• 03/15/2021

Il Convito di San Giuseppe

I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre

di Vincenzo Colledanchise

15 marzo 2021

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l paese si animava già una settimana prima, si coglieva nell’aria l’euforia per i primi timidi tepori primaverili e finalmente, dopo il lungo letargo invernale, iniziavano quelle feste all’aperto, attese e desiderate, con banda e fuochi artificiali.
La festa di San Giuseppe era molto attesa dagli uomini che si erano piamente confessati e comunicati la sera prima nella messa dedicata solo a loro.
La devozione al santo si manifestava soprattutto col convito, un pranzo offerto ai poveri dalle famiglie più agiate.
Per tale motivo, annualmente, in casa dei D’Amico, si rimetteva in funzione l’antico forno di casa e le relative fornacelle sulle quali si cuoceva a fuoco lento il baccala’ origanato che per non farlo scuocere, lo si adagiava sulle canne spezzettate nel grande ruoto di rame.
Nel vecchio camino si alimentava la fiamma per far cuocere i maccheroni con la mollica. Quest’ultima veniva sminuzzata dai grandi panelli mediante l’ausilio della tavola da bucato.
A ridosso della grande caldaia, nel camino, dominavano le due pignatte, con chili di fagioli, i migliori, quelli “bianchi a confetto”. Il gorgoglio della bollitura dei fagioli nelle pignatte inondava la casa di quel tipico odore che faceva venir l’acquolina in bocca, come i dolcissimi “calzoni”, che dicevano gli anziani avessero potere afrodisiaco.
Erano sempre gli stessi gli ospiti e gli inservienti che annualmente si davano convegno per quel pranzo tipico contadino, perché una volta invitati al convito di S. Giuseppe si aveva l’obbligo di “onorare la tavola” annualmente. Il convito stesso, di generazione in generazione, veniva tramandato ai posteri.
IL grande quadro del santo dominava la piccola sala da pranzo, davanti al quale ardevano dei lumi ad olio e si recitavano le preghiere dei commensali, dopo che la tavola era stata benedetta dal frate.
Era naturale l’euforia in tavola, non solo per le buone e genuine pietanze contadine, ma perché il miglior vino concorreva a infuocare gli animi per i soliti animati discorsi di politica locale.
Alla fine del lauto pranzo ci si alzava tutti in piedi e, oranti, si pregava per i defunti di quella famiglia.
Unico problema di quella antica devozione non erano le preghiere finali, seppur lunghe, ma gli stomaci esageratamente pesanti, dopo aver ingurgitato tutto quel ben di dio.
Ci si alzava da tavola sazi ma dolenti; non si resisteva al fascino di rimettere piede nel passato gastronomico degli avi che dovendo zappare e fare lavori pesanti, smaltivano molto più facilmente quelle genuine pietanze presenti nella tavola di S. Giuseppe.

di Vincenzo Colledanchise

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