“In cammino per un nuovo umanesimo”
Nel nuovo libro di Paolo Piacentini: in cammino fra borghi e foreste per ritrovare il legame con la natura e un nuovo umanesimo
di Elena Rasia (da italiachecambia.org)
6 Novembre 2024
“In cammino per un nuovo umanesimo” è il nuovo libro di Paolo Piacentini – presidente onorario di FederTrek – in cui l’autore racconta un viaggio reale e metaforico nell’Italia dei borghi e dei parchi naturali, alla ricerca di legami, sensazioni, tradizioni che, forti di un sodalizio ancestrale con il mondo naturale, possono indicare la via per un nuovo umanesimo.
Nel panorama culturale contemporaneo, in cui il progresso tecnologico e le sfide sociali sembrano allontanarci da valori fondamentali, il libro In cammino per un nuovo umanesimo di Paolo Piacentini si propone come un faro di luce e riflessione. Pubblicato da Pacini Editore, quest’opera invita i lettori a intraprendere un viaggio interiore verso una riscoperta dell’umanesimo, inteso come un movimento etico e sociale per il nostro tempo.
L’umanesimo, secondo Paolo, non è solo una questione di cultura, ma un modo di vivere e pensare che rimette al centro l’essere umano e le sue relazioni. In un’epoca segnata da individualismo e isolamento, il libro si fa portavoce di un appello alla comunità, alla solidarietà e alla responsabilità collettiva affrontando temi come la tecnologia, il lavoro, l’ambiente e le disuguaglianze sociali. La sua visione è quella di un’umanità che, pur in un contesto di crisi, ha la possibilità di reinventarsi, di costruire un futuro più equo e sostenibile. L’invito è riflettere su come le scelte individuali e collettive possano contribuire a un cambiamento reale, che abbraccia la diversità e la dignità di ogni persona.
Cosa ti ha portato a intraprendere questo cammino, inteso in senso metaforico, ma non solo?
Il libro nasce dall’esigenza di raccontare il bellissimo viaggio a piedi da Montorio Romano ad Arcidosso per collegare due luoghi fondamentali della storia eretica di Davide Lazzaretti, il famoso “Cristo dell’Amiata”. Negli anni in cui ero presidente del Parco Regionale dei Monti Lucretili (2007-2010), venni a scoprire che Davide Lazzaretti, personaggio ottocentesco conosciuto tramite gli scritti di Ernesto Balducci e di alcuni amici di Santa Fiora, era vissuto per un paio d’anni in un eremo vicino Montorio Romano, uno dei Comuni appartenenti al suddetto parco naturale.
Una scoperta facilitata dal monaco zen Pino Sodem Palumbo, residente nel piccolo centro della Sabina Romana. Un incontro inatteso da cui maturò la fantastica idea di provare a collegare con un lungo Cammino l’eremo di Sant’Angelo con il Monte Labbro e Arcidosso. Due luoghi fondamentali della storia lazzarettiana e dei suoi seguaci giurisdavidici. Dopo molti anni dalla prima idea il Cammino sta trovando una sua concreta realizzazione.
Quali sono state le esperienze più significative e le storie più toccanti che hai incontrato lungo il percorso?
Le storie importanti sono tante ed è difficile fare una sorta di scala sul valore di ognuna. Quello che sottolineo spesso è la forza straordinaria delle donne. Basta pensare alle due giovani cooperative di comunità nate intorno al Monte Labbro. Sia la cooperativa di Roccalbegna, dedicata proprio a Davide Lazzaretti, che quella di Montelaterona, nel Comune di Arcidosso, vivono di un protagonismo quasi esclusivo di giovani donne appassionate. Sempre a maggioranza donne è l’A.L.A. – Associazione Liberi Artigiani – di Roccantica, che gestisce molte attività di animazione territoriale rivolte soprattutto ai giovani. Potrei fare altri esempi ma voglio lasciare il lettore a una sana curiosità.
Come hai interagito con le comunità locali e qual è il nuovo umanesimo che hai conosciuto?
L’interazione con le comunità locali è un work in progress perché, come dico nel libro, il nostro Cammino non nasce per farlo diventare un prodotto turistico. Siamo felici se potrà stimolare delle piccole economie locali sull’esempio di altri itinerari italiani ma l’elemento che più ci sta a cuore è quello culturale.
Nei due viaggi promozionali con un gruppo di camminatrici e camminatori straordinari, da cui prende spunto il libro, gli incontri sono stati davvero tanti e in molti c’è quel seme di un nuovo umanesimo che abbiamo descritto nel Manifesto per un Nuovo Umanesimo con l’amico Pino Sodem Palumbo. Sarà lungo il percorso per provare a mettere in rete tutti i fiori che stanno sbocciando, ma dall’incontro tra noi viandanti e una parte di chi ci ha accolti sta quell’umanità che non si farà soggiogare dalla tecnocrazia.
In che modo vedi il legame tra camminare e la ricerca di un nuovo umanesimo nella società contemporanea?
Rimettersi in cammino, non solo metaforicamente, vuol dire provare riconnettersi con la nostra parte più profonda. Tentare di dialogare di nuovo con quella zona grigia, una volta piena di luce, creata dall’allontanamento dai ritmi naturali che danno il senso più vero al nostro essere al mondo. In un periodo storico sempre più dominato dallo strapotere della tecnica e dal virtuale, il camminare ci costringe a un corpo a corpo con il mondo che ci circonda.
Una fisicità inevitabile con la natura, ma anche con tutto il mondo antropizzato, che ci da la possibilità di un nutrimento fecondo della nostra spiritualità. Se davvero vogliamo dotarci degli anticorpi che ci fanno restare umani nonostante tutto, dobbiamo affidare una nuova conoscenza del mondo al gesto più semplice e naturale. Nel libro riporto con una breve epigrafe la bellissima conclusione del libro Storia del camminare di Rebecca Solnit che esplicita con estrema chiarezza il profondo valore culturale del camminare.
Quali riflessioni hai raccolto durante il cammino riguardo al futuro dei Cammini in Italia?
Nel libro dedico molte pagine a delle riflessioni che ritengo originali sul nuovo ruolo che dovrebbero avere i Cammini partendo dalla filosofia con cui ho costruito il percorso di oltre 300 chilometri tra Montorio Romano e Arcidosso. È illusorio pensare che tutti i Cammini possano diventare dei prodotti turistici di successo. Se invece li vediamo come opportunità di crescita culturale delle comunità locali allora potranno svolgere un ruolo molto importante per una nuova conoscenza dei territori. Come scrivo nel libro, oggi i Cammini possono essere dei luoghi di formazione sia per le comunità locali che per una vera didattica in cammino o come spazi infiniti dove poter promuovere esperienze di reinserimento sociale come sta accadendo in altri Paesi.
C’è un messaggio particolarmente forte che desideri trasmettere attraverso il tuo racconto?
Il messaggio è quello di invitare il vasto mondo dei camminatori – ma anche la politica e le istituzioni – a conoscere in modo più profondo i nostri territori. Un invito ai viandanti, ad esempio, a sentirsi abitanti temporanei dei luoghi attraversati. In questo senso riporto la bellissima riflessione del filosofo Massimo Cacciari sulla figura di Francesco pellegrino. Il suo era un peregrinare attentissimo a prendersi cura di ogni cosa trovava sul proprio cammino.
Anche se i suoi passi erano già oltre un certo luogo comunque la sua attenzione era profonda e si sentiva abitante di ogni piccolo spazio. I viandanti o gli abitanti di ogni singolo territorio potrebbero ritrovare con lentezza lungo un cammino una nuova dimensione di dell’abitare centrato sulla cura. Non si tratta di imitare la santità di Francesco, ma di imparare di nuovo a sentirsi parte dei luoghi, anche di quelli che attraversiamo appena, spesso in modo molto distratto.
Qual è il ruolo della spiritualità nel tuo percorso e come si riflette nella tua narrazione?
La spiritualità è centrale e si respira sia nel racconto più intimo tra me e i compagni di viaggio che nei numerosi incontri di persone, comunità e luoghi. La dimensione spirituale è il filo conduttore del libro.
Come vedi il futuro della pratica del camminare come forma di esplorazione personale e collettiva?
Più che vederlo nutro una speranza. Mi piace pensare che il camminare possa tornare a essere la modalità più bella e profonda per conoscere il mondo. Esplorarlo nella quotidianità uscendo da casa anche nelle città più caotiche o nelle periferie più degradate. Tornare a esplorare la realtà che abbiamo sempre di più allontanato dai nostri corpi, catturati da una dimensione virtuale sempre più alienante.
Cosa speri che i lettori traggano dal tuo raccolto e dal tuo racconto?
La speranza è che il lettore si appassioni al racconto e alle riflessioni che dono alla politica, intesa nel senso più alto del termine. Detto questo, i libri hanno una storia che si separa lentamente dall’autore per diventare parte della ricerca di senso dei lettori. Quindi buona lettura e buon cammino a chiunque vorrà esplorare la mia spiritualità e il mio pensiero.
di Elena Rasia (da italiachecambia.org)
6 Novembre 2024