L’algoritmo è un bene comune
ll dibattito sulla natura e sull’utilizzo della rete e dell’intelligenza artificiale
di Antonio Ruggieri (da Nautilus Gen/25)
13 Febbraio 2025
Se internet non salverà il mondo come ammonisce Evgeny Morozov, costituisce un’infrastruttura preziosa per diffondere buona informazione e partecipazione civica consapevole, come ci ha lasciato detto Stefano Rodotà; quello che succederà alla rete dipenderà da come la politica sarà capace di fronteggiare gli interessi di speculazione e di accaparramento dei privati, per metterla al servizio del bene comune
Nel dibattito filosofico, giuridico, politico e sociale di un’Italia in cui lo spirito e l’etica pubblica sono stati aggrediti da interessi di speculazione e di saccheggio diventati ormai proposta culturale e di relazione civile, segnatamente negli ultimi venti anni e come un terrificante rimbalzo, si è imposta la riflessione sul concetto di bene comune e sull’orizzonte rigenerativo al quale esso allude.
C’è un patrimonio materiale e immateriale che sfugge alla giurisdizione della proprietà privata ma anche a quella pubblica, che definisce e coltiva l’idea democratica della cittadinanza, radicandola su diritti fondamentali connaturati alla dimensione collettiva e relazionale dell’esistenza umana sulla terra: la comunità.
Quest’ultima ha natura pre-istituzionale, può essere più o meno estesa e raccoglie gli individui che appartengono al suo ambiente economico, sociale e culturale.
Prima dell’avvento di internet le comunità erano fortemente territorializzate; i caratteri dei differenti luoghi, il paesaggio e le produzioni, le tradizioni e le celebrazioni rituali, costituivano la trama e l’ordito di un’identità locale che veniva elaborata, corroborata, difesa e promossa dal racconto che la comunità medesima ne sapeva imbastire e diffondere.
La rete cambia tutto; s’impone come unico, potentissimo e suggestivo contesto nell’ambito del quale ridisegnare, con la partecipazione attiva dei membri che ne vorranno far parte, la fisionomia e l’estensione della comunità.
Il legame di relazione (familiare, amicale, associativo) come lo abbiamo conosciuto e coltivato per secoli, viene soppiantato dal socialnetwork globale, insinuante e subdolo, al quale aderiamo senza clamori e “gratuitamente”, ridefinendo con partecipazione sapientemente coartata la nostra reputazione e la nostra rappresentazione pubblica.
“Privacy is over” dichiarò Marc Zuckerberg il 7 dicembre 2005, quando, nel corso di una lezione all’Università di Harvard, presentò Facebook (il primo passo verso il Metaverso); un ambito smisurato e inclusivo dove farsi conoscere alla conquista spasmodica di consensi e apprezzamenti (i likes), cedendo come contropartita affatto dichiarata i dati per la nostra profilazione, fondamento del “Capitalismo della sorveglianza” di cui doviziosamente ci dice Shoshana Zuboff nel suo recente e fondamentale saggio.
Mano a mano che utilizziamo il socialnetwork di nostra preferenza, per dettaglio e pervasione avanza la definizione dettagliata del nostro account.
L’algoritmo registra ogni nostro commento, ogni nostro desiderio e preferenza: conosce il nostro orientamento politico, sessuale e religioso, quali cibi prediligiamo e come la pensiamo riguardo alla salvaguardia dell’ambiente e alla transizione energetica, fino ai libri che ci piace leggere, alla musica che ascoltiamo e a quello che vogliamo vedere al cinema e a teatro.
Per i padroni di internet noi siamo come gli elefanti per i cacciatori di avorio che, abbattuto il pachiderma, gli prendono le zanne e ne abbandonano la carcassa.
Con questo esempio suggestivo ancora la Zuboff ci avverte su come funziona e qual è la prospettiva della nostra etologia in rete.
I “big data”, con l’ausilio dell’intelligenza artificiale e della sua inquietante prospettiva operativa, sono alla ricerca incessante di una profilazione di ognuno di noi sempre più approfondita e dettagliata; la particolarità di questo processo che presenta non poche zone d’ombra, consiste nel fatto che tutte le informazioni che ci riguardano, anche quelle più intime e controverse, siamo noi a fornirle, apparentemente senz’alcuna coercizione; noi siamo in definitiva gli artefici del nostro assoggettamento e lavoriamo senza sosta ma inconsapevolmente, perché esso s’irradi in ogni ambito della nostra esistenza.
Il sociologo bielorusso Evgeny Morozov poi, ci avverte che viviamo in una sorta di Feudalesimo digitale, nelle mani e nelle disponibilità autocratica delle aziende della Silicon Valley, al quale si va opponendo con dirompenza crescente la Repubblica popolare cinese, ma che governa senz’alcun limite e condizionamento in Europa, incapace di sviluppare una tecnologia digitale sua propria.
Michele Mezza inoltre, con sofisticata e spiazzante capacità argomentativa, nel suo libro “Connessi a morte” di recentissima pubblicazione, documenta come internet sia diventato l’impalcatura e l’applicazione della guerra nei differenti scenari di conflitto; basti pensare all’uso ormai generalizzato dei droni in funzione bellica e al caso dei cercapersone fatti esplodere da Israele contro Hezbollah.
Eppure internet nell’epoca contemporanea costituisce il primo, più prezioso e strategico bene comune per l’intera umanità.
Se i beni comuni si riconoscono e si difendono nella narrazione che vive nella comunità della propria appartenenza, la rete costituisce l’ambito formidabile per arricchire e distribuire questa conoscenza e questo racconto.
Essa è un bene comune a uso “non rivale”, come ebbe a dire Stefano Rodotà prima di lasciarci, ed è la prima volta nella Storia che la tecnologia mette a disposizione di chiunque una opportunità di questa natura.
Quando facciamo uso dell’acqua – il bene comune più diffuso e universalmente riconosciuto – la quota del nostro utilizzo si sottrae all’ammontare del bene disponibile e quando se ne determina la penuria, gli utilizzatori finali sono in concorrenza per averne disponibilità.
Non è così con la rete, dove si può consultare un sito contemporaneamente a decine, a centinaia di altri utenti da ogni parte del mondo, senza che l’entità del bene originario ne sia diminuita.
Internet per sua natura è inclusivo è democratico; nella sua dimensione orizzontale favorisce l’incontro e lo scambio d’informazioni fra utenti.
Esiste però anche una dimensione verticale e proprietaria della rete che elabora gli algoritmi del suo funzionamento, che la utilizza per l’accumulazione di fortune economiche straordinarie, ma anche per scopi politici e culturali che già suscitano ponderose inquietudini.
E’ avvilente ma significativo che la politica (non solo quella italiana ma le classi dirigenti della comunità internazionale), sia del tutto subalterna e poco attrezzata a fronteggiare i rischi di padronaggio monopolista che Elon Musk, come imprenditore prima e adesso come plenipotenziario personaggio pubblico, ci ha prospettato e continua a prospettarci con baldanzosa spudoratezza.
Su questo fronte, oscuro e minaccioso e minacciato da più parti, si giocherà la natura e la prospettiva della democrazia rappresentativa, come l’abbiamo conosciuta finora; che lo sappiamo oppure no.
di Antonio Ruggieri (da Nautilus Gen/25)13 Febbraio 2025