• 10/06/2023

L’Italia plurale e la diversità paesaggistica

Scriveva Emilio Sereni: “Questo paesaggio è il farsi di una società in un certo territorio”

di Rossano Pazzagli (da nautilusrivista.it)

5 Ottobre 2023

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Diversità è un termine ambivalente. Può significare alterità, ma anche pluralità. In alcuni casi le due declinazioni possono convergere e coincidere. Nel paesaggio le troviamo entrambe: l’alterità e la pluralità.
L’Italia, in particolare, ha un paesaggio molto diversificato, articolato e complesso, frutto di un peculiare incontro tra uomo e natura e delle stratificazioni storiche che caratterizzano un Paese a lungo diviso e geograficamente molto vario. Nel 1963 il geografo Aldo Sestini scriveva che “non esiste un paesaggio italiano”, precisando che “l’Italia possiede una grande varietà di paesaggi” e passando a descriverli nel bel libro edito dal Touring Club Italiano, che a tutt’oggi resta una delle più complete e ravvicinate antologie dei paesaggi del Bel Paese colti nel momento della loro trasformazione, vittime dell’urbanizzazione da un lato e dell’abbandono dall’altro.
Sappiamo quanto l’agricoltura, con i suoi sistemi agrari differenti da una regione all’altra e talvolta anche all’interno di una stessa regione, svolga un ruolo importante nella produzione di paesaggio. Essa, infatti, non è soltanto un settore economico, ma anche un primario strumento di costruzione territoriale, cioè quello che chiamiamo processo di territorializzazione e che sul lunghissimo periodo ha trasformato lo spazio naturale in territorio, con la sua dimensione visibile costituita appunto dal paesaggio. Questo paesaggio – scriveva Emilio Sereni – è “il farsi di una società in un certo territorio”, rispecchia cioè il modo di essere e di organizzarsi della società e degli individui, il lavoro e la cultura contadina in primo luogo, la fatica della campagna e i bisogni alimentari delle città. La storia dell’agricoltura conferma che l’Italia è un paese composito. Anche uno dei più recenti libri sulla storia del paesaggio italiano (quello di Erminia Ierace e Manuel Vaquero Pineiro) è intitolato al plurale: I paesaggi dell’Italia moderna.
Pochi anni dopo l’Unità, nel 1877, il parlamento del Regno varò una grande inchiesta sull’agricoltura italiana e sulle condizioni dei contadini, affidandone la direzione al senatore lombardo Stefano Jacini. Analizzando i risultati, fu lo stesso Jacini a sottolineare come l’Italia, seppur unita politicamente ormai da tempo non presentasse ancora, e non presenterà mai, un quadro unitario da un punto di vista agricolo: «…invano cercheremmo, dopo un quarto di secolo dacché fu proclamata l’unità politica, una vera e obbiettiva Italia agricola. Noi troviamo ancora parecchie Italie agricole differenti fra loro».
Di questa diversità, che potremmo definire strutturale e che permane al giorno d’oggi, non si è tenuto abbastanza conto: le differenze sono state trascurate o, peggio, considerate come un elemento di debolezza o di arretratezza, mentre avrebbero potuto essere e possono ancora essere la forza dell’Italia: un mosaico di prodotti, di paesaggi, di modelli sociali e culturali che rendono unico e irripetibile il nostro Paese. Si è teso, piuttosto, all’omologazione, alla riduzione e talvolta alla cancellazione del mosaico, alla semplificazione del paesaggio sapientemente costruito nel tempo combinando fattori naturali e elementi antropici,
C’erano parecchie Italie agricole, dunque, differenti tra loro. La relazione di Jacini è del 1880, ma già sessant’anni prima Giacomo Leopardi dava un’idea molto chiara di come si dovesse guardare al territorio rurale italiano e al suo paesaggio, da osservare non come un prodotto della natura, ma come il risultato di un incontro fecondo tra la natura e l’uomo. I poeti vedono le cose prima degli altri.
L’inchiesta Jacini faceva emergere chiaramente un’Italia plurale. Dalle fresche valli alpine dove i piccoli nuclei abitativi erano circondati da un’area di coltivazione e poi da pascoli e terre comuni, con un’economia di tipo silvo-pastorale (il maso trentino, ad esempio), alle terre aride della Sardegna in cui si alternavano boschi mediterranei, seminativi e pascoli per le pecore, si poteva rilevare una pronunciata varietà di paesaggi: le piantate della Pianura Padana che facevano da cornice ad una agricoltura integrata cerealicoltura-allevamento, con i prati e qualche risaia. Le alberature con filari di viti e gelsi della pianura asciutta e delle colline dell’Italia settentrionale. Ancora, la distesa di piantate, con vite maritata all’olmo, che spezzava la prevalenza dei seminativi nell’Emilia Romagna. 

di Rossano Pazzagli (da nautilusrivista.it)

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