• 03/16/2022

La fuga sui colli

È nato prima il castello (l’uovo) o il borgo (la gallina)? cos’è l’incastellamento?

di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)

16 marzo 2022

Forse non c’è un’unica risposta, rimarrà un mistero presumibilmente. Quello che è certo che il feudalesimo si impose molto dopo la fine dell’impero romano la cui conseguenza fu la fuga da Saepinum, Aesernia, ecc. della popolazione sui colli i quali vennero fortificati.

Sinteticamente, la nascita dei castelli è avvenuta in epoca medioevale, nell’antichità non vi erano opere ad essi assimilabili, cioè residenza del signore abbinata ad un apparato difensivo. Forme embrionali di strutture castellane cominciano a comparire già in età altomedioevale, non molto tempo dopo la caduta dell’impero romano. Abbiamo parlato di castelli, ma avremmo fatto meglio a parlare innanzitutto del fenomeno dell’incastellamento perché la vera novità del medioevo rispetto alle ere precedenti è soprattutto quella dell’aggregazione di una comunità intorno al punto forte così da formare il villaggio.

Tanti villaggi perché da un’unica città, il municipium voluto da Roma, deriva una pluralità di nuclei abitativi in cui si rifugia la gente al momento della decadenza del potere imperiale; le realtà cittadine che al tempo della pax augustea erano luoghi sicuri, nonostante fossero in piano, prive di difese naturali, vanno in disfacimento e i suoi abitanti scappano via da queste per raggiungere le colline, meglio difendibili della pianura. Si rimarca, da pochi insediamenti abitati, i municipia, obbligatoriamente di grossa taglia ne spuntano fuori moltissimi, quasi per gemmazione, evidentemente di piccola taglia e di qui l’elevato numero di castelli che costellano il paesaggio molisano.

Si è sicuri di quest’ultima cosa che si sta dicendo perché la semplice constatazione visiva, talmente emergente è il castello rispetto ad esso, ci conferma che ogni borgo ci ha il suo. Il dilemma se sia sorto prima il castello o prima l’aggregato urbano è, per certi versi, simile a quello famoso dell’uovo e della gallina, non c’è soluzione o almeno non è facile trovarla. C’è chi ipotizza che il signorotto si sia installato con la propria magione turrita al suo vertice successivamente alla creazione dell’abitato per sottomettere i residenti, chi, invece, ritiene che il castello, il quale doveva essere preesistente allo stesso, abbia funto da fulcro attrattivo per la popolazione che viveva dispersa nell’agro desiderosa della protezione offerta da tale presidio armato.

Dal punto di vista percettivo tutto ciò non conta, il castello posizionato in cima al rilievo su cui si sviluppa l’aggregato edilizio appare la conclusione obbligata della composizione urbanistica; in altri termini, se non ci fosse se ne avvertirebbe la mancanza. A contribuire alla confusione vi è quel significativo numero di comuni molisani che nella loro denominazione hanno la parola castello (Castelpizzuto, Castelverrino, Castelluccio Acquaborrana, oggi Castelmauro) e via dicendo fino al puro e semplice Castello come si chiamava in passato S. Massimo: in questi casi il significato del termine castello non è quello di manufatto fortificato, bensì di insediamento fortificato.

Castro rende più chiara l’idea di un centro protetto da fortificazioni, ma è un vocabolo poco impiegato nella toponomastica locale, anzi una sola volta, a Castropignano. I dubbi non li dirime, piuttosto li incrementa il caso degli agglomerati denominati Rocca, da Roccasicura a Roccamandolfi, da Roccaspromonte a Roccaravindola, compresa Rocchetta al Volturno, in quanto Rocca semanticamente è equivalente a fortezza, non sarebbe appropriato utilizzare simile terminologia per indicare un insieme abitativo.

Ciò a meno che non si voglia intendere tale “intitolazione” comunale come una estensione del nome del suo castello all’agglomerazione insediativa che si è addossata ad esso e allora si dovrebbe dedurre che esso, il castello, è nato prima dell’insieme di case che lo circonda, una delle due ipotesi esposte sopra. Oppure, meramente, una identificazione del paese con il suo elemento, da più punti di vista, di spicco, o, ancora, qualcosa del tipo “la parte che sta per il tutto”.

Occorre, comunque, evitare fraintendimenti: non si è voluto nella esposizione finora condotta dire che il castello e il nucleo urbano debbano essere necessariamente congiunti, cioè che non possano vivere di vita propria, che siano indissolubilmente legati fra loro. Una situazione non del tutto rara è quella di insediamenti collocati “al di sotto” di alture “al di sopra” delle quali è ubicato il maniero, ad una certa distanza da essi, minore a Campobasso, basso proprio rispetto alla parte sommitale della Collina Monforte, Longano, Pesche ed altri.

C’è Boiano, dove la distanza è invece maggiore con il castello che sta a Civita Superiore; le sue notevoli dimensioni di quest’ultimo rivelano che esso, poiché sede dei conti di Molise, è relazionato all’intera regione e non ad una singola città. La rocca di Rocca (Mandolfi) è anch’essa indipendente fisicamente dall’agglomerato urbanistico sottostante e anch’essa funzionale alla protezione, quale ridotta finale dove potersi, non è per un gioco di parole, arroccarsi, del conte di Boiano ovvero di Molise; qui gli svevi per la conquista del regno di Sicilia misero sotto assedio guidati da, di nome o meglio di soprannome e di fatto, “Mosca in cervello” l’ultimo titolare della contea, Tommaso da Celano che era di fede normanna.

Il castello di Roccamandolfi sembra un buon rifugio ubicato com’è tra i monti del Matese, ma non era, di certo, l’unico baluardo fortificato a servizio della cittadina matesina; è ipotizzabile che anche il castello di Castelpetroso sul valico che introduce alla piana di Boiano rientrasse in una strategia di difesa della “capitale” della contea, contea la cui importanza la possiamo dedurre dal fatto che da essa ha preso origine la nostra regione. Ruolo analogo probabilmente era quello affidato alle strutture castellane di Macchia e Acquaviva, ambedue “d’Isernia”, a favore adesso del capoluogo pentro, poste come sono a controllo di due direttrici viarie, rispettivamente l’antica via Latina e l’Istonia, che penetrano nella Pentria.

Di scolta sulla fondamentale “via degli Abruzzi” lungo la quale transitava tutto il traffico tra Napoli e le sue province d’Abruzzo vi è Roccaravindola, mentre Roccapipirozzi è quasi il guardiano dell’ingresso nella terra molisana, il contraltare dell’altra che è di quella abruzzese. La vallata in cui sorge Boiano, dal lato opposto a quello in cui si trova il citato Castelpetroso, è chiusa, sotto l’aspetto militare, da Guardiaregia, un nome che è tutto un programma nel senso che ci rivela che ha una missione di sorveglianza poiché legata al re di scala territoriale; non è lontana dalla Sella di Vinchiaturo dove si conclude la valle.

Con Guardialfiera, il cui suffisso “guardia” ci fa intendere anche in questo caso che avesse compiti di vigilanza del territorio, passiamo al tema del presidiare i ponti (e i guadi); si accettano condizioni ambientali pessime dovute alla vicinanza con il Biferno che nei suoi pressi si impaludava (e spingeva i vescovi della diocesi guardiense a trasferirsi a Castelmauro) perché si era prossimi ad un passaggio obbligato del fiume, il ponte di Annibale (a monte lungo il medesimo corso d’acqua vi sono, in vicinanza degli scavalcamenti e a protezione degli stessi per il ponte di Castropignano la Rocca di Oratino e la torre sul Ponte Regio a Busso, mentre sul Trigno vi è il torrione di Sprondasino). È rimasta, comunque, in sospeso la risposta risolutiva, vista la varietà di situazioni che si è cercato di mostrare, alla domanda sulla natura precipua del fenomeno dell’incastellamento, lo si ammette.

di Francesco Manfredi Selvaggi (da ilbenecomune.it)

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