• 03/10/2023

Il foro ombelico di Altilia

La città pare si sia sviluppata a partire dalla piazza la quale è stata usata come punta di un compasso per tracciare il cerchio

di Francesco Manfredi Selvaggi

9 Marzo 2023

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Quasi che tale città si sia sviluppata a partire da tale piazza la quale è stata usata quale punta di un compasso per tracciare il cerchio, in realtà è un quadrato, all’interno del quale si sarebbe dovuto sviluppare l’abitato. Oltre che in senso geografico l’area forense è il cuore dell’insediamento svolgendosi qui le funzioni direzionali e culturali ed essendo il luogo di incontro della cittadinanza (Ph. M. Martusciello- Altilia Foro)

Lo spazio occupato dal foro risulta concepito fin dal momento della nascita di Altilia. Qui, come del resto nel resto delle colonie, la prima definizione della città non è stata limitata al tracciamento delle mura, tracciamento che Romolo per delimitare i confini della capitale dell’impero effettuò con il vomere dell’aratro scavando un solco, bensì ha compreso il disegno della viabilità, in verità i due assi viari seguono percorsi preesistenti, il tratturo e il tratturello, e pure l’individuazione dell’area forense.

Se per l’Urbe, in altri termini, era stato sufficiente stabilire la linea di demarcazione del perimetro urbano, nelle cittadine da essa create nelle Province c’è stato bisogno anche della fissazione del sedime delle strade e della piazza per poter attribuire a quel luogo il rango di urbs. In poche parole, il foro ricopre, magari non ha la medesima pregnanza simbolica della trincea fatta dal primo re di Roma, un ruolo primario, insieme alla rete stradale e ovviamente alla cinta muraria, nell’ideazione della, in greco, polis.

All’origine il foro era una semplice superficie vuota, non è nato cioè come Minerva dalla testa di Giove già tutta formata, ma ha preso forma nel tempo, più propriamente in 2 tempi, la fase repubblicana in cui si ha il primo impianto delle opere pubbliche che vi insistono e la fase imperiale in cui si ha un processo di monumentalizzazione delle attrezzature cittadine; si ha una trasformazione radicale delle costruzioni alla stregua di quanto stava facendo a Roma Augusto il quale si vantava di averla trovata fatta in mattoni e lasciata in marmo.

Durante i secoli dell’impero si aggiunsero a Saepinum ulteriori strutture a carattere collettivo le quali, però, non trovarono posto nel foro sia perché questo era ormai saturo, non il piazzale, s’intende, i suoi fronti, sia perché servizi, si sta pensando al teatro e alle terme, che richiedono zone dedicate. Un inciso, per quanto riguarda le terme vi doveva essere presumibilmente anche un impianto termale proprio alle spalle del foro, le Terme Silvane. La società all’inizio dell’età cristiana si presentava in evoluzione la quale aveva portato a far emergere una domanda di infrastrutture anch’esse evolute, per soddisfare la mente, gli edifici, ad Altilia è un edificio, teatrali, e il corpo, le terme e la piscina, di quest’ultima non ci sono pervenute evidenze fisiche.

Tali manufatti vennero posizionati adiacenti l’un l’altro in un apposito quartiere, tutte cose voluttuarie se non voluttuose inconcepibili per l’austera mentalità del periodo della Repubblica. Non solo per le specifiche esigenze funzionali e per l’insufficienza di terreno disponibile nel centro città, cioè per una impossibilità oggettiva, ad impedirne l’ubicazione nel foro vi era soprattutto una questione legata alla loro significatività. Sarebbe stato veramente difficile integrare queste architetture nell’ambito forense per il loro carattere ludico il quale è in contrasto con le valenze sacrali conferite al foro dalla presenza del templio.

Inoltre esse sarebbero dissonanti rispetto all’aura di ufficialità attribuita al foro dalle sedi delle magistrature le quali qui sono ubicate e alla sua natura di centro direzionale. Gli organismi architettonici di tipo ricreativo di cui stiamo parlando, le terme e il teatro, sono comunque di uso comunitario e perciò la loro localizzazione ottimale sarebbe nel cuore della comunità. Non bisogna, occorre avvertire, fare l’errore di imputare la carenza di lotti da assegnare a funzioni aggiuntive ad una ristrettezza del foro il quale, anzi, ha una dimensione notevole, ancora oggi sorprendente se paragonata agli slarghi, i larghi, che incontriamo nei nostri nuclei storici, anche i maggiori.

Una estensione davvero consistente, se non esuberante se si considera che per completare l’occupazione del lato che condivide con il decumano si è permessa la costruzione di una dimora privata i cui ricchi proprietari hanno prontamente approfittato dell’ubicazione privilegiata aprendo una bottega con affaccio, nientemeno, sul foro. C’è, inoltre, a seguire sul medesimo lato che è nello stesso tempo del foro e del decumano un opificio industriale, una fullonica, anche se non sarebbe da scartare l’ipotesi che consista in un silos con le anfore contenenti granaglie infilate in fosse semiconiche, il grano un autentico bene comune da custodire nel punto, il foro, di riferimento comune; ad avvalorare la tesi vi è la vicinanza del mulino ad acqua recentemente ricostruito.

Il progetto di foro non risponde ad una tipologia prefissata, non vi è uno schema prefissato nella trattatistica antica, esempio in Vitruvio, per esso non vi sono misure prestabilite. L’unico elemento che fa pensare all’esistenza di una qualche regola tipologica è l’equivalenza tra la lunghezza del lato corto, uno dei due, del foro con quella del lato lungo, uno dei due, della basilica la quale fa da sfondo al primo, un bel fondale. Si noti che la basilica è l’unica architettura di rilievo che non dispone la sua facciata maggiore lungo il decumano prediligendo mostrare il suo prospetto principale, nel senso del più esteso, a chi si trovi a frequentare il foro.

L’impianto basilicale, peraltro, è emblematico in riguardo alla questione della univocità della destinazione d’uso derivante da una certa configurazione architettonica: l’utilizzo della basilica è intercambiabile, si ha la sua conversione in chiesa con la conversione della popolazione al cristianesimo, cosa che ad Altilia non è avvenuta. Nella basilica c’è una ripetitività della forma, non, lo si ripete, della funzione cui assolve, nel foro, al contrario, vi è un’unicità della soluzione adottata. Per il foro ci si è lamentati poco fa dell’assenza di una regola, tipologicamente parlando, da seguire nella sua “progettazione” e dire che Altilia è nata nel segno, lo si è sottolineato all’inizio, dell’assoluto rispetto di un canone urbanistico collaudato, applicato mille volte dai Romani in giro per il Mediterraneo e nei territori conquistati dell’Europa continentale.

L’indeterminatezza che si rileva dal punto di vista formale la si coglie pure nella ragione sociale attribuita a tale “vuoto” in seno all’aggregato insediativo: da agorà, in greco, cioè arena per le discussioni e i confronti cui partecipa la cittadinanza, quindi da simbolo della democrazia a quello del potere centralizzante di Roma con il foro dominato, è rialzato su un podio, dal tempio di Giove Capitolino, da largo spiazzo per le libere assemblee del popolo a piazzale per le adunanze del popolo indette dai dominatori.

di Francesco Manfredi Selvaggi

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