• 09/16/2019

La rivoluzione gentile

E se il Molise non si fosse opposto al nucleare, come sarebbe l’Italia oggi?

di  Marco Branca (da lafonte.tv)

16 settembre 2019

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E se il Molise non si fosse opposto al nucleare? Come sarebbe l’Italia oggi? Appare come una provocazione forse, eppure è tutto vero. Ciò che la storia ha colpevolmente rimosso, ciò che nei libri è stato cancellato e confinato nell’oblio è stato invece il momento decisivo nel dire ‘no’ al nucleare, decisione poi sancita costituzionalmente con il referendum abrogativo del 1987.

Non è questa la sede adatta per avviare con episodi storici ingombranti il dibattito se avvalersi o meno dell’energia prodotta dalla fusione termonucleare, di cui Chernobyl è solo uno degli esempi, mai rimosso, tant’è vero che recenti documentari ce ne hanno ricordato una volta di più gli effetti perduranti oltre che immediati sulla popolazione e sull’ambiente.

L’uomo non sarà mai in grado di governare le energie prodotte dalla fusione atomica, prova ne sia il taciuto incidente del mese scorso su una piattaforma marina davanti alla base missilistica di Nyonoska sul mar Bianco, che ha causato morti e feriti e dove in una delle centraline ha mostrato, attraverso i dati online poi cancellati dalle autorità russe, che si sono raggiunti livelli 16 volte superiori al fondo di radioattività naturale. Omettiamo anche Fukushima, nel nostro excursus, ma in questo modo le esclusioni rischiano di diventar troppe.

Ed allora, la lungimiranza e la testardaggine del popolo molisano, a volte causa di occasioni incredibilmente perse, in quella sede invece fu quanto mai salvifica, a posteriori.

Quella storia di lotta inizia nel Basso Molise degli anni ’70 e l’enorme merito per averla riportata in vita va attribuito all’opera del professor Aldo Camporeale, storico socialista, e del professor Enzo Gallo, che nel loro meticoloso lavoro di ricostruzione che ha preso vita tra la pagine del libro Quando il Molise fermò il nucleare, hanno fatto riscoprire all’opinione pubblica, molisana e non solo, il lato positivo e vittorioso della lotta popolare, a quarant’anni esatti dal verificarsi dei fatti.

Era il 2 dicembre del 1978 quando una manifestazione spontanea stimata tra le 8 e le 10mila unità vide Termoli teatro di un corteo trasversale a livello sociale, economico, culturale con la ferma volontà di difendere una realtà, un’idea di vita, una terra che a Roma tornava e torna utile esclusivamente in ottica di insediamento, impianto, sperimentazione, salvo poi relegarla ai margini per il potenziamento infrastrutturale. I membri del Cipe tennero ben presente il Molise in ottica di stanziamento fondi e delibera per la costruzione della centrale nucleare attraverso due pronunce del ’73 e del ‘75, come in tempi recenti accadde lo stesso con la centrale a ciclo combinato turbogas, ed identico esempio lo ricorda il tentato insediamento del primo parco eolico offshore, per concludere con i fondi per allocare rigassificatori al largo delle coste molisane, salvo poi dimenticarsi puntualmente della nostra regione quando si trattò di confermare gli stanziamenti per gli appalti dei lotti dell’Autostrada del Molise, dopo il repentino cambio di inquilino al Ministero delle Infrastrutture, non più molisano.

Alla luce di queste brevi considerazioni su ciò che fu, ciò che sarebbe stato e soprattutto su ciò che è ancora, benedetta allora fu la protesta del Basso Molise, dove oltre a scrivere una delle pagine più importanti, insieme a tante altre, della storia regionale, si posero le basi della futura lotta ambientalista, che lo stesso indimenticato professor Guido Nebbia, definì una delle più belle.

Come non manca di ricordarci il professor Camporeale, la sommossa pacifica fu possibile e si realizzò positivamente, nonostante il Cipe e malgrado l’emanazione del decreto Donat Cattin che rese esecutivo il progetto della centrale termonucleare da 2.000 megawatt in agro di Termoli e Campomarino, salvo poi, anche a seguito della manifestazione, ribaltare tutto con la pronuncia della Commissione Affari Costituzionali del Senato che decretò l’incostituzionalità del precedente decreto Donat Cattin.

Il Molise vinse la sua battaglia per sé e probabilmente per l’Italia intera, sancendo il contestuale stop dell’insediamento della centrale laziale di Montalto di Castro e bloccando l’intero Piano Energetico Nazionale che non fu così più impostato sull’insediamento di centrali termonucleari, che vennero pertanto dirottate altrove, e nonostante quanto scrivano i detrattori, non averle sul territorio nazionale resta comunque una scelta ambientalista.

Cosa rese possibile nel 1978 ciò che oggi sarebbe difficilmente replicabile? Lo sintetizza brevemente ancora il professor Camporeale, spiegando che vennero messi in campo tre fattori: intelligenza, conoscenza, impegno civile. Intelligenza, grazie al coordinamento antinucleare molisano, vincente perché dialogante tra popolo ed istituzioni e non chiuso in un discorso settario. Conoscenza, in quanto un argomento totalmente sconosciuto divenne pane quotidiano grazie all’impegno di illustri professori quali Nebbia e tanti altri che presero a cuore la questione molisana. Impegno, da parte di tutti. Trasversale, completo, totale.

Si può dire, come ci ricorda il professor Gallo, che il Molise compì in quegli anni la sua ‘rivoluzione gentile’, paragonandola alla rivolta pacifica portoghese contro il regime di Salazar, durante la quale i manifestanti posero all’interno dei fucili dei soldati dei garofani, inscenando la loro vincente rivolta pacifica.

Il Molise, come ci ha insegnato chi ci ha preceduto, esiste e può esistere al di là degli interessi economici, che avrebbero reso la regione certamente diversa e sviluppata, ma asservita alle logiche spartitorie di potere. Invece non fu così e pertanto il Molise rivendica il posto che merita, cioè di non essere indebitamente collocato alla periferia del paese per non aver ceduto alla colonizzazione.

di  Marco Branca (da lafonte.tv)

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