Il Molise che sta morendo
La Gabanelli recita il de profundis
di Redazione forchecaudine.com
14 Marzo 2025
Siamo stati facili profeti, sin dagli anni Ottanta, a prevedere che il Molise – senza significative variazioni territoriali – avrebbe potuto fare una brutta fine. Ed è quello che si avvia a fare, nonostante gran parte della politica locale si arrocchi come a Masada prima dell’assedio.
L’identità molisana è principalmente quella sannita. Le denominazioni di molti paesi lo ricordano. E proprio al Sannio avrebbero dovuto pensare molti amministratori locali, progettando una “riunificazione” con Benevento e altre zone di confine, sia in Abruzzo sia in provincia di Caserta. Avremmo avuto una regione più grande, più forte anche a livello identitario, con un numero di abitanti simile a quello di altre piccole regioni. Invece la politica molisana ha continuano l’arroccamento, ha fatto orecchie da mercante e ora sta di fatto consegnando i brandelli del Molise all’Abruzzo.
Nei giorni scorsi c’ha pensato un’emiliana doc come la giornalista Milena Gabanelli, quindi una che se ne intende di territori felicemente uniti tra loro come l’Emilia-Romagna, a fornire dati inequivocabili che attestano il fallimento politico (ed economico) del Molise. Parla di “un’area sempre più disabitata e sommersa dai debiti” e ciò purtroppo è incontrovertibile.
Ricostruisce, inoltre, la storia amministrativa del Molise, ricordando che già nel 1947, durante l’Assemblea costituente, venne proposta la creazione della regione Molise con appena 418mila abitanti (allora). Dovettero però passare 15 anni e nel 1963 una legge costituzionale ha sancito la nascita della più piccola regione del Mezzogiorno. Nel 1970 è stata costituita anche la provincia di Isernia, ma i tutti i mali sono rimasti, a cominciare dal dissanguamento migratorio, che poi è conseguenza di ben altri problemi. Fatto sta che dal 1963, mentre l’Abruzzo ha incrementato, seppur di poco, i residenti (da circa 1,2 a poco meno di 1,3 milioni), il Molise ha perso oltre il 20 per cento dei suoi abitanti, da circa 360mila agli attuali 280mila. Il Molise è l’unica regione italiana ad avere una popolazione inferiore rispetto al tempo dell’Unità d’Italia.
Chi sognava di trasformare il Molise in una sorta di “isola felice” s’è dovuto ricredere. Il livello della classe di amministratori – causa anche lo scarso numero di abitanti – è stato mediamente basso. Ma i problemi sono stati quelli tipici delle zone montane in periodi in cui le migliori opportunità di studio e di lavoro si sono concentrate nelle grandi città. Nella logica del cane che si morde la coda, il Molise ha visto volatilizzarsi tanti servizi e le difficoltà sono cresciute giorno dopo giorno. Ricorda ancora la Gabanelli che “gli abitanti dei 136 comuni del Molise hanno difficoltà a raggiungere i 20 specifici uffici pubblici perché dislocati troppo lontano o addirittura in altre province fuori dalla regione ‘Abruzzi e Molise’. Ad esempio, per l’esame della patente bisogna raggiungere la motorizzazione a Pescara, per il distretto militare si deve andare a Bari, per la Corte d’Appello a Napoli, i servizi erariali a Benevento e così via. Problemi, nell’Italia contadina del tempo, comuni a molti altri territori. Sarebbe bastato modificare la giurisdizione e aprire qualche ufficio a Campobasso. Si è preferito dar vita ad una Regione. L’ironia della storia è che di quei 20 uffici, a distanza di 60 anni, solo 9 sono stati trasferiti effettivamente nel capoluogo di provincia, mentre il resto è rimasto altrove, come il comando generale dei carabinieri, che sta in Abruzzo”.
Tutto vero. Così come il fatto che l’Abruzzo ha saputo crescere meglio. Si pensi alle infrastrutture: non solo i treni, ma soprattutto una rete autostradale d’eccellenza che da Roma collega direttamente le quattro province abruzzesi (Chieti, L’Aquila, Pescara e Teramo), nonché direttamente la Marsica con la Roma-Avezzano. E il Molise? Un disastro. La situazione ferroviaria è praticamente rimasta quella degli anni Sessanta, salvo qualche eccezione, mentre le strade sono quelle degli anni Settanta (tranne la Trignina), tra l’altro pericolosissime.
Anche il confronto economico penalizza il Molise, partito più povero dell’Abruzzo ed ora con una forbice che s’è allargata ulteriormente. Tra il 2001 e il 2014, mentre il Pil dell’Abruzzo è calato del 3,3%, quello molisano è precipitato di quasi il 20%. Evidenzia ancora la Gabanelli, che nel 2023 le chiusure di aziende in Molise hanno superato le aperture con un saldo negativo di 188 aziende, dato peggiore in Italia.
C’è di più: la giunta di centro-destra guidata da Francesco Roberti ha deciso di aumentare l’addizionale Irpef per i redditi superiori a 28 mila euro al 3,33%, l’aliquota più alta d’Italia (in Abruzzo è ferma all’1,73%). “La capacità di gettito però resta limitata, anche perché bisogna mantenere un apparato regionale che costa 30,7 milioni di euro, circa 105 euro a testa contro i 60 dell’Abruzzo – scrive ancora la Gabanelli sul Corriere della Sera.
La Gabanelli cita l’ex questore Gian Carlo Pozzo, che abbiamo sentito anche noi nelle scorse settimane, uno dei promotori della raccolta di quasi 5mila firme per il ritorno in Abruzzo. Il dottor Pozzo ricorda che la Regione è gravata da un pesante debito che combatte a suon di tasse e tagli e non è più in grado di garantire ai cittadini servizi essenziali come sanità, trasporti e formazione.
Dispiace che sia finita così. E serve a poco dire – prove alla mano – che noi di “Forche Caudine” l’avevamo previsto già negli anni Ottanta. Di certo, a differenza di altri territori, non avremo eroi a cui dedicare statue nelle piazze. Semmai consacrarli all’eterna maledizione.
di Redazione forchecaudine.com
14 Marzo 2025