La vicenda di Guastra
Settembre ’43: la rappresaglia sfiorata di Guastra, nell’agro del comune di Capracotta
di Filippo Di Tella (da letteraturacapracottese.com)
22 Ottobre 2024
Queste vicende mi furono narrate da mia nonna materna Giovannina Mendozzi (r’Amecùne) e confermate da mio zio Antonino Di Nucci e da mia madre Rosa Di Nucci che, all’epoca dei fatti, avevano rispettivamente 33, 16 e 14 anni: essi vivevano in una masseria a Guastra confinante col territorio di Agnone.
Il Comune di Capracotta era stato scelto per ospitare l’addestramento dei militari di leva, i quali sparavano con fucili, pistole e mitragliatrici nel sito chiamato Tiro a Segno.
In seguito alla firma dell’armistizio dell’8 settembre, i Tedeschi formarono un fronte di guerra che, nello specifico di Capracotta, iniziava da Monte Capraro e terminava a Monte Campo. I nazisti, per lo scavo delle trincee, sfruttarono gli uomini del posto, reclutandoli con la forza.
Con l’arrivo dei Tedeschi, i nostri Carabinieri si erano spogliati degli abiti militari e si erano inizialmente rifugiati in contrada Guastra, presso la casa colonica di Incoronato Paglione (Papiéglie), il quale era loro amico, poiché aveva prestato servizio come carabiniere ausiliario.
I militari, assieme ad Incoronato e ad alcune persone di sua fiducia, decisero di svuotare l’armeria del Tiro a Segno per evitare che le armi finissero nelle mani degli occupanti: si trattava di una sessantina di moschetti Beretta 38/A, di alcuni mitragliatori, di pistole e di munizioni di vario tipo.
Non c’erano allora strade asfaltate a collegare le case di campagna ma solo vie mulattiere, tanto che gli avvisi di pericolo venivano lanciati tramite fischi e richiami che si sentivano sulla lunga distanza.
Il Comando generale tedesco ad Agnone, munito di postazione antiaerea, era situato in un gruppo di case coloniche tra la vecchia scuola e la casa cantoniera che si trova dopo la fermata della stazione Verrino della tratta ferroviaria Agnone-Pescolanciano, prospiciente l’inizio dell’attuale ponte in cemento armato sul torrente, il quale offriva un’ottima visibilità delle zone di Guastra, Macchia, Sant’Onofrio, Agnone ecc.
C’era però il rovescio della medaglia: da alcune case coloniche ubicate in territorio di Capracotta e poste in altura, in prossimità del confine con Agnone, si potevano facilmente controllare e prevedere tutti i movimenti dei militari tedeschi, essendo queste situate ad un tiro di schioppo (circa 2 km in linea d’aria), pur se separate da un vallone.
Per 2-3 giorni, il Comando generale di Agnone incaricò vari gruppi di militari di requisire animali d’ogni sorta: galline, maiali, pecore, mucche, e quindi formaggi, legumi, patate, uova, ecc. tralasciando cani, gatti, cavalli, asini e muli, i quali, all’occorrenza, vennero requisiti per trasportare ciò che si era confiscato.
Nei primi giorni furono depredate le case coloniche di Agnone, quelle limitrofe al Comando militare e il ponte in pietra sul Verrino, il tutto sotto l’occhio vigile e attento di osservatori nascosti, i quali poi cominciarono a risalire il torrente per razziare le case coloniche in località Pisciarello, al confine col territorio di Capracotta, che sarebbe diventato l’obiettivo successivo.
Le prime case coloniche che questi visitarono furono quelle di mio nonno materno Domenico Di Nucci (Pascalitte), di Domenico Paglione (r’Annacquate) e di mio nonno paterno Filippo Di Tella (Culieàngele), i quali, avendo visto e capito cosa stesse per accadere, insieme a quelli di Guastra, “levarono le tende” per trasferire gli animali d’allevamento nei boschi alle pendici di Monte Campo e nei pressi della Fonte Carovilli, al confine con Pescopennataro, lasciando a custodia delle case coloniche solo gli anziani, gli invalidi, le donne e gli adolescenti. Furono questi, per oltre un mese, a portare di notte notizie e cibo ai parenti nascosti.
Nei primi due giorni furono depredate tutte le masserie nei dintorni della Fonte della Lama: i Tedeschi presero tutto, anche il superfluo, rubarono persino l’organetto di mio padre che, appena diciannovenne, viveva come i suoi coetanei nei boschi.
Mio zio Antonino racconta così l’incontro con i nazisti:
Non capivamo una parola e cercavano di farsi capire a gesti, però avendo avuto sentore di quello che sarebbe accaduto, noi e gli altri sventurati, per non far trovare roba da mangiare, scavammo negli orti delle grandi buche e sotterrammo tutto quello che potevamo (formaggi, patate, legumi, uova, pane ecc.). Lasciammo fuori solo le galline che non eravamo riusciti a catturare, per il semplice motivo che ne avevamo cucinate e mangiate abbastanza in due giorni! Più di tanto non potevamo fare: ogni giorno sembrava Natale o Pasqua, visto che la carne si mangiava solo in quelle occasioni, però erano sempre i primi “articoli” viventi che prelevavano, ammazzandole con i loro fucili. Sembrava di essere ad un supermercato, in cui era possibile prelevare tutto gratis senza che nessuno osasse protestare. Borbottando chissà cosa e non contenti dello scarso bottino, si aggirarono intorno alla masseria e, vedendo il terreno smosso solo in una zona dell’orto, capirono che lì sotto era nascosto il “tesoro alimentare”. In quel frangente capimmo che eravamo stati più stupidi delle galline: ci sarebbe bastato zappettare l’intero orto e forse si sarebbe salvato l’intero bottino di guerra.
Dopo due-tre giorni di approvvigionamento forzoso, i Tedeschi si avventurarono, in un pomeriggio, verso le case coloniche prospicienti la Fonte Guastra, nelle vicinanze dei Paglione. Fra quelle, vi era anche quella di Incoronato, anch’egli nascosto con gli altri.
Dopo aver fatto i soliti giri negli orti e carichi a più non posso di tutto ciò che potevano trasportare, mentre scendevano costeggiando il Verrino, i Tedeschi non si resero conto di essere seguiti, sull’altro versante, da un ridotto numero di persone che, armate di quei famosi moschetti sottratti all’armeria, si tenevano a debita distanza mimetizzandosi nella boscaglia.
Arrivati in prossimità della cascata del Verrino, mentre costeggiavano il bagnaturo delle pecore, forse per spaventare le coppie di militari, venne loro l’idea di sparare una valanga di colpi contro i soldati, senza rendersi conto di quello che questa sconsiderata azione avrebbe scatenato. Gli spari rimbombarono per tutta la vallata, dopodiché risuonarono le grida di dolore di uno dei militari che, ferito al fianco, venne trasportato dai suoi compagni d’armi su una barella di fortuna verso il Comando per essere medicato.
Tutti si chiusero in casa, in una scena innaturale, surreale. Persino gli uccelli smisero di cantare! Dopo circa un’ora dall’imboscata, su Guastra cadde una lunghissima grandinata metallica: la batteria antiaerea di Agnone iniziò infatti a martoriare il territorio di Guastra ad “alzo zero”. Quella sarebbe potuta essere una strage ma, fortunatamente, nessuno rimase colpito. I militari tedeschi avevano forse pensato che ad organizzare l’agguato fossero stati i militari nemici, dato che le armi usate non erano i fucili da caccia che i normali cittadini avevano in casa.
La sera stessa, a notte fonda, si ripeterono fischi di avviso per allarmare la popolazione in previsione di quello che sarebbe accaduto il giorno seguente: la perlustrazione a tappeto e il rastrellamento selvaggio alla ricerca di militari nemici. Guastra allora si svuotò e tutti cercarono riparo a Capracotta. Per circa dieci giorni quella contrada divenne la terra di nessuno, anche a causa delle improvvise scariche di proiettili che, al minimo sospetto, rumore o movimento, cadevano a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Il ritorno nelle case coloniche avvenne dopo una ventina di giorni.
di Filippo Di Tella (da letteraturacapracottese.com)
22 Ottobre 2024