Il ritorno del lupo sull’Appenino
Il pastore Abruzzese “arma ecologica”
di Pasquale Luciani – fb
12 ottobre 2020
Il lupo (Canis lupus, Linnaeus 1758) da sempre temuto ed odiato nemico delle genti e delle greggi è il progenitore tutti gli attuali cani domestici.
L’uomo e il lupo sono sempre in competizione per la selvaggina e il territorio e quest’ultimo, nel corso della storia, ha subito una vera e propria opera persecutoria da parte del primo riducendolo ai bordi dell’estinzione in molte parti del globo. In Europa solo dopo la metà del XX secolo una crescente e diffusa campagna di sensibilizzazione ambientalista ha permesso l’attuazione di una politica di salvaguardia e recupero di questa meravigliosa ed insostituibile specie. Agli inizi degli anni settanta, gli esperti hanno valutato la popolazione di lupi in Italia in circa 100 esemplari. Grazie alle norme di tutela introdotte per legge nel 1976, al divieto di utilizzare esche avvelenate, all’incremento delle prede disponibili e ad un efficace lavoro di informazione, da allora l’area di diffusione del lupo sul territorio italiano è raddoppiata e il numero di esemplari è quadruplicato. Nel 1985 alcuni lupi sono stati avvistati per la prima volta nella zona di Genova, mentre nel 1992 è stata accertata ufficialmente la presenza di lupi nelle Alpi Marittime francesi. In seguito a questa diffusione, dal 1995 alcuni esemplari provenienti da sud sono migrati in territorio svizzero. Successivamente all’insediamento da parte di singoli esemplari, perlopiù giovani maschi, la formazione di raggruppamenti di famiglie e del branco è solo una questione di tempo e la colonizzazione di tutta la penisola è praticamente completata.
La reintroduzione del lupo all’interno dell’ecosistema delle principali dorsali italiane non è una questione soltanto civica ed idealistica. Il grande predatore costituisce una vera e propria risorsa per tutto l’ecosistema innescando una precisa opera di controllo e selezione mirata nei confronti dei grandi erbivori. Tutto l’ambiente ne subisce gli effetti positivi poiché in condizioni di equilibrio perfetto si innescano tutta una serie di reazioni biochimiche che producono una vera e propria opera risanatrice per tutto il territorio.
Emblematico il tal senso il caso del parco di “Yellowstone”:
La presenza dei lupi, reintrodotti dopo oltre 70 anni di assenza, ha infatti innescato una significativa “cascata trofica” la quale sta stravolgendo in positivo l’intero ecosistema vegetale ed animale.
I meccanismi alla base delle cascate trofiche (effetti indiretti dei carnivori sui vegetali mediati dagli erbivori) sono ancora poco noti. La prospettiva classica è che i carnivori, predando gli erbivori, ne riducono l’impatto sui vegetali. Gli erbivori, in risposta, possono adottare strategie comportamentali per ridurre il rischio di predazione, le quali possono limitare l’impatto sui vegetali e conseguentemente crearsi nicchie ecologiche per l’attecchimento di nuove specie faunistiche e floristiche… ne consegue non solo un beneficio per gli esseri viventi ma una vera e propria manna per tutto l’equilibrio geomorfologico regionale che tende a subire o a cessare del tutto l’erosione e la desertificazione del suolo.
Il ritorno del lupo, tuttavia, entra in conflitto con gli interessi dell’uomo. La convivenza con il grande predatore richiede tolleranza e disponibilità ad adeguarsi, in particolare per quanto riguarda l’attuale forma di allevamento di ovini con animali che pascolano senza sorveglianza del pastore, contrariamente alle tradizioni secolari. Gli animali domestici senza protezione rappresentano un vero e proprio invito per il lupo perché sono una preda più facile rispetto agli animali selvatici. Purtroppo si segnalano quasi settimanalmente episodi di nuova intolleranza nei confronti del lupo in Italia. Decine di esemplari avvelenati o cacciati illegalmente ogni anno rischiano di compromettere i risultati di decenni di politiche e battaglie ambientaliste. Meritano tutela, tuttavia, anche gli allevatori assolutamente esasperati ed impreparati ad affrontare questo problema.
È in questo quadro complesso e delicato che si inserisce a buon diritto “l’arma ecologica”: il nostro cane da Pastore Abruzzese o meglio il Mastino Abruzzese … Il WWF stesso a più riprese tentò una soluzione condivisa per diffondere i soggetti da lavoro provenienti dal mondo pastorale ma come sempre interessi e burocrazia ebbero la meglio ed il progetto denominato “arma bianca” naufragò con un sostanziale nulla di fatto. L’interesse per i soggetti rustici abruzzesi, tuttavia, non è mai venuto meno.
È noto che funzionari del ministero delle politiche agricole Francesi a tutt’oggi importano e ridistribuiscono in mezza europa cani provenienti direttamente dal mondo della pastorizia abruzzese senza però che a questa richiesta corrisponda una seria e precisa regolamentazione di cui potrebbero giovare tutti gli allevatori locali e l’intero settore regionale.
La convivenza con il lupo, dunque, è possibile e lo dimostra la millenaria civiltà pastorale abruzzese in cui il cane bianco come e più di oggi fu tassello fondamentale ed insostituibile di tale equilibrio.
È compito anche delle istituzioni farsi promotore e garante dell’utilizzo e della diffusione su scala Europea e mondiale della nostro cane e soprattutto può e deve ricadere nelle competenze della Regione Abruzzo salvaguardarne la razza con appositi provvedimenti atti a conservare e valorizzare gli aspetti peculiari morfo-funzionali. La cinofilia ufficiale (ENCI e FCI) dei ring e delle esposizioni non sono assolutamente il mondo per forgiare le caratteristiche millenarie del pastore abruzzese. Urge una soluzione condivisa per non perdere questo immenso patrimonio culturale ambientale regionale.
di Pasquale Luciani – fb