• 02/02/2024

Guardare l’ospedale dall’alto in basso

Invece, qui si fa l’opposto analizzandolo a partire dal piano seminterrato

di Francesco Manfredi Selvaggi

02 Febbraio 2024

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Guardare gli ospedali dall’alto sarebbe praticamente impossibile perché i nosocomi oggi hanno una notevole altezza e sono pochi i punti di osservazione che li sovrastano.

Nell’esame di un ospedale è opportuno partire dalla sua localizzazione la quale contribuisce a determinarne la forma. Qui da noi la maggioranza dei nosocomi, cioè quelli dei 2 capoluoghi di provincia, sorge su terreni parzialmente acclivi. È la morfologia del suolo ad obbligare ad avere un livello seminterrato dove ricavare spazi per diverse attività ospedaliere, non quindi piano occupato solo dai locali tecnici. A tale quota si ha, come in qualsiasi altra opera architettonica, un rapporto ben maggiore che nei piani superiori con l’esterno. Un breve accenno, pertanto, allo spazio circostante l’edificio rilevando che, a volte, esso rappresenta la ragione principale per l’ubicazione del nosocomio in quel sito.

È il caso della Cattolica per la quale la scelta di sorgere dentro il bosco di Montevairano è la presenza, appunto, del bosco all’intorno, contribuendo la natura al miglioramento delle condizioni di salute dei pazienti, almeno psicologicamente. In verità, in adiacenza di una struttura ospedaliera c’è sempre un grande parcheggio, una superficie informe, priva di carattere, articolata semplicemente in posti auto per il personale, in quelli per i visitatori, più numerosi, e in stalli per la sosta delle ambulanze del pronto soccorso. Una ampia distesa di asfalto che produce impatto, oltre che paesaggistico, ecologico.

Si prenda il problema delle acque di dilavamento superficiale le quali, dopo essere state filtrate dall’impianto di “prima pioggia”, potrebbero essere raccolte e utilizzate per l’irrigazione delle piante ornamentali o per alimentare il sistema di condizionamento. Nelle vicinanze degli ospedali sede di pronto soccorso vi deve essere l’elisuperficie perché in una regione come la nostra l’elisoccorso può rendersi necessario, per raggiungere con urgenza le aree cosiddette disagiate, servite da una viabilità tortuosa e con pendenze consistenti; in ciascuno di questi comuni “interni” dovrebbe essere predisposta una piazzola per l’atterraggio dell’elicottero.

Lasciamo la lettura di ciò che avviene fuori e ritorniamo a ciò che succede dentro. Quando più è interrato tanto più è idoneo il piano per ospitare i laboratori diagnostici e le sale operatorie, ambienti dedicati che devono essere isolati dall’esterno. Il livello ricavato dal dislivello collinare contiene molteplici funzioni, dalla direzione sanitaria all’obitorio, tutti spazi “serventi” (i “serviti” sono quelli assistenziali); la quantità di funzioni dipende dalla grandezza del nosocomio, in quelli più grossi essendoci financo l’asilo aziendale. Quando il manufatto edilizio è planimetricamente pianeggiante tali attività sono collocate nella “piastra”, un volume autonomo distinto da quello in cui si trovano i reparti di degenza, l’uno a sviluppo orizzontale e l’altro verticale.

Questa separazione c’era anche prima dell’affermarsi della nuova tipologia architettonica dell’ospedale con piastra e “torre”; nel tipo a “padiglioni”, uno di questi era adibito ai servizi generali, la medesima concentrazione che oggi si ha nella piastra. È da sottolineare che le due parti, piastra e torre, si differenziano pure per complessità della rete impiantistica: le camere per i degenti richiedono, di certo, infrastrutture tecnologiche meno sofisticate di quelle delle sale operatorie, per dirne una. Vista la piastra passiamo alla torre. In Italia gli ospedali non devono superare i 7 piani.

Può sembrare poco, ma è un’evoluzione significativa rispetto al passato quando essi erano molto più bassi. È stato l’affermarsi delle nuove tecniche costruttive che prevedono l’impiego del cemento armato oppure dell’acciaio insieme all’introduzione degli ascensori a consentire la loro crescita in altezza. La muratura invece limita l’elevazione della struttura. Specie perché situati in ambiti extraurbani gli ospedali appaiono come opere edili fuori scala, il contesto rurale essendo fatto da elementi di dimensioni contenute. Passando in auto sulla superstrada che conduce a Campobasso non si può non notare l’imponente massa del Cardarelli.

Del comprensorio in cui esso ricade il nosocomio è divenuto il fulcro dell’immagine paesaggistica per la sua mole, sempre notevole. Esso condiziona in qualche modo l’assetto dell’area e le sue prospettive future, producendo effetti negativi, quelli percettivi, e positivi in termini di viabilità di accesso, vedi il collegamento per Tappino dal capoluogo regionale. Dal punto di vista dell’accessibilità ferroviaria è in corso di esecuzione la stazione di “porta Napoli” della Metropolitana Leggera che è proprio ai piedi della collina di Tappino.

Per via della piastra che è larga e della torre che è alta i percorsi sono assai lunghi sia orizzontalmente sia verticalmente. Sono organizzazioni di percorrenze a sé stanti, ma nello stesso tempo integrate tra loro a formare un continuum, un’unica maglia degli spostamenti. È questo un requisito essenziale per poter predisporre un efficace piano di protezione civile da mettere in campo in occasione di eventi tellurici.

Bisogna evidenziare che la sicurezza sismica in questi organismi architettonici non la si può trattare allo stesso modo che in altre attrezzature collettive, cioè in termini usuali di “vie di fuga” in quanto vi è una maggiore vulnerabilità delle persone dovuta alla loro precarietà fisica. Per quanto riguarda il rischio incendio esso si affronta con la compartimentazione della struttura che è stata più difficile da attuarsi nella Cattolica a causa della grande hall d’ingresso che è complicato suddividere in zone ed individuare, e soprattutto gestire, vie di fuga sicure.

(Foto: Piante dell’Ospedale di Larino)

di Francesco Manfredi Selvaggi

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