Il Molise esiste. Per ora
Maurizio Crozza: “Siamo passati da – per l’Italia decide tutto Strasburgo –, a – decide tutto Campobasso –”
di Paolo Di Lella (da ilbenecomune.it)
20 aprile 2018
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Domenica prossima avranno luogo le elezioni regionali in Molise e, una settimana dopo, nel Friuli Venezia Giulia. Il risultato inciderà – dicono gli osservatori – anche sulla formazione del Governo nazionale, ancora in complicata gestazione. Sarà una partita a due, fra Donato Toma del centrodestra che si presenta forte dell’accordo inedito tra Iorio e Patriciello e con nove liste a suo sostegno, e Andrea Greco indicato come candidato presidente dalle consultazioni interne dei 5 Stelle, che vuole sfruttare il consenso travolgente (44%) che i molisani hanno accordato alla formazione che vuole rompere con i vecchi schemi e con gli interessi consolidati che hanno governato finora la Regione. Penalizzato dai sondaggi e dalle aspettative, il candidato del centrosinistra Carlo Veneziale, che paga i 5 anni di amministrazione lacrime e sangue di Paolo di Laura Frattura del quale, oltretutto, è stato Assessore negli ultimi due anni.
Ci (ri)siamo. Fra pochi giorni i molisani torneranno alle urne per scegliere il nuovo governo regionale. Mai come in questi giorni la nostra piccola, tenera, marginale e poco comunicativa regione è stata al centro dell’attenzione mediatica e politica nazionale. Maurizio Crozza, nella puntata di Fratelli di Crozza andata in onda lo scorso venerdì, ha paragonato il Molise all’Ohio, lo Stato in cui si decide il Presidente americano.
Anche Diego Bianchi, conduttore di Gazebo, è stato in Molise la scorsa settimana. Per raccontare la nostra terra ha scelto di percorrere un itinerario eno-gastronomico. Lo ha fatto con il suo stile, come dire, un po’ pigliaculo, tra il serio e il faceto. L’esito è stato più che gradevole, tutto sommato.
Niente, comunque, che possa giustificare l’entusiasmo di certi giornalisti “social”, che in questi giorni non stanno nella pelle, tutti intenti a postare la replica della puntata, prova inconfutabile – secondo loro – che il Molise esiste.
Su una cosa costoro hanno ragione: il Molise esiste in quanto se ne parla. Il problema è che chi ne parla – come in questo caso – del Molise non sa nulla. Dunque, seppure esiste una rappresentazione del Molise, per quanto superficiale e scarna, il Molise non esiste ancora per i molisani. Chi, tra questi ultimi, saprebbe e potrebbe raccontarlo viene guardato con sospetto dagli altri e dalla politica umiliato e isolato.
Un altro problema è che, passata la sbornia elettorale, sul Molise torneranno a spegnersi i riflettori.
Tutto ciò dovrebbe porre il problema di dotarci di una classe politica all’altezza dei tempi, capace di traghettare la regione fuori dal guado di arretratezza in cui è invischiata.
Stando ai contenuti espressi dalla campagna elettorale ormai agli sgoccioli, c’è poco da illudersi.
Il candidato di centrodestra, Donato Toma, appoggiato da ben nove liste e da una squadra di vecchi volponi della politica (vedi Michele Iorio), potentissimi uomini d’affari (Aldo Patriciello) e transfughi provenienti dal governo uscente (Vincenzo Cotugno, Vincenzo Niro, Massimiliano Scarabeo, Domenico Di Nunzio), ripete ad ogni pie’ sospinto che non ci sono soldi e che bisogna attrarre i finanziamenti europei.
Da parte sua, il motto del candidato di centrosinistra, Carlo Veneziale, è che, dopo le necessarie politiche lacrime e sangue di Frattura, è arrivato il momento di redistribuire. In che modo e con quali prospettive non è dato sapere.
Comunque, riguardo a Carlo Veneziale, non si può non apprezzare lo spirito di servizio nei confronti del suo partito, visto che sa benissimo di perdere.
La partita sarà tra il centrodestra clientelare e il Movimento 5 Stelle, definito “populista” soprattutto dal PD, il cui blocco sociale di riferimento è composto oramai dalla media e dalla grande borghesia benpensante e con la puzza sotto il naso, tifosa dell’establishment globalista.
Stando all’entusiasmo che ha accompagnato le uscite pubbliche del Movimento, ai veri e propri bagni di folla con cui è stato accolto Di Maio a Termoli e a Isernia, non dovrebbe esserci partita. Senonché bisogna tener conto che le dinamiche del voto locale sono assai diverse da quelle che si osservano nelle elezioni politiche. Non a caso nel Lazio, dove il 4 marzo si è votato anche per il rinnovo del Consiglio regionale, il M5S ha ottenuto quasi il 32% dei consensi, testa a testa con il centrodestra, mentre nel voto regionale ha perso quasi 200.000 voti, lasciando campo libero al candidato del centrosinistra, scavalcato pure dal centrodestra.
Il voto locale è molto meno libero, meno politico, potremmo dire.
È significativo, in ogni caso, che entrambi i poli tradizionali spendano gran parte delle proprie energie per buttare fango sui 5 stelle.
Il centrodestra lo fa nella maniera più volgare e bassa, per mezzo della stampa squadrista al suo servizio. Maurizio Belpietro e Vittorio Feltri sono alcuni dei personaggi meglio riusciti del programma “Fratelli di Crozza”. Il comico genovese, in modo esilarante, ne mette in risalto i caratteri tutt’altro che pacati, ma soprattutto la cultura sessista, il razzismo, il loro esprimersi per luoghi comuni di basso livello. Ebbene proprio il quotidiano “Libero” che da loro riprende il taglio insinuatore e sbrigativo, ha ricacciato una storia di trenta anni fa (Andrea Greco non era ancora nato) che vede coinvolto uno zio mafioso da cui – ma questo dimentica di raccontarlo – la famiglia del candidato pentastellato, tra l’altro, aveva opportunamente preso le distanze. Qui non si tratta neanche di far ricadere le colpe dei padri sui figli, ma addirittura le colpe degli zii sui nipoti! In tutti i modi, questo è il livello.
Il centrosinistra, da parte sua, insiste sul tasto della presunta incompetenza dei 5 Stelle. Noi ci permettiamo, intanto, di sottolineare la differenza tra impreparazione e inesperienza, precisando che casomai è quest’ultima che fa difetto al Movimento. Ma soprattutto non possiamo esimerci dal ricordare che molti Assessori della passata Giunta non hanno certamente brillato per competenza. Se il Molise non ha ottenuto alcuna citazione nel primo Atlante telematico dei Cammini d’Italia, solo per fare un esempio, lo dobbiamo al nostro brillantissimo Consigliere delegato al turismo Domenico Di Nunzio, il quale nel giorno della presentazione del portale, lo scorso 4 novembre a Roma, non ha inteso che avrebbe dovuto promuovere il Molise come terreno ideale per sviluppare il turismo culturale, ma è stato un campione nello sgomitare par farsi i selfie con il Ministro Franceschini. Avremmo potuto affidarci alla nostra Università, magari, ma noi ci siamo presentati col povero Di Nunzio. Fine della storia.
Comunque, al di là di (centro)destra e (centro)sinistra, quello che colpisce – ancora di più – di questa campagna elettorale – e dentro ci stanno anche i 5 stelle, seppure in maniera minore – è l’assenza di una visione politica a lungo termine, capace di proiettare il Molise nel futuro.
I discorsi dei candidati – di quello di Casapound non parliamo neanche, perché siamo antifascisti come è noto – non sono il frutto di un piano studiato nei mesi e negli anni insieme agli esperti in materia, ma slogan che rispondono soltanto alle rilevazioni statistiche, aggiornate in tempo reale, dell’umore popolare del momento.
Non solo i cinquestelle e Lega, ma tutto questo è populismo.
Noi ci abbiamo provato a fare una cosa un po’ diversa. Insieme ad una cinquantina di nostri collaboratori, abbiamo stilato un Manifesto della cultura per il futuro del Molise, e lo abbiamo sottoposto ai cittadini perché lo discutessero e lo sottoscrivessero, con l’intenzione poi di portarlo al confronto pubblico con la politica.
Un Manifesto – si legge nell’introduzione – non per un nuovo partito, sia chiaro, ma come servizio alla società per l’individuazione e la condivisione di contenuti programmatici analiticamente descritti per ogni settore della vita del cittadino, da quelli della produzione e del lavoro, della demografia e della mobilità territoriale, delle reti infrastrutturali, del welfare, della sanità, delle politiche culturali, a quelli della valorizzazione del patrimonio territoriale, dell’istruzione e della formazione, del rilancio della aree interne, dello sviluppo di un turismo ecocompatibile, degli assetti urbanistici, delle politiche culturali e della comunicazione. Un Manifesto punto di avvio di un’auspicata, e quanto mai necessaria, riconnessione tra società, cultura e politica, rinnovata ed originale forma dell’ “intellettuale collettivo” di cui abbiamo impellente necessità.
di Paolo Di Lella (da ilbenecomune.it)