Il morso del serpente
Racconti di Padre Antonio dalla sua Missione in Bangladesh (tratto da una pagina del diario)
di p. Antonio Germano Das, sx. (antoniogermano2@gmail.com)
4 marzo 2020
Poco dopo le nove di sera lascio Andrew, Sudhir e Mothi (miei stretti collaboratori) seduti in veranda e faccio la solita visita del villaggio. Nel cielo splende la luna piena e perciò faccio a meno di portarmi dietro la pila. Incomincio dalla scuoletta dove sono in corso le prove del kirton (un misto di canti e danze) in preparazione al Natale. Poi esco dal cancello, mentre i matubbor (sono i capivillaggio) entrano nel recinto della missione discutendo animosamente su un casino appena scoppiato tra la gente del villaggio. Faccio finta di non notarli e mi avvio verso la parte nord del villaggio: capannelli che commentano ad alta voce (forse perché io senta) l’ultimo avvenimento, che li tiene tutti un po’ tesi. Rientro dal mio breve giro e, sul punto di inforcare il sentiero che porta dentro la missione, sento qualcosa di viscido sul collo del piede ed ho l’impressione che che si tratti di una rana infilatasi su per i pantaloni. Torno a sedermi in veranda dove avevo lasciato i tre amici. Su un tavolinetto splende l’ heriken (lampada a petrolio). Tre sgabelli di vimini accolgono gli ospiti, il quarto aspetta me. Mi siedo e, ponendo le gambe a cavalcioni, sul collo del piede destro vedo spuntare una macchietta di sangue e, contemporaneamente, avverto l’inizio di un pizzicore. Comincio a prendere coscienza che non si è trattato di una rana, perché subito dopo scopro chiaramente i due puntini tipici del morso del serpente.
Faccio notare la cosa ai tre, i quali, dopo un attimo di smarrimento, si muovono attorno confusamente dando l’allarme: “Il padre è stato morso dal serpente!” Intanto Sudhir viene fuori con una corda con la quale mi stringe la gamba soto il ginocchio. Nel frattempo la gente del villaggio si è precipitata tutta in veranda a fare confusione. Facendo riferimento alla situazione di lotte interne nel villaggio, qualche espressione immediata mi viene spontanea e dico: “Al punto in cui è arrivata la situazione dei miei cristiani a Borodol, per me è meglio morire che continuare a vivere!” Attorno a me c’è tutto un muoversi convulso. E’ arrivato anche il kobiraj (curatore di villaggio), il quale raccoglie tutti gli attrezzi occorrenti per vedere se si tratta di un serpente velenoso o meno. Quindi incominciano gli esami. 1. Prova del capello: il kobiraj fa passare avanti e indietro sui due puntini un capello ed il capello non si spezza. 2. Prova del pulcino: il kobiraj con una lametta pratica un piccolo taglio nel luogo del morso e fa bere il sangue al pulcino; il pulcino non muore. 3. Prova della corteggia d’albero: il kobiraj mi chiede se il passaggio della corteccia sulla gamba mi provoca fresco o caldo. Dico che sento fresco. 4. Quarta ed ultima prova, quella del timo: il kobiraj mi fa masticare alcune foglie del timo (un albero dalle foglie di sapore amaro) e mi chiede se il sapore è dolce o amaro. Il sapore è amaro.
Il kobiraj si appresta a preparare altri intrugli. A questo punto gli dico: niente trucchi e soprattutto niente mantra (formule magiche)! Nel frattempo si era cercato nella camera di P. Piero Colombara, assente da Borodol, la famosa pietra nera, che fa miracoli contro il morso dei serpenti, ma nessuna traccia di essa. In quella situazione mi dico: anche se non c’è il veleno, in questa maniera la mia gamba andrà comunque alla malora. Sembra chiaro, dopo le prove effettuate, che non si tratti di serpente velenoso. Sono riuscito a conservare la calma durante tutto questo processo, sostenuto da una grande fiducia interna. Ovviamente mi son tornate in mente le parole di Gesù nel Vangelo (Lc. 10,19). Intanto sono arrivate le dieci e prego la folla di allontanarsi perché il pericolo è scongiurato. Mi vogliono affidare qualche custode durante la notte, ma faccio loro capire che a me basta l’Angelo Custode. Così un po’ alla volta tutti sloggiano lasciandomi solo. Naturalmente il fatto ha sconvolto un po’ tutti e i matubbor prendono slancio per ristabilire la pace nel villaggio. Con un po’ di apprensione vado a letto senza peraltro riuscire a prendere sonno. Verso mezzanotte, sento bussare alla porta. Mi alzo e vado ad aprire. Sono i matubbor! Sono venuti ad assicurarsi sullo stato della mia salute e nello stesso tempo mi dicono che sono riusciti a ristabilire la pace nel villaggio. Loro si allontano ed io posso finalmente dormire tranquillo.
Borodol, 07.10.1982
(NdR: Per chi volesse contribuire per dare un aiuto agli ultimi tra gli ultimi nella missione di Padre Germano, ecco i dettagli:
Beneficiario: Procura Missioni saveriane
IBAN beneficiario: IT86P0623012706000072443526
Causale: Padre Antonio Germano – Bangladesh )
di p. Antonio Germano Das, sx. (antoniogermano2@gmail.com)