• 11/09/2022

Le “ferrovie di prossimità”

Un patrimonio da rivitalizzare 

di Stefano Maggi (da nautilusrivista.it) 

9 novembre 2022

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Nella seconda metà del XIX secolo le ferrovie cambiarono il mondo, creando i mercati nazionali e contribuendo allo sviluppo degli Stati. Il paese che per primo inaugurò una linea ferroviaria fu l’Inghilterra, nel 1825. Il treno trasportava le merci e i viaggiatori, trainava la rivoluzione industriale.
Nella seconda metà dell’Ottocento, chi aveva la ferrovia era al passo con il progresso, chi non era toccato dalla rete dei binari si sentiva fermo al medioevo, costretto a viaggiare su lenti carri trainati dai buoi, o su scomode carrozze a cavalli.
Una volta completate le ferrovie più importanti, tutti i centri minori cominciarono a chiedere il collegamento su ferro, una sorta di “ferrovia di prossimità” – si potrebbe dire oggi – realizzabile grazie a nuove tecnologie come: la cremagliera, ruota dentata centrale che aumentava l’aderenza consentendo di superare le salite; lo scartamento ridotto che permetteva di ridurre le opere d’arte come ponti e gallerie; la tramvia che non aveva sede propria, visto che i binari erano posati sulla sede stradale.
La costruzione di ferrovie minori cominciò in Italia nel 1873, mentre nel 1879 fu approvata la cosiddetta “legge Baccarini”, dal nome del Ministro dei Lavori Pubblici, sulle cosiddette ferrovie complementari, fra le quali era presente la categoria delle “ferrovie secondarie”.

Il treno arrivò in panoramiche località di montagna, nelle alte colline del centro Italia, nelle zone montuose della Basilicata e della Calabria, nonché nell’interno della Sicilia e della Sardegna. Per fare soltanto qualche esempio, i binari raggiunsero Campo Tures, Predazzo, Ortisei, Cortina d’Ampezzo e Agordo nelle Dolomiti, Renon, La Mendola, Malè e Riva del Garda fra Trento e Bolzano, Piazza Brembana e Clusone nelle valli bergamasche; Vallombrosa, Gubbio e Norcia nell’Appennino centrale; Castrovillari, San Giovanni in Fiore, Mammola, Cinquefrondi e Sinopoli nell’interno calabrese; Palazzo Adriano e Piazza Armerina, per ricordare soltanto due località toccate dalla fitta rete di ferrovie siciliane a scartamento ridotto; Mandas, Sorgono e Arbatax in Sardegna.
Si tratta di un patrimonio non solo di infrastrutture ma anche di cultura, perché la presenza delle ferrovie di prossimità ha significato lo sviluppo dei territori in precedenza isolati, che con il treno hanno cominciato a esportare i loro prodotti, si sono inseriti in una rete nazionale, hanno visto l’arrivo dei primi forestieri-turisti.
Purtroppo, in particolare dagli anni ’50 del Novecento, si è cominciato a pensare il treno fosse un mezzo di trasporto superato, a partire da quei piccoli treni delle ferrovie minori, che avevano visuali panoramiche bellissime, sulle quali in Svizzera si è “costruito” il loro target.
In Italia, si sviluppò invece una mentalità sbagliata, che ha portato nel corso dei decenni a tagliare gran parte di questi “binari di prossimità”, considerati “rami secchi” di una rete da potare inesorabilmente, isolando di nuovo le aree interne.

Dal 1960, si è affermato infatti un modello nuovo nel campo della mobilità, con la realizzazione di strade e autostrade da parte degli enti locali e dello Stato, sulle quali i cittadini si spostavano con i propri veicoli individuati. Il contrario del servizio pubblico di trasporto. Un errore enorme, tutto italiano, che ha portato una diffusione eccessiva dell’automobile, i cui esemplari stanno ormai toccando i 40 milioni, con un tasso di motorizzazione fra i più alti del mondo.
Un caso esemplare ha recentemente dimostrato quanto fosse sbagliata la politica dei “rami secchi”. La ferrovia della Val Venosta, da Merano a Malles (60 km), chiusa nel 1991 è stata riaperta nel 2005, ed è diventata la base dello sviluppo del territorio. Nel 1991 aveva tre coppie di treni e poche decine erano i viaggiatori a bordo. Oggi, con un treno ogni ora e in alcuni orari ogni mezz’ora, trasporta 2 milioni di passeggeri all’anno.
Un altro esempio è quello della Foggia-Lucera, 19 km, chiusa nel 1967 e riaperta nel 2008, che ha consentito un notevole miglioramento dell’accessibilità a Foggia per tutti i pendolari che arrivano dall’interno, con un servizio ogni mezz’ora.
Le buone pratiche, dunque, ci sono, ma pochi le conoscono. Mentre si affermavano questi nuovi esempi, continuava altrove la chiusura dei “rami secchi”, in una completa ignoranza della possibilità di rivitalizzare le ferrovie di prossimità a beneficio del territorio.
Ci sono oggi molti esempi in tutta Italia di ferrovie dalla grande valenza turistica, che sono chiuse la domenica e nei giorni festivi, quando non sono chiuse del tutto. In pratica, infrastrutture che potrebbe valorizzare i territori a livello turistico, sono considerate come residuali per un trasporto di pochi studenti e lavoratori.
Eppure, anche nel caso del turismo ferroviario le buone pratiche ci sono, iniziate negli anni ‘90 con il Trenino Verde della Sardegna, con il treno del Basso Sebino in Lombardia e con il Treno Natura in Toscana, fino ad arrivare al progetto “binari senza tempo” di Fondazione Ferrovie dello Stato, che valorizza i territori con i treni storici.

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Nota bibliografica
F. Bertino, Binari. Racconti di viaggi e di treni sulle ferrovie minori italiane, Lecce, Youcanprint, 2021
P. Tantardini, Atlante delle tramvie e ferrovie minori italiane, vol. 1 e vol. 2, Sandrigo, TGBook, 2021
S. Maggi, Le ferrovie, Bologna, Il Mulino, 2017
P. Rumiz, L’Italia in seconda classe, Milano, Feltrinelli, 2009

di Stefano Maggi (da nautilusrivista.it) 

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