• 04/16/2018

Elezioni regionali: il mesto crepuscolo di un sistema

Dinanzi all’onda d’urto pentastellata, poco hanno potuto i consueti manovratori del voto organizzato e nulla hanno potuto le (poche) proposte alternative

di Gianmaria Palmieri – fb

16 aprile 2018

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Forse è ancora troppo presto per valutare appieno la portata della svolta determinatasi, negli assetti politici e amministrativi del nostro Paese, per effetto delle elezioni dello scorso 4 marzo. A chiunque abbia un minimo di cultura e di esperienza politica, tuttavia, non può sfuggire che si tratta sicuramente di una svolta epocale, di un passaggio da un “prima” a un “dopo” completamente nuovo, tale da travolgere equilibri consolidati e da relegare ai margini storie e protagonisti che fino alla vigilia della consultazione apparivano centrali. Il combinato disposto del successo travolgente del Movimento 5 Stelle e della Lega di Salvini e della secca sconfitta del PD e di Forza Italia ci consegna uno scacchiere politico-istituzionale in cui dominano coloro che fino a ieri erano marginali e recitano ruoli da comprimario forze abituate da vent’anni ad essere al centro della scena. Forse siamo davvero passati dalla seconda alla terza Repubblica.

L’onda d’urto del voto del 4 marzo ha investito, con virulenza ancora maggiore, anche la nostra Regione, in cui hanno funzionato da moltiplicatori la frustrazione e la rabbia di una comunità che si è sentita tradita e abbandonata da una classe dirigente percepita come autoreferenziale, incapace di rinnovarsi e di offrire una qualche prospettiva ad un territorio ridotto allo stremo, drammaticamente assetato di lavoro, di servizi, di sviluppo. Dinanzi all’onda d’urto pentastellata, poco hanno potuto i consueti manovratori del voto organizzato, fondato sull’attivismo, sempre più inane, di sindaci e di vecchi e nuovi capibastone, su intrecci familiari o di potere, su piccoli e meno piccoli interessi economici e/o corporativi. Così come nulla hanno potuto le (poche) proposte alternative presenti, in grado di raccogliere solo in misura ridotta i consensi di un elettorato determinatosi ad affidare quasi per intero al Movimento 5 Stelle la responsabilità di rappresentare il Molise nel Parlamento della Repubblica. Dei cinque parlamentari eletti in Molise, ben quattro provengono dal Movimento di Grillo. La quinta è una deputata di Liberi e Uguali.

Quando quasi un elettore su due si esprime in un’unica direzione l’analisi del voto, da parte degli sconfitti, dovrebbe essere cruda e onesta. Così come l’individuazione degli errori da non ripetere, per provare a recuperare almeno un po’ di consensi perduti. 

Non dovrebbe essere difficile comprendere che la chiave del successo dei 5 Stelle in Molise sta nella sua capacità di accreditarsi presso l’opinione pubblica come unica forza veramente alternativa, capace di rompere il ferreo schema di potere, trasversale e consociativo, cui negli ultimi venti anni si sono attenuti, per convenienza, tutti i protagonisti della scena politica nostrana. Schema di potere che ha finito col ridurre i partiti a meri veicoli con cui inseguire corpose indennità; o a scatole vuote di contenuti e d’identità, in cui anche i più incredibili episodi di trasformismo (destra-sinistra-destra) sono stati bonariamente tollerati, restando privi di qualsivoglia sanzione politica. 

Qualunque credibile strategia di recupero del consenso dovrebbe, pertanto, muovere dalla chiara volontà di emanciparsi dal descritto sistema consociativo, attraverso l’elaborazione di proposte veramente utili per i cittadini, il ricorso ad energie nuove e competenze autentiche, il recupero dell’etica fondata sul bene comune e non di singoli o di gruppi. Ma per chi non ha mai adottato questo registro è difficile imparare a farlo ex novo; occorrerebbero cultura, abitudine e, soprattutto, tempo.

Quel tempo che manca, approssimandosi già la data delle elezioni regionali fissate per il 22 di aprile. 

Non ci si può, perciò, sorprendere fino in fondo delle cronache di questi giorni che raccontano di situazioni caotiche e conflittuali nelle forze uscite sconfitte dalle elezioni politiche del 4 marzo, quasi tutte figlie di quel sistema e perciò impreparate a muoversi in uno scenario che non conoscono e ancora stentano a comprendere. 

Sembra di assistere ad un incontro di boxe, in cui un pugile ormai al crepuscolo, dopo aver subito il colpo del K.O., anziché fruire dell’agognata interruzione del match, si trova costretto a proseguire il combattimento. 

Con la vista annebbiata, rotea freneticamente nel vuoto le braccia, provando a ricorrere a vecchi trucchi del mestiere e alle solite finte che non ingannano più. Senza idee, senza amor proprio, senza seguito. Fino ad implorare con lo sguardo il baldanzoso e fresco avversario affinché faccia presto, senza infliggergli troppo dolore.

di Gianmaria Palmieri – fb 

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