• 10/02/2019

Il Parlamento europeo e la memoria storica

Avere memoria su tutti gli orrori provocati nel corso della storia è importante per far avanzare uguaglianza, libertà e democrazia

di Umberto Berardo

2 ottobre 2019

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Il 19 settembre 2019 il Parlamento Europeo ha approvato a larga maggioranza con i voti delle destre, dei popolari e dei socialisti una “Risoluzione sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”.

Si tratta di un lungo documento nel quale, in occasione dell’ottantesimo anniversario dello scoppio della seconda guerra mondiale, dopo alcune considerazioni in premessa si tentano alcune analisi storiche e politiche alquanto confuse e in taluni punti davvero inaccettabili soprattutto perché frutto di una storiografia monca, parziale e talora deviante.  

Secondo la Risoluzione del Parlamento Europeo le cause scatenanti della Seconda guerra mondiale risalirebbero al patto Molotov-Ribbentrop firmato dall’Unione Sovietica comunista e dalla Germania nazista il 23 agosto 1939 e dal successivo “trattato di amicizia e di frontiera” nazi-sovietico del 28 settembre 1939 che avrebbero avuto come conseguenza l’invasione della Polonia da parte di Hitler e della Finlandia, della Romania, Lituania, Lettonia ed Estonia ad opera di Stalin.

Siamo in buona sostanza all’attribuzione unica di responsabilità paritarie sull’origine del conflitto alla Germania nazista e all’Unione Sovietica. 

La seconda tesi rappresenta una fondamentale strumentalizzazione politica che mira ad una equiparazione tra nazifascismo e comunismo mentre al punto 5 del documento si invitano gli Stati membri dell’Unione Europea a  “formulare una valutazione chiara e fondata su principi riguardo ai crimini e agli atti di aggressione perpetrati dai regimi totalitari comunisti e dal regime nazista”.

C’è poi l’invito a fare memoria storica sulle deviazioni totalitariste per impedire la banalizzazione e la negazione dell’olocausto e “per promuovere la resilienza alle moderne minacce alla democrazia”.

Intanto il riduzionismo della Risoluzione nella ricerca delle ragioni che hanno condotto al secondo conflitto mondiale è il frutto di una superficialità o di una limitazione nelle analisi storiche sull’evento che sono del tutto inaccettabili in un documento del Parlamento europeo.

Occorre allora fissare con chiarezza come la storia di quegli anni non è riducibile al patto Molotov-Ribbentrop né al successivo “trattato di amicizia e di frontiera” sui quali certo pesano gli errori politici di Stalin e le successive sue mire espansionistiche.

Pensare di poter approvare le scelte politiche del dittatore sovietico nella realizzazione di quel grande progetto del movimento comunista per l’emancipazione e la difesa del proletariato sarebbe davvero inaccettabile, ma è altrettanto intollerabile dimenticare che, sicuramente anche costretto dagli eventi a condividere certi atti politici per evitare l’isolamento, il popolo sovietico insieme a tanti altri è stato poi tra gli artefici della lotta di liberazione dal nazismo con i suoi ventidue milioni di morti. 

Dev’essere in proposito chiaro a tutti come il pensiero ispiratore di quello come degli altri conflitti è stato e continua ad essere la volontà di negare i diritti comuni per far emergere e affermare i privilegi di pochi.

La Seconda guerra mondiale nasce dall’idea prevaricatrice del liberismo economico di espandersi con la creazione di un imperialismo ispirato e promosso dalla grande borghesia e sostenuto da un processo di militarizzazione della società affermatosi in particolare nella Germania nazista e nel Giappone.

Questo espansionismo porta alla firma di due atti politici, di cui nessun cenno esiste nella Risoluzione del Parlamento europeo e tollerati allora dal mondo occidentale, che davvero costituiscono l’inizio dei crimini perpetrati ai danni di un’umanità indifesa rispetto alla barbarie crescente del nazismo.

Le cancellerie europee dell’epoca hanno gravi responsabilità nel non essersi opposte a due trattati che sono il Patto Anticomintern tra il Terzo Reich e l’impero giapponese contro l’Unione Sovietica del 25 novembre 1936 e l’Accordo di Monaco di Baviera del 29 settembre 1938 con i quali si dà libero spazio all’imperialismo nipponico e tedesco.

Dimenticare che gli anglo-francesi a Monaco consentono l’annessione dei Sudeti alla Germania è davvero non comprendere che quel cedimento è stato l’inizio della tracotanza hitleriana.

Ridurre allora le responsabilità della Seconda guerra mondiale a due sole nazioni, come purtroppo fa la Risoluzione del Parlamento europeo, non è solo un tentativo maldestro come altri di revisionismo storico, ma una mancanza di orientamento storiografico in una ricerca che avrebbe bisogno di prospettive legate ad una oggettività scientifica nell’indagine che a noi sembra davvero assente nel documento che abbiamo cercato di leggere e analizzare.

>Con tutti gli errori politici e le negatività storiche e umane che pure il socialismo sovietico ha avuto ci sembra davvero impensabile equipararlo alla follia nazifascista che ha messo in atto per anni l’idea dell’annientamento di intere popolazioni con l’olocausto.

Non si può nemmeno dimenticare che i rischi per la pace e la democrazia risiedono, oltre che nei regimi autoritari, anche in quel capitalismo selvaggio che nei secoli ha creato con il colonialismo discriminazioni, oppressioni e tanti morti in tutti i continenti.

Spesso l’ideologia da strumento di organizzazione della società può diventare un sistema che annulla la libertà e lo spirito critico.  

Avere memoria su tutti gli olocausti provocati nel corso della storia è importante proprio per far avanzare uguaglianza, libertà e democrazia, ma quella del Parlamento europeo, per usare un eufemismo, ci sembra limitata e dunque assai discutibile.

Documenti di tale portata vanno costruiti ed elaborati con attenzione, raffinato acume scientifico e con un confronto preliminare molto aperto.

Opporsi a regimi dittatoriali va benissimo, ma serve anche entrare nelle iniquità e nelle discriminazioni di un neoliberismo che ancora oggi prospera ad opera di Stati ritenuti o sedicenti democratici, ma nei quali davvero la partecipazione della popolazione alle decisioni politiche sembra solo formale o addirittura fittizia.

di Umberto Berardo

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