• 04/21/2023

Il fu carcere di Larino

Lettera aperta a quanti osano scommettere sulla redenzione delle persone

di  Antonio Di Lalla (da lafonte.tv)

21 Aprile 2023

Chi è convinto che il carcere debba essere semplicemente un luogo di espiazione della pena, chi ritiene che i delinquenti debbano essere rinchiusi e buttata la chiave, chi pensa che l’errante sia da identificare con il suo errore, può saltare tranquillamente la pagina se non vuole correre il rischio di autoinnescarsi una crisi nel profondo della coscienza e rimanerne danneggiato.

Il carcere di Larino era – sottolineo il verbo al passato -, fino ai primi di dicembre 2022, prima cioè che insieme all’inverno meteorologico subentrasse l’inferno esistenziale, una realtà in divenire dove la persona detenuta era “persona” prima che detenuta. La direzione del carcere, da diversi lustri nelle sapienti mani della dott. Rosa La Ginestra, scommetteva sul recupero e il reinserimento sociale degli ospiti attraverso la scuola di ogni grado, con la possibilità di diplomarsi all’istituto alberghiero o all’agrario, senza escludere l’accesso all’università per i più volenterosi. Perché lo studio non rimanesse teorico, si aprivano, sempre all’interno del carcere, laboratori di pasticceria, di pizzeria, di trasformazione del latte, di sartoria, serre per la produzione di verdura. C’erano la cura del verde, dei frutteti, si attivavano corsi di teatro, di pittura, di musica, ecc. Non era il paese di Bengodi ma la partecipazione dei volontari con le loro competenze, da quelle spirituali a quelle culturali o di buona manualità, contribuiva all’umanizzazione di un istituto che, pur rimanendo sempre un carcere, apriva spiragli, opportunità, per chi maturava la voglia di redenzione e di riscatto.

La diocesi di Termoli-Larino, fedele al mandato del suo Maestro che fa vertere il giudizio finale anche sull’“ero in carcere e mi avete visitato”, molto ha investito, non solo economicamente, sul benessere di coloro che sono incappati nelle maglie della giustizia. Oltre al servizio Caritas all’interno dell’Istituto di pena per i meno abbienti, ha approntato, tra le altre cose, cinque appartamentini per accogliere i familiari dei detenuti che, provenendo da varie parti d’Italia o dall’estero, vengono a visitare i loro cari, e per gli ospiti del carcere che maturano permessi. Offre borse lavoro e assunzione a tempo indeterminato in una falegnameria a semiliberi o a fine pena e ospitalità ad alcuni affidati ai servizi sociali. L’obiettivo è di creare interazione tra la città e il carcere perché nessuno si senta definitivamente bollato come reietto, perché la persona – è bene ribadirlo – è molto di più dei suoi possibili crimini, che non vanno sottovalutati ma neppure assolutizzati.

Un capitolo a parte meriterebbe la parzialità della giustizia in Italia che fa sì che i poveri, i marginali, gli immigrati, insomma la manovalanza finisca in carcere mentre i famosi colletti bianchi riescono a trovare sempre qualche comma di una qualche legge che li tiene fuori. Il parlamento, quante volte è stato piegato all’approvazione di leggi ad personam? Berlusconi docet et imperat! Per dirla con Trilussa “la serva è ladra, la padrona invece è cleptomane”. Insomma la legge è uguale per tutti ma non tutti sono uguali per la legge!
Nel pieno della notte tra il cinque e il sei dicembre vengono catapultati nel carcere di Larino circa 250 agenti per una perquisizione a tappeto e che cosa trovano? Cinque telefonini e un po’ di fumo, cose che saltano fuori, puntualmente, ad ogni ordinaria perquisizione. “Molto rumore per nulla” scrisse Shakespeare già nel 1600. A tal proposito c’è da dire che di telefonini tra gennaio e febbraio sono stati trovati almeno cinque e anche della droga. Era un vecchio stoccaggio o la probabilità che il bisogno aguzza l’ingegno? Naturalmente non si è avuta nessuna risonanza sugli organi di informazione. La direttrice viene indagata e, seduta stante, rimossa. A lei subentra una nuova dirigenza che si arroga il compito di Attila: dove passa non deve più crescere neppure un filo d’erba! Prima blocca e poi riduce ogni forma di volontariato, fino alle comiche: si autorizzano i volontari ad entrare ma non si autorizza l’apertura dei laboratori! Decreta che cani, gatti, papere e galline vengano portati fuori dalle mura del carcere: con l’arrivo delle rondini schiererà i fucilieri sugli spalti per mitragliare i volatili? Ordina che non si dia più acqua alle piante, che si smantellino le serre e si abbattano tutti gli alberi dentro le mura; chiude tutte le attività dalla pasticceria al caseificio, impedisce ad alcuni di continuare ad andare a scuola, azzera le già poche possibilità di socializzazione fra le sezioni nel carcere. Velleità di una direttrice sola al comando o strategia pianificata delle destracce di governo?

Oggi c’è aria tesa non solo fra i detenuti ma anche fra gli agenti di custodia. Possono le sigle sindacali tacere senza diventare conniventi? La garante dei diritti dei detenuti è latitante, l’associazione Antigone sta cercando di farsi ricevere per avere spiegazioni, alcuni parlamentari (che hanno libero accesso sempre) sono stati interessati e spero che presto vadano a rendersi conto della situazione, voi lettori, che avete avuto la bontà di leggere fin qui, siete stati messi a conoscenza. Nessuno potrà più dire: io non sapevo. Al sottoscritto, intanto, cappellano volontario – volontario perché non ha voluto essere inquadrato e stipendiato dalla struttura – il giorno 9 marzo è stato notificato in portineria l’impossibilità di accedere al carcere, senza mai una contestazione di merito o di demerito.

Un appello prima che sia troppo tardi: impediamo che il carcere dismetta la funzione riabilitativa e diventi un lager. È in atto un tentativo di spegnere la speranza e con essa la vita, ma con Neruda mi sento di poter gridare: potrà tagliare tutti i fiori ma non fermerà la primavera.

di  Antonio Di Lalla (da lafonte.tv)

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