• 07/01/2019

I luoghi delle relazioni umane e culturali

Le relazioni interpersonali nell’era digitale hanno avuto trasformazioni complesse che presentano ambiguità e lati alquanto oscuri in una mutazione antropologica e culturale

di Umberto Berardo

1 luglio 2019

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La relazione è una realtà ineludibile e costitutiva della condizione umana perché il nostro esistere è ontologicamente inscindibile da quello altrui; diversamente sentiamo solitudine, vuoto e necessità di apertura mentale verso altre esperienze di vita.

L’uscire da se stessi e porsi in rapporto non ha ovviamente sempre connotazioni positive e capaci di fondare il bene come ci dimostra ampiamente il corso della civiltà umana.

L’esperienza di relazione diventa significativa quando permette a ciascuno di affermarsi come persona nei propri diritti e di maturare atteggiamenti di rispetto per l’altro con grande apertura all’ascolto e al confronto.

I luoghi d’incontro classici per conoscersi, esprimersi, annodare amicizie, far nascere amori e confrontarsi sono stati sempre tanti e molto diversi.

Ci si poteva vedere in piazza, incontrarsi in una passeggiata, al bar, in una trattoria, in un qualsiasi luogo d’intrattenimento e lì la relazione era personale, fisica, tenuta in un tempo dalle scansioni lunghe e in uno spazio intimo e profondamente umano dove le frequentazioni non avevano mediazioni di alcun tipo.

Lo spazio del ritrovo non era funzionale all’affermazione del proprio ego, ma alla necessità di proporre idee, di esprimere sentimenti, di stabilire confronti e di allargare i propri orizzonti attraverso la ricchezza della personalità degli altri.

Fino a quando i luoghi delle relazioni sono stati quelli delle reti sociali sicure, solide e condivise le difficoltà insorte non hanno avuto aspetti insuperabili.

Oggi i canali istituzionali classici sono entrati in crisi e sofisticati strumenti tecnologici stanno trasformando la vita di relazione ponendola in contesti alquanto complessi nei quali non è facile trovare una dimensione accettabile.

Già le corsie degli ipermercati sono luoghi alquanto anonimi con incontri fugaci o saluti di circostanza appena accennati.

Il mondo virtuale dei social e delle chat poi non solo sta sostituendo quello degli incontri reali, ma questi ultimi ne diventano addirittura un’appendice che serve magari per continuare i rapporti già iniziati o avuti in precedenza nelle connessioni telematiche.

Si vive così una vita relazionale fatta di post, di sms, di foto e immagini scambiate in un mondo in cui il tempo ha un’accelerazione assurda e i legami diventano certo sempre più numerosi, ma molto spesso fragili ed effimeri.

Zygmunt Bauman ha sempre ammonito al riguardo che non conta la velocità dei rapporti e delle relazioni, ma la loro solidità e durata.

Molti giovani trovano forse nel web sentimenti di appartenenza, di libertà e di confronto che la famiglia, la scuola e le altre agenzie educative non riescono più a dare e a far vivere.

Se i ragazzi cercano nuovi social come Snapchat che non ruotano intorno a iscrizioni e profili riconoscibili ma ad immagini e storie liberamente visualizzabili senza lasciare traccia ed autodistruggentisi qualche secondo dopo, è evidente che si è alla ricerca di un effimero non controllabile e come tale pericoloso.

L’idea dell’inserimento in forma anonima, già in parte esistente in molti social, e della erasability ovvero della cancellabilità dei post su Internet porrà certamente tutta una serie di problemi relativi alla trasparenza e alla verificabilità delle fonti. 

Come per la post-verità, c’è già chi parla della post-relazione come forma di rapporto con l’altro non più fondata su incontri non mediati e dunque veri e autentici, ma su quello che ciascuno vuol far sapere o vedere di sé su Internet.

È chiaro che l’ipocrisia la fa da padrone in un deserto di comunicazione emotiva e affettiva.     

Se è vero, come sostiene il sociologo Nathan Jurgenson, che la realtà non è più riducibile a quella fisica, ma va riletta come integrazione con la spazio interconnesso che addirittura la amplifica, dev’essere chiaro allora che la realtà virtuale non è demonizzabile, ma occorre in ogni caso lavorare sul piano culturale per un uso consapevole e positivo degli strumenti tecnologici in maniera tale che il web non sostituisca il reale, non lo banalizzi, ma lo arricchisca di umanità, sollecitazioni, strumenti operativi e confronti critici.

Le relazioni interpersonali nell’era digitale hanno avuto trasformazioni complesse che presentano ambiguità e lati alquanto oscuri in una mutazione antropologica e culturale in cui sembrano prevalere scambi veloci, giudizi poco meditati e linguaggi non solo grammaticalmente inaccettabili, ma in molti casi irrispettosi e volgari nella terminologia.

Quando la relazionalità è svuotata di senso e manca perfino di rispetto crediamo debba interrogare chi si occupa o dovrebbe preoccuparsi dei processi educativi soprattutto all’interno della famiglia e della scuola.

Il dilagare di culture, tecnologie e paradigmi metodologici va sicuramente analizzato per interrogarsi se risponda a criteri di scientificità e di rispetto della dignità, dei diritti e della felicità degli esseri umani.

Certo la cultura dei post rapidi e dei giudizi poco studiati e ponderati determina talora relazioni di confronto davvero difficilmente apprezzabili.

Non sappiamo se i rapporti umani e culturali debbano ancora immaginare le forme di frequentazione amichevole che si sono costruite nelle famiglie aperte, nella scuola e nelle tante forme di associazioni culturali e per il tempo libero, ma ci sembra indubitabile come il confronto umano diretto non abbia eguali nel costruire conoscenza, rapporti umani e spirito critico.  

di Umberto Berardo

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