• 10/24/2022

L’oro giallo

È il Crocus sativus, della famiglia delle Iridacee. La sua fioritura non è solo una gioia per gli occhi, ma anche un momento emozionante

di Gildo Giannotti (da lafonte.tv)

24 ottobre 2022

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All’inizio dell’autunno tinge i campi con il viola dei suoi petali, accompagnato dal giallo delle antere cariche di polline: è il Crocus sativus, della famiglia delle Iridacee (vd. la fonte n. 10 del novembre 2014). La sua fioritura non è solo una gioia per gli occhi, ma anche un momento emozionante, perché è dai delicatissimi stimmi di questo fiore che si ricava una delle spezie più preziose: lo zafferano, su cui si concentrerà ora l’attenzione.

Il costo elevato di questa spezia è dovuto al gran lavoro che richiede la produzione anche di una piccola quantità di stimmi: per ottenere 125g sono necessari oltre 20.000 stimmi, che per non essere rovinati devono essere raccolti a mano. La coltivazione estensiva permette tuttavia di ottenere dei ricavi interessanti. Mentre un tempo lo zafferano era considerato monopolio di stato e necessitava di permessi speciali, oggi chiunque può coltivare crochi nel proprio terreno senza alcuna autorizzazione e senza particolari problemi. La latitudine dell’Italia, infatti, come quella di Spagna, Grecia, Iran e India, è perfetta per la coltivazione del bulbo del Crocus sativus. Il bulbo è l’unico modo che il croco ha per riprodursi: il suo fiore è sterile, non arriva a fecondarsi e a produrre semi, quindi è utile solo per ottenere la spezia. Non è semplice però prevedere il momento esatto dell’autunno in cui avviene la fioritura, perché dipende dall’andamento climatico, che varia ogni anno.

Sono molte le storie sul croco, dato che gli uomini sono sempre stati affascinati dal fiore e dallo zafferano che ne viene estratto. Una versione poco nota del mito di Krókos, che si deve al medico romano Galeno, racconta che un giorno il dio Hermes uccise per errore il suo amico Krókos e, per fare in modo che tutti lo ricordassero per sempre, lo trasformò in un fiore e ne tinse l’interno con il rosso del suo sangue.

Non si conosce l’epoca esatta in cui inizia la storia dello zafferano, ma di sicuro è possibile individuare il luogo, Azupiranu, che vuol dire “città dello zafferano” che si trovava nell’antica Mesopotamia. Era questo infatti il principale centro per il suo commercio. Si segnala inoltre la presenza della nostra spezia nel nome del paese Zafferana Etnea che, da stazione di cambio romana, si trasformò prima in un monastero benedettino e verso la fine del 1300 si chiamò Zafferana: il nome secondo alcuni deriverebbe dall’arabo zaʻfarān, che significa giallo, proprio per via della coltivazione dello zafferano, comune in quel territorio.

Nell’antichità gli stimmi color arancione/rosso erano usati in Grecia come colorante per le stoffe. I nobili romani li utilizzavano per il proprio bagno caldo e Cleopatra per le sue qualità cosmetiche. Lo zafferano era rinomato come medicamento, utile in caso di mal di stomaco. Veniva già impiegato per colorare gli alimenti e insaporire le vivande, ma anche per profumare gli ambienti. Nella cucina medievale e rinascimentale lo zafferano veniva usato, oltre che per l’aroma, anche perché rilasciava una colorazione simile all’oro, in particolare nei liquori: basti pensare che ancora oggi il caratteristico colore giallo del liquore Strega è dovuto proprio allo zafferano.

Alla tecnica di mescolare un po’ di zafferano ai colori per renderli più brillanti è legata anche la leggenda cinquecentesca che racconta la nascita del celeberrimo “risotto giallo di Milano”. Secondo quanto riportato da un manoscritto, oggi custodito nella biblioteca Trivulziana in Piazza Castello a Milano, un pittore fiammingo che stava lavorando alle vetrate del Duomo, chiamò un aiutante, soprannominato Zafferano per la sua abitudine di mischiare un po’ della spezia ai colori. Si trattava di un’idea originale, che portò il suo maestro a dire che prima o poi l’aiutante avrebbe finito per aggiungerla anche alle pietanze. Il giorno delle nozze della figlia del suo maestro Zafferano mescolò davvero la preziosa spezia al riso, fino ad allora condito solo col burro. Il successo che la ricetta ebbe presso gli ospiti contribuì a rendere il risotto allo zafferano non solo simbolo della città meneghina, ma un piatto dal gusto unico e inconfondibile, poi apprezzato in tutto il mondo.

Ingredienti: 360 g riso Arborio, 30 g midollo di bue, 60+60 g burro, 1 bicchiere vino bianco,1 l brodo di carne, mezza cipolla, 70 g parmigiano reggiano, 1 cucchiaino zafferano (oppure 1 bustina o 15 pistilli), sale.

Preparazione: mettere i pistilli di zafferano in una piccola tazzina con acqua calda e farli sciogliere completamente. Fondere il burro e il midollo in una casseruola. Tritare finemente la cipolla e farla soffriggere per qualche minuto con il burro e il midollo. Unire il riso e tostarlo a fuoco alto per 3 o 4 minuti fino a che diventerà trasparente. Sfumare con il vino bianco e lasciarlo evaporare, poi unire un pizzico di sale e bagnare con il brodo. Abbassare il fuoco e far cuocere il riso per 10 minuti. Unire l’acqua con lo zafferano e mescolare. Continuare la cottura del risotto allo zafferano ancora per 8 minuti circa, bagnando con il brodo ogni volta che il riso si asciuga. Quando il risotto è ancora un po’ al dente aggiungere il parmigiano grattugiato, un pochino di brodo e il burro. Mescolare bene mantecando tutto il risotto e mantenendolo all’onda, ovvero cremoso e non troppo asciutto.

di Gildo Giannotti (da lafonte.tv)

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