Il castello pure se isolato non soffre di solitudine
In verità non è mai isolato perché nell’intorno vi sono accorgimenti difensivi a supporto del mastio
di Francesco Manfredi Selvaggi
9 Dicembre 2024
In verità non è mai isolato perché nell’intorno vi sono accorgimenti difensivi a supporto del mastio. I manieri lontani dagli abitati sono però vicini agli elementi naturali, non manomessi dalle azioni antropiche perché luoghi accessibili con difficoltà.
È un monumento particolare il castello perché la sua tutela si deve estendere necessariamente all’intorno specificando che l’intorno cui si fa riferimento non è solo quello urbanistico bensì pure quello ambientale. Le opere castellane hanno l’esigenza che venga salvaguardato il contesto in cui sono inserite, oltre quello urbano anche l’ambiente naturale cui generalmente stanno a contatto. I manieri di regola non sono ubicati al centro di un nucleo abitato come succede, invece, per le chiese parrocchiali e per i palazzi signorili. I castelli se ne stanno in cima al colle sul quale è abbarbicato il borgo, un luogo sgombro di abitazioni, essi sono posizionati ai margini degli insediamenti, vedi il castello D’Evoli a Castropignano, si ergono isolati almeno da un lato, il lato dove, in genere, vi è un precipizio.
Sono due i motivi per cui occorre preservare i dintorni del castello. Il primo è che il sistema difensivo include oltre alla rocca anche una serie di dispositivi per la difesa che fanno un tutt’uno con essa, quali fossati, nei castelli di Venafro, Pescolanciano, Campobasso, cinte murarie estere al mastio, vedi la murazione a protezione della torre angioina di Riccia, che tengono a debita distanza gli assalitori o, comunque, ne rallentano l’avanzata verso la residenza del feudatario. Ci sono pure al di fuori del castello torrette di avvistamento, a Campobasso la torre Terzano che ha il compito di segnalare l’avvicinamento dell’esercito nemico, ma anche lo scoppio di rivolte popolari contro il potere feudale e di contrastare l’assalto, non per niente nel paramento murario sono predisposte buche per l’alloggiamento dei cannoni aventi sotto tiro la città.
A Castropignano, che continuiamo ad adottare come esemplificazione, ha le parvenze di un rivellino lo sperone in muratura ad angolo acuto che antecede l’ingresso al castello. La seconda delle motivazioni che ci devono spingere a mantenere inalterato lo stato dei luoghi al perimetro del castello è che non è inusuale che si tratti di ambiti di notevole valenza ecologica, non manomessi dall’uomo specie se si è di fronte a pendii assai scoscesi, cui si accosta il castello per proteggersi dagli schieramenti armati che lo minacciano, l’orografia come barriera difensiva dunque. La fascia di terreno fortemente inclinato prossimo al manufatto castellano viene a costituire una sorta di pomerio.
La prova schiacciante di quanto appena detto è la Collina Monforte alla quale si sovrappone il castello del Conte Cola, che è stata riconosciuta addirittura Sito di Interesse Comunitario. È questa che si è esposta una ragione di ordine ambientalistico che assume un’importanza notevole a partire dalla seconda metà del secolo scorso con la questione della salvaguardia della natura diventata un argomento primario nella coscienza collettiva. C’è un ulteriore interesse in campo di cui tener conto nell’affrontare il tema della conservazione dell’ambiente in prossimità del maniero ed è quello percettivo.
I nostri piani paesistici prescrivono l’immodificabilità del territorio per una striscia di 50 metri, i quali in Francia sono 500, a partire dalla fortificazione. Nella Repubblica Francese la spinta alla formulazione della norma è stata dettata dalla volontà di isolamento dei monumenti, il bene culturale come valore assoluto, qui da noi, il punto di vista è, in qualche modo, ribaltato, è il paesaggio, di cui i segni storici tra i quali sono ricompresi i castelli sono una componente primaria, il core business dell’azione pubblica, il pubblico è la Regione che ha predisposto la pianificazione paesaggistica.
Che il castello sia un oggetto integrato nel contesto visivo è rilevabile anche dal materiale con cui è stata costruita la murazione che è la pietra lasciata facciavista; nel capoluogo regionale i conci del castello sono a km 0 poiché provengono dalla adiacente cava, ora dismessa, del monte S. Antonio, altro nome della collina Monforte. Una materia prima, la roccia, non ovunque disponibile, non reperibile in loco sempre, in assenza della quale si fa ricorso al mattone il quale è fatto con l’argilla la quale è il substrato geologico dei rilievi bassomolisani, il palazzo baronale della famiglia Cini a Portocannone è in laterizio.
Tra le opere fortificate e il territorio vi è una stretta relazione, esse non sono delle monadi. Lo si può constatare osservando le cosiddette torrette saracene che presidiano la costa: esse sono connesse da un lato alla riva marina e dall’altro lato fra loro a formare una catena rappresentando un filo conduttore nella lettura del sistema territoriale. Tali torrette costituiscono dei punti focali che assicurano continuità al panorama costiero. Una rete di piccole torri, ora sono tre, si trova pure al capo opposto del Molise, non più a est bensì a ovest della regione, sovrastanti il nucleo urbano di Venafro, un posto di passaggio obbligato per la via degli Abruzzi il cui traffico esse sono preposte a controllare.
Seppure puntuali, in definitiva, le torri di vedetta sono connesse ad una logica di sorveglianza militare di tipo lineare, la linea è una volta la riva del mare e una volta la strada. La tutela non può seguire comunque lo schema sopradetto di punto e linea dovendosi porre sotto protezione i circondari che ricomprendono, del resto di elevate qualità ecosistemiche, sia il litorale sia la montagna venafrana, per cui alle categorie del puntuale e del lineare va aggiunta quella dell’areale.
(Foto: F. Morgillo – Veduta notturna del castello di Civita Superiore)
di Francesco Manfredi Selvaggi
9 Dicembre 2024