Grido d’allarme
Il restringimento degli spazi di libertà e di autonomia nell’Università fa il paio con il disegno governativo autoritario e repressivo
di Rossano Pazzagli (da lafonte.tv)
5 Novembre 2024
L’istruzione e la formazione, come la ricerca, dovrebbero sempre essere libere, ispirate al pensiero critico, aperte alla pluralità delle idee e al dissenso, orientate al cambiamento e alla costruzione di un mondo migliore. Lo dice anche la Costituzione Italiana: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento […] Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi” (art. 33). Allo stesso modo, la nostra Costituzione afferma il diritto di ciascun individuo di manifestare le proprie idee, considerando ciò una condizione essenziale per lo sviluppo di una comunità democratica: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (art. 21),
Occorre ricordarlo, oggi più che mai, perché non sempre i docenti e i ricercatori sono liberi di agire e di dissentire, di criticare i valori imperanti e di ribellarsi alle tendenze centralistiche e autoritarie attualmente in atto, che minano alle radici l’autonomia universitaria e la libertà d’insegnamento. Da anni ormai le politiche dirigiste che si condensano nell’attività dell’ANVUR, la faraonica e autoreferenziale Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, hanno creato un sistema rigido, burocratizzato, con regole di governance che non lasciano spazio ad una effettiva autonomia gestionale, con l’utilizzo spesso improprio di concetti come “merito” e “eccellenza”, tendente alla concentrazione delle strutture di didattica e di ricerca in pochi e affollati poli o aree; si tratta di politiche che minano alla radice un altro principio fondamentale della Costituzione: quello dell’uguaglianza di tutti i cittadini (art. 3).Così si incrina anche il diritto allo studio e si concentrano le risorse nelle aree centrali penalizzando le regioni periferiche, si penalizzano drasticamente le università del Mezzogiorno e le discipline umanistiche che tanta importanza hanno nella formazione dei giovani. A questa linea, ormai di lungo periodo, si aggiungono ora la proposta del Ministro Bernini di istituire nuove figure preruolo, che incrementerebbe il già esteso precariato, e il taglio di oltre 500 milioni di euro al Fondo di Finanziamento delle Università, per non parlare del moltiplicarsi degli atenei telematici nell’ottica di una progressiva privatizzazione del sapere.
Il restringimento degli spazi di libertà e di autonomia nell’Università fa il paio con il disegno governativo autoritario e repressivo che riguarda l’intera società e di cui è espressione il disegno di legge 1660, cosiddetto “Sicurezza”. La saldatura di questo binomio tra attacco al sapere critico e regimentazione sociale comincia ad essere esplicita e preoccupante, non solo nei comportamenti effettivi di repressione del dissenso e di criminalizzazione dei conflitti aperti nella società e sul territorio (lavoro, casa, ambiente…), ma anche nel conformismo e nell’indifferenza imperanti tra coloro che per primi dovrebbero ribellarsi (docenti e ricercatori) e nel servile allineamento a tale disegno della maggior parte della stampa e dei mezzi d’informazione. Tutto ciò è segno di una strategia egemonica di tipo reazionario, tesa al controllo sociale e alla fabbricazione artefatta del consenso.
Si tratta di una situazione generale che richiede una ampia e immediata mobilitazione in tutto il Paese, che chiama ad una responsabilità civile e morale, ancor prima che politica, gli stessi partiti democratici, le forze sindacali e tutte le organizzazioni rappresentative dei lavoratori e dei cittadini e gelose della democrazia a suo tempo faticosamente conquistata. Un’ esigenza chiaramente affermata tra l’altro nell’appello lanciato in occasione dell’invito del Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi all’Università del Molise e sottoscritto da oltre 200 personalità del mondo della cultura, docenti, rappresentanti della società civile, del volontariato e delle professioni (www.osservatoriorepressione.info).
Proprio l’Università dovrebbe essere la sede privilegiata della libertà di formazione e di ricerca, la fucina del pensiero critico, mentre sta diventando anch’essa una delle sedi della normalizzazione sociale e un puntello del sistema, anziché essere leva di cambiamento. Sarebbe importante che questo grido d’allarme partito dal piccolo Molise attecchisse nel resto del Paese e si moltiplicassero i momenti di mobilitazione perché, nelle circostanze date, la costruzione di un mondo migliore può passare solo attraverso la difesa degli spazi di libertà, dei diritti fondamentali e del rispetto del pluralismo, del dissenso e delle lotte sociali che sempre nella storia, insieme al sapere, hanno costituito la principale molla di avanzamento civile e morale. Tenendo conto che la libertà di pensiero e di parola è un cardine prezioso del più ampio concetto di libertà.
di Rossano Pazzagli (da lafonte.tv)
5 Novembre 2024