I Borghi Non Stanno Morendo
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Il Ministro del turismo Dario Franceschini ha annunciato che il 2017 sarà l’anno dei borghi in Italia. Houzz prende la palla al balzo e va alla ricerca di quei borghi che grazie alla formula di accoglienza dell’albergo diffuso sono diventati piccole oasi culturali e turistiche. “I borghi delle nostre regioni – ha dichiarato Franceschini- sono ricchi di storia, cultura e tradizioni. Sono il cardine per la crescita di un turismo sostenibile, capace di creare autentiche esperienze per i visitatori e permettere lo sviluppo armonico delle comunità che vi vivono”.
Sentite anche voi il fascino dell’antico? Siete allergici alle stanze d’albergo e alla loro fredda compostezza? Siete viaggiatori più che turisti? Volete vivere come uno del posto anche quando siete in vacanza? Allora l’albergo diffuso fa per voi. Qui si diventa parte di una comunità e si vive in stanze “d’albergo” restaurate dalle abili mani del posto. Non una meta di vacanza, ma un concetto che porta alla rinascita di molti borghi italiani.
«Ci ho messo anni a capire come definire l’albergo diffuso. Ho sentito il concetto per la prima volta negli anni Ottanta ma esistevano pochi esempi e non c’era un modello e nemmeno delle regole», spiega Giancarlo Dall’Ara, ideatore e fondatore dell’Associazione Nazionale Alberghi Diffusi. Secondo Dall’Ara gli alberghi diffusi nascono dal basso, dalla gente del posto. Anzi spesso da una piccola parte di loro. Emigranti tornati nelle terre d’origine, giovani che non vogliano lasciare il paese natale e si inventano un’attività che lo riporti allo splendore.
Cos’è un albergo diffuso?
Secondo Giancarlo Dall’Ara servono alcuni elementi indispensabili. La parola che più descrive questa esperienza è “autenticità” e tra i principi di base troviamo una gestione unitaria e imprenditoriale e dei veri servizi alberghieri integrati nella vita di paese. Le camere devono essere sparse in più edifici separati e preesistenti. No ai paesi morti: per essere un vero albergo diffuso si deve partire da un centro storico abitato e con una comunità viva e vivace.
Borgotufi, ad esempio, prima dell’intervento dell’impresa di Giorgio Ricci, era un agglomerato rurale costituito prevalentemente da costruzioni adibite a stalle, fienili e abitazioni rurali in uno stato di semi abbandono. Mantenendo la struttura portante, questi immobili storici sono stati ristrutturati con sapienza, senza variazioni sostanziali: sono state aperte delle porte e delle finestre ed è cambiata la distribuzione interna, riutilizzando per quanto possibile i materiali di recupero come conci in pietra, coppi di copertura, elementi lignei. Per garantire la sicurezza antisismica sono stati aggiunti all’interno dei fabbricati dei telai strutturali in acciaio.
Rispettare l’esistente e renderlo attuale
Dagli Appennini alla Sardegna, ci sono oggi 125 alberghi diffusi in Italia. Sono un esempio della varietà regionale architettonica del nostro Paese. L’albergo diffuso è un borgo che ospita turisti e viaggiatori che soggiornano in stanze sparse per il paese debitamente restaurate. Questo è uno dei principali aspetti che lega gli alberghi diffusi ovunque loro siano. La mission culturale e paesaggistica è quella di rispettare l’esistente. Il paese e le stanze sono oggetto di attenta ristrutturazione conservativa sia architettonica che negli interni e negli arredi.
«In Italia la cultura del paesaggio è fondamentale. Deve essere protetta anche se viene sistematicamente trasformata e modificata da nuovi insediamenti urbani in forte contrapposizione con l’anima storica del paese», spiega Daniele Kihlgren, fondatore di Sextantio, a Santo Stefano di Sessanio (AQ), tra i più famosi alberghi diffusi al mondo, capaci di portare l’architettura tradizionale ad un livello di vero lusso.
Le originarie case in pietra e legno sono state restaurate per diventare camere d’albergo, i sotterranei del villaggio sono oggi suite nuziali, il leggendario “covo di streghe” del villaggio ospita invece una sala meeting. L’albergo diffuso ha riportato in vita un piccolo borgo abruzzese caduto in abbandono, anche grazie al coinvolgimento delle tradizioni locali legate alla produzione dei saponi naturali e alla filatura della lana, tornati oggi fiorenti come una volta.
Il fotografo Enzo dal Verme ha fotografato Sextantio e ne è rimasto affascinato tanto da dedicargli un capitolo del suo libro Storytelling For Photojournalists.
«Non si tratta di una rivisitazione radicale. L’intervento di ristrutturazione di Sextantio è stato fatto rispettando le strutture originali e aggiungendo pochi tocchi moderni», spiega dal Verme.
«Tutte le sedie, per esempio, sono una diversa dall’altra perché recuperate qua e là anche nei paesi limitrofi e restaurate una ad una».
«Da quando ha aperto l’albergo diffuso, l’economia della zona si è risollevata. Alcuni lavorano proprio all’albergo, altri hanno avviato piccole attività che prima non sarebbero state possibili, come un negozio di artigianato locale o uno di lenticchie vendute direttamente da chi le coltiva con l’antico metodo del sovescio. La presenza del Sextantio aiuta a preservare le antiche tradizioni. Le coperte dell’albergo, per esempio, sono fatte a mano da chi ancora sa usare i telai in legno. In questo modo si continua a tramandare la manualità della civiltà pastorale dimenticata. Nel secolo scorso questi paesi si erano spopolati, gli abitanti erano emigrati abbandonando la montagna in cerca di lavoro. Nella vicina Rocca Calascio ora invece c’è anche chi dalla città si sposta a vivere qui, come Lorenzo Baldi, la guida alpina che conosce ogni segreto della valle e a cui sono estremamente riconoscente perché mi ha aiutato a realizzare il mio servizio fotografico!».
Unica pecca? «Secondo me, è tutto fin troppo perfetto: i pavimenti sconnessi sono tirati a lucido, le bottiglie di vetro soffiato sono appoggiate su tavoli di legno restaurati impeccabilmente, le lampadine che penzolano dal soffitto fanno una luce degna di un direttore della fotografia hollywoodiano. Il rischio Disneyland c’è, però bisogna considerare il progetto nella sua totalità: hanno voluto fare rinascere un borgo senza attirare il turismo di massa ma un pubblico molto particolare».
Simon Clementi con la moglie Guendalina Gallo ha ristrutturato il borgo di Trevignano Romano e creato l’albergo diffuso Vista Lago a Trevignano Romano. «Volevamo ridare vita alla piazza come spazio comune. Siamo partiti da un piccolo spazio ferramenta che abbiamo trasformato in un appartamento e ora abbiamo ristrutturato undici stanze per gli ospiti e una reception. Abbiamo lavorato con quello che c’era, stanza per stanza: se i muri erano in pietra, sono rimasti così».
Una nota di rinnovamento? «Abbiamo giocato con i colori per dare un tema a ciascun ambiente. La parte che ho preferito è stato lavorare con la gente del posto. Ci sono delle competenze speciali in questo paese», spiega Clementi.
di Leonora Sartori (da houzz.it)