• 12/14/2020

La caduta delle ideologie

In quella che si definisce un’epoca post ideologica stiamo assistendo ad un trionfo delle logiche del mercato

di Umberto Berardo

14 novembre 2020

Back

Le ideologie come concezioni del mondo sono in realtà un insieme di principi e idee con cui storicamente si è cercato di spiegare la realtà e di organizzare le forme di convivenza tra gli esseri umani.

Più o meno strutturate, in ogni caso hanno attraversato diverse epoche storiche raggiungendo una decisa sistematizzazione nel Novecento.

Liberalismo, marxismo, fascismo, nazismo, neoliberismo sono stati alcuni dei principali riferimenti di carattere ideologico che hanno ispirato, nel bene o nel male, la costruzione di strutture sociali, sistemi economici e l’organizzazione delle relazioni umane.

Il giudizio sulle loro connotazioni positive o negative appartiene evidentemente ad una serie di valutazioni soprattutto sulle ricadute storiche che ciascuno fa in piena libertà critica.

Con la sconfitta del nazismo e del fascismo, la fine dell’imperialismo sovietico, la crisi dei partiti marxisti in occidente, il fallimento di quasi tutte le rivoluzioni popolari in America latina, intorno agli anni ottanta del secolo scorso si è iniziato a parlare della crisi delle ideologie.

Il fenomeno esiste e sicuramente sta creando non pochi problemi con un avvilimento della politica che, sempre più lontana dalle esigenze dei cittadini, appare ormai uno strumento succube delle plutocrazie finanziarie ed economiche che dominano ogni forma di organizzazione sociale.

Intanto occorre indagare le cause della caduta delle ideologie con un’analisi meno banale di quelle che talora si leggono.

Intanto non tutti rifuggono da ideali che per tanti dovrebbero continuare a disegnare l’orizzonte più accettabile entro il quale rimanere e organizzare la collettività e le istituzioni.

Chi non ne accetta più la funzione al contrario delinea in genere le ragioni della scelta nella indeterminatezza e nell’inconsistenza delle dottrine politiche, nella loro incapacità di adeguarsi alle nuove situazioni o nella rappresentazione troppo idealizzata della società.

La crisi delle ideologie in realtà è figlia di un pragmatismo di tipo economicistico e finanziario convinto che il fine non è più il bene ma l’utile che si può raggiungere con la tecnica che sarebbe costituita da prassi avalutative che in realtà non solo non riescono da sole a risolvere alcun problema, ma non sono in condizioni neppure di inquadrarlo e definirlo nelle linee generali.

Si arriva così ai populismi che pretendono di sostituire le ideologie e risolvere ad esempio problemi sociali come la disoccupazione o il calo demografico con i sussidi o con l’immigrazione, mentre si avrebbe bisogno di progettualità economiche e sociali più razionali, ma oggi inesistenti perché purtroppo alla crisi delle ideologie si associa quella delle idee.

In realtà in quella che si definisce un’epoca post ideologica stiamo assistendo ad un trionfo delle logiche del mercato che, nonostante i tanti tentativi di riesame critico del liberalismo economico, si sta affermando nel mondo in linea con le idee più oltranziste espresse ad esempio dallo studioso austriaco Friedrich von Hayek e dai Chicago Boys.

Le difficoltà di affermazione degli ideali trasnazionali come l’europeismo e il cosmopolitismo così come l’involuzione del processo democratico in molte parti del mondo sempre più verso forme di plutocrazia finanziaria ed economica dimostra con chiarezza che la politica ha perso ogni forma di autonomia e sta diventando il paravento dei poteri forti.

Solo che i teorici del neoliberismo, unica ideologia oggi dominante, dimenticano che all’interno della società che immaginano e che per certi versi stanno costruendo, ponendo in essere in maniera spregiudicata i concetti di liberalizzazione e di deregolamentazione, esistono tre fenomeni, la povertà, l’esclusione e il conflitto, che sembrano assenti dal quadro della società che essi delineano.

La distribuzione della ricchezza nel mondo, concentrata soprattutto nei Paesi a forte industrializzazione, vede il 10% degli adulti detenerne l’85%, mentre il 90% della popolazione ne possiede solo il restante 15%.

In Italia il 20% più ricco degli abitanti detiene il 70% di tutto il patrimonio nazionale mentre la pandemia in atto ha portato il numero dei poveri a più di cinque milioni.

Viviamo in una realtà di pochi ultraricchi e di una massa enorme di nuovi poveri dentro e fuori dei confini del mondo industrializzato dove un numero enorme di diseredati è disponibile per una manodopera a bassissimo costo sfruttata per continuare ad arricchire chi già ha profitti elevatissimi.

Papa Francesco è stato chiaro in merito: “La proprietà privata non è un diritto inalienabile se genera disuguaglianza”. 

Pensare di poter rimediare ad un divario così inconcepibile tra la popolazione con forme di sussidi inefficaci ed offensivi per la dignità della persona è evidentemente proprio di chi esclude ogni forma di egualitarismo e di giustizia sociale permettendo che una ristretta percentuale della popolazione mondiale possieda i tre quarti della ricchezza a disposizione in nome del principio irrinunciabile del neoliberismo che è quello della proprietà privata.

Nella visone sociale di certi movimenti di opinione la povertà non è un fenomeno da eliminare ma da mantenere nei margini dell’accettabilità perché appare funzionale all’organizzazione produttiva ed ai suoi costi.

Il campo politico che si va delimitando non è più strutturato secondo il tracciato che comprende una destra e una sinistra, ma vede ormai definirsi movimenti di tipo sovranista e populista che sono di difficile descrizione e provano con la narrazione del “prima…” ad inseguire i desideri della gente carpendone il consenso con una semplificazione inaccettabile della realtà sociale e dei suoi problemi.

In realtà, al di là del teatrino propagandistico ed elettorale mandato avanti da queste strutture politiche con la retorica anticasta, antipolitica e antisindacale, il grande capitale transnazionale sta organizzando un modello di società in cui si pretende di affermare il principio che la libertà economica possa coincidere in pieno con quella della persona vista unicamente nel cerchio delle sue convenienze egoistiche.

Si affida così tutto a tecnici ed economisti riducendo gli organi istituzionali ad esecutori di decisioni prese altrove e che dunque nulla hanno più di democratico.

Così, come suol dirsi, si naviga a vista occupandosi del contingente, ma senza avere soluzioni ai problemi per il lungo periodo. 

Esclusa la democrazia partecipativa e perfino quella maggioritaria, si svuotano di competenze e ruoli le istituzioni rappresentative assumendo ora le decisioni in circuiti elitari mentre si cerca di disegnare sistemi politici di natura sempre più presidenzialista se non peronista o addirittura parafascista.

Sono pericoli gravi derivanti non solo dallo sgretolarsi delle ideologie storiche, ma soprattutto dal venir meno progressivo di una formazione storica ed umanistica alla quale non possiamo rinunciare se vogliamo continuare a coltivare idee di convivenza dove la qualità della vita non sia solo appannaggio di una ristretta minoranza ma diritto di tutti.

Così forse, oltre la disumanità etica dei sistemi economici e finanziari del neoliberismo, torneremo ad una progettualità fondata sui grandi principi della libertà, dell’eguaglianza e della fraternità sostenuti in particolar modo dal pensiero cristiano, illuminista e marxista quando le idee non sono state solo affermate, ma promosse e realizzate sul piano legislativo e soprattutto con l’esempio di stili di vita coerenti.

Uscendo allora da un pragmatismo dal pensiero corto e tra l’altro non sempre risolutivo, ci occuperemo nuovamente forse dell’assetto sociale, delle forme di aggregazione più efficaci, egalitarie e democratiche tra i popoli e delle strutture di governance a livello mondiale.

Sicuramente per allontanarci da una società appagata nel suo individualismo, per non omologarci ad essa e cercare una dimensione esistenziale più autentica avremo davvero un gran bisogno di orizzonti aperti, di pensiero speculativo e di spirito critico capaci di creare una società dove gli esseri umani non siano funzionali alla produzione ma titolari di diritti come quello alla vita, alla salute, alla cultura, al lavoro ed alla felicità.  

di Umberto Berardo

Back