici, “beni mobili”, sono il “contenuto”.
I luoghi sacri sono di fatto dei musei e ciò ha spinto negli ultimi decenni a dotarli di impianti antifurto. Incidentalmente si fa notare a questo proposito che dal momento che la sicurezza dei beni è garantita all’interno delle chiese non ha più alcun senso spostare le opere d’arte nelle collezioni museali, sarebbe addirittura dannoso perché ciò provocherebbe lo straneamento sia delle opere stesse poiché fuori dal contesto originario sia dello spazio cultuale per il quale sono state pensate, salvo che per questo problema del trasferimento degli apparati artistici la chiesa è il bene culturale che più degli altri, molto di più, ha conservato le sue fattezze cominciando dal mantenimento della funzione per cui è stata realizzata.
I castelli, i palazzi signorili, ecc. hanno nel tempo cambiato la destinazione essendo diventata obsoleta quella delle origini. I monasteri, opere appartenenti anch’essi al patrimonio ecclesiastico, sono molto meno numerosi delle chiese anche se edifici molto più grandi, non esistono conventi piccoli poiché le comunità monastiche sono formate sempre da un numero significativo di confratelli. I monasteri, a differenza delle chiese, hanno subito mutazioni nel tempo non del loro impianto architettonico ma dell’utilizzo diventando quelli rimasti in capo alle congregazioni religiose ospizi per anziani (Montefalcone del Sannio), collegi per studenti (Sepino) ecc…
Una versatilità d’uso legata alla loro tipologia di residenza collettiva, al principio frati e oggi le più varie categorie di persone, ospitando fedeli in ritiro spirituale, accogliendo minori migranti non accompagnati, trasformandosi in educandato, convitto, ostello eccetera eccetera. Come le chiese mantengono una ragione d’essere seppure non è più quella per cui sono stati fondati. La diminuzione delle vocazioni a diventare monaci e monache ci fa però temere che una parte di tali fabbricati, importanti testimonianze storiche, venga abbandonata. C’è un motivo particolare sul quale ci soffermeremo adesso che ci deve spingere a salvaguardare le fabbriche conventuali, in specifico quelle dell’ordine benedettino ed è che esse, la loro conformazione a corte con chiostro centrale e campanile rappresentano in qualche modo il simbolo del nostro continente.
Si segnala a questo proposito, uno per tutti, il grave degrado che ha subito la masseria Grimalda a Pietracatella, all’origine un cenobio, ma proseguiamo. San Benedetto è stato proclamato patrono d’Europa per l’opera di diffusione tramite i suoi seguaci degli insediamenti monastici i quali contribuirono alla ricostituzione dell’organizzazione civile oltre che religiosa del “vecchio continente” all’indomani della caduta dell’impero romano e quindi del disfacimento della società seguito a tale crollo, seguendo il motto ora et labora. Nello spirito del santo di Norcia si potrebbe immaginare la costruzione di reti a livello continentale fra le unità monastiche, non conta se ancora in uso quali conventi oppure no, e ciò favorirebbe la rottura dell’isolamento, specie nelle aree interne come la nostra, in cui versano.
I cittadini europei consapevoli di tale lascito si sentirebbero coinvolti nelle azioni di conservazione di queste significative emergenze culturali in qualunque angolo del continente si trovino perché fattore identitario comune, una eredità condivisa. Ciò ci consentirebbe di partecipare, facendoci anche parte attiva, a strategie comunitarie nel campo della salvaguardia seguendo il motto, non più quello benedettino, che l’unità fa la forza. Uno sguardo al di là dei confini regionali e pure nazionali ci aprirebbe nuovi e ampi orizzonti nei quali collocare la nostra attività di tutela. Un discorso analogo lo si potrebbe fare per altri tipi di beni ecclesiastici perché la chiesa è già di per sé un elemento unificante, il culto cristiano si pratica pressoché ovunque in Europa.
Pure le cattedrali o pievi romaniche e i santuari mariani, spesso di elevate valenze architettoniche permetterebbero di “creare alleanze” fra le diverse realtà europee ai fini della protezione del patrimonio culturale. Tessere relazioni allo scopo della valorizzazione delle emergenze storiche con territori extranazionali oltre che con quello nazionale deve essere un obiettivo primario nell’agenda politica dell’amministrazione regionale ed, in effetti, alcuni passi in questa direzione sono già stari fatti vedi il progetto Archeosites promosso dal Molise.
di Francesco Manfredi Selvaggi
10 Gennaio 2025