• 10/06/2022

Il tempo della semina

Una riflessione dopo le elezioni

di Rossano Pazzagli (da La Fonte, ottobre 2022)

6 ottobre 2022

Si avvicina l’autunno, il tempo della semina. Quello del raccolto è ormai passato. L’estate ha portato una messe di voti alla destra, non tanto in termini assoluti (circa 12 milioni di voti, grosso modo gli stessi del 2018), ma con una maggioranza significativa in percentuale e in numero di seggi, grazie a una legge elettorale pessima, che non assicura al Paese l’effettiva rappresentanza democratica. Così avremo un governo di destra che succederà a un governo che già stava facendo politiche di destra con il sostegno di tutti i partiti, anche di quelli come il PD che non vogliono definirsi di destra ma che hanno assecondato politiche emergenziali e liberiste, rinunciando al compito di cambiare il sistema. Dunque, non ci attende una sostanziale discontinuità, ma piuttosto una stagione politica che proseguirà nel solco tracciato, magari ricorrendo allo stesso Draghi, esponente riconosciuto dei poteri forti che tengono in mano le leve della politica dei partiti. Ci sarà qualche accentuazione nell’attacco ai diritti di solidarietà e di uguaglianza in ossequio al profilo post-fascista degli eredi del duce e per far piacere alla Lega in cerca di risalire le posizioni amaramente perdute. Non è escluso un ricongiungimento al centro tra Forza Italia e il duo Renzi-Calenda, paladini di una borghesia speculativa e autoritaria che include anche gran parte dei media. Ma questa riaggregazione centrista potrebbe comprendere anche il PD, che ormai ha definitivamente perso il legame con i ceti popolari e dunque ogni fisionomia di sinistra, a parte qualche significativa apertura sul tema dei diritti civili. Vedremo se i Cinque Stelle sapranno rinunciare al trasformismo che li ha caratterizzati nella passata legislatura.

Tutti sono nel sistema, paladini o puntelli del sistema capitalistico e consumistico che ha accresciuto le disuguaglianze nel Paese, precarizzato il lavoro, ridotto le possibilità di accesso ai servizi fondamentali (la sanità, la scuola, i trasporti…), trascurato la cura del territorio, speculato sulle disgrazie e sulla crisi ambientale, succubi dell’atlantismo americano fingendo di essere europeisti. Tutti, dunque, sono egualmente responsabili della situazione in cui si ritrova l’Italia.

Con Unione Popolare abbiamo provato a dare agli elettori una possibilità di scelta alternativa, fuori dal sistema, con un programma vicino ai cittadini e al territorio e con candidati liberi e coerenti, provenienti dalla società civile, dai movimenti, dalle associazioni, dal mondo della cultura. È stato il tentativo di ridare voce a chi l’ha perduta, di ritrovare un contatto non virtuale ma reale coi cittadini, di tornare a camminare nei paesi e nelle campagne dove è rimasto uno spazio vitale ma abbandonato, dove ci sono pochi elettori ma ancora tanta umanità. Terre come il Molise, dimenticate e ingiustamente calpestate da tutti coloro che in settembre sono venuti sfacciatamente a chiedere voti promettendo quello che non hanno fatto e che avrebbero potuto fare prima di ora. È stata una specie di colonizzazione politica, vestita di sorrisi e di folclore, alimentata dai soldi spesi in pubblicità e in sortite mediatiche. Altro che par condicio! La par condicio non sta nell’uguaglianza dei tempi ipocritamente riservati ai candidati nei confronti televisivi, ma nella disparità delle risorse finanziare disponibili per la campagna elettorale, tra chi ha ricchi finanziatori e chi deve contare solo sulle proprie tasche. Malgrado questo, nonostante la legge elettorale che con lo sbarramento e il maggioritario mortifica la rappresentanza, Unione Popolare è riuscita a gettare in tutta Italia i semi di una politica diversa, che parla di uguaglianza, di giustizia sociale e ambientale, di pace, di diritti, di territorio, di aree interne, di felicità. Cioè di effettivo benessere delle persone.

C’è stato poco tempo. Unione Popolare è nata in luglio e in settembre si è votato. È nata come progetto politico e si è dovuta trasformare rapidamente in lista elettorale. Ce l’abbiamo fatta a superare la norma antidemocratica che impone la raccolta delle firme per presentare le liste nuove, ma non potevano sperare di riuscire in soli due mesi a superare anche quel maledetto e antidemocratico sbarramento del 3 per cento previsto dalla legge. Eppure anche in Molise, in tanto comuni, nei paesi dove ci siamo recati di persona, siamo andati oltre quella soglia, in alcuni casi ben oltre (San felice del Molise, Castelbottaccio, Palata, Montagano, Montefalcone nel Sannio, Bonefro, Montorio, Oratino, Montemitro, Venafro, Conca Casale e altri). Segno che è possibile, che tanti molisani mostrano interesse verso chi propone di invertire la rotta per cambiare radicalmente le politiche nazionali e regionali, quelle politiche che fino ad oggi hanno marginalizzato la regione, hanno ridotto i servizi, hanno seguito metodi clientelari basati più sul favore che sul diritto. 

È stata questa la nostra semina: abbiamo consolidato relazioni precedenti e ne abbiamo instaurate di nuove, abbiamo avvertito il senso di un cammino da fare, qualcuno si è offerto di curare quei semi, di tornare a coltivare il campo della speranza, di ritrovare fiducia nelle potenzialità del Molise, nel suo patrimonio territoriale, nelle sue tradizioni, nei suoi paesi e dei suoi prodotti, nei suoi abitanti e nei suoi giovani. È necessario andare incontro al coraggio di chi è rimasto, all’affetto di chi se n’è andato e all’intraprendenza di chi arriva o di chi torna. Questo sarebbe il compito della politica: creare e garantire opportunità e servizi e favorire innovazioni per contrastare lo spopolamento. Individuata la strada, bisogna seguirla, camminarvi sopra guardando avanti e intorno, ogni tanto anche indietro. In poco tempo abbiamo sperimentato un modo diverso di fare politica, con persone nuove e un bel programma. Ora lasciamo alle spalle l’impegno e le ansie elettorali, alle quali siamo stati spinti dal precipitare della situazione, e riprendiamo il progetto di una effettiva e screscente unione popolare, continuando a praticare l’opposizione da sinistra, nelle piazze, nelle campagne, nei paesi, nello studio e nel lavoro. Saranno questi i luoghi della rinascita.

di Rossano Pazzagli (da La Fonte, ottobre 2022)

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