Le vie degli alberi
Per una storia delle alberature stradali
di Rossano Pazzagli (da nautilusrivista.it)
22 Febbraio 2023
L’aumento del traffico automobilistico, conseguenza del boom economico e dell’insufficienza dei trasporti pubblici, ha fatto emergere in misura crescente il problema della sicurezza stradale. Spesso sotto la spinta emotiva di gravi incidenti, dimenticando la responsabilità di errate gestioni della mobilità, sono state le tradizionali alberature lungo le strade d’Italia a finire sotto accusa.
Qualcuno è arrivato a richiedere l’abbattimento indiscriminato di interi filari di piante, ignorando le funzioni che questi hanno a lungo svolto e che almeno in parte potrebbero ancora svolgere. Lo stesso codice della strada, approvato nel 1992, prevede nei successivi regolamenti di attuazione il divieto della presenza di alberi entro una distanza minima di sei metri dal bordo stradale[1].
I viali alberati sono la più antica forma d’inverdimento ai bordi delle strade, marcando in modo quasi indelebile i tragitti viari. Originariamente le alberature servivano a consolidare e a rendere permanenti e riconoscibili le vie di comunicazione: le radici degli alberi impedivano che la superficie stradale non pavimentata si erodesse, le chiome creavano una piacevole zona d’ombra attutendo il caldo estivo e proteggevano da pioggia e neve nella stagione invernale; quando si impiegavano alberi da frutto, questi davano nutrimento ai viandanti; inoltre fornivano legname da costruzione e legna da ardere, fascine, alimenti per animali, miele ecc.
Gli alberi più frequentemente usati per le alberature stradali erano il tiglio, l’acero, la quercia, il platano e l’ippocastano, ma anche il noce, il carpino, il faggio, come pure varie specie di alberi da frutto, e in certe regioni gelsi e cipressi, fino all’impiego di piante esotiche come le palme, talvolta legate alle avventure coloniali. Per lungo tempo si è usato soprattutto l’olmo, prima che una aggressiva malattia decimasse questa bella pianta. Infine, a livello ambientale, i viali alberati offrono con i loro rami, le foglie e i tronchi un habitat adatto molte specie animali e costituiscono elementi di collegamento tra ecosistemi, configurandosi a volte come veri e propri corridoi ecologici e di biodiversità.
Nell’age of oil, o età dell’automobile, molte di queste funzioni non risultano più compatibili con gli stili di vita e le modalità degli spostamenti, ma non è fuori luogo domandarsi quante e quali di esse possono essere attualizzate o addirittura rilanciate nell’ottica di una nuova mobilità sostenibile.
Quella degli alberi lungo le strade è una storia molto lunga, che potremmo seguire a partire almeno dagli scrittori latini, dal tempo in cui la rete delle grandi stradi consolari romane pose le basi delle più importanti direttrici infrastrutturali italiane. Con la fine dell’impero anche le strade, come le città, andarono incontro ad un periodo di decadenza, ma il successivo periodo del medioevo e del Rinascimento si configura comunque come un mondo di uomini in cammino, con le strade frequentate da pellegrini, mercanti, soldati, corrieri, studenti… fino al grand tour, il giro dei giovani aristocratici europei che riserva una nuova attenzione alla condizione delle strade e alla presenza di alberature lungo il percorso, generalmente fatto in carrozza, ma anche a piedi e a cavallo.
Nel corso dell’età moderna in vari stati regionali anche le leggi italiane favorirono il diffondersi e il mantenimento degli alberi lungo le strade. Nella Roma di fine Cinquecento, il papa Sisto V fece piantare gli alberi – prevalentemente olmi – lungo le ampie vie che collegavano le chiese principali. Altre piantumazioni seguirono nel corso del ‘600.
Con l’età dei Lumi si verifica una profonda trasformazione delle funzioni e delle tecniche stradali: si apre l’epoca delle carrozzabili, il passaggio dal trasporto someggiato a quello con i carri e le carrozze, passando in pratica dal mulo alla diligenza[2]. Per questo il ‘700 è stato definito il secolo del risveglio stradale[3], con l’affermarsi di un’estetica della strada in aggiunta all’idea del viale alberato rinascimentale, prevalentemente urbano o collegato alle ville o ai parchi e giardini.
Un ruolo di primo piano nello sviluppo di questa nuova sensibilità e nella realizzazione di grandi strade alberate spetta alla Francia, che proprio a partire dal ‘700, grazie al corpo degli ingegneri di Ponti e strade, vede la creazione di un vero e proprio sistema stradale. La stessa legislazione in materia si fa più fitta e in età rivoluzionaria e napoleonica vari decreti affinano continuamente la normativa stradale, comprese le disposizioni relative agli alberi piantati sulle strade: le grandi architetture vegetali testimoniano un’aspirazione ad abbellire il paese…[4]. Anche in Italia si può constatare l’influsso francese, in particolare dei prefetti napoleonici, nella costruzione di questo tipo di paesaggio e anche nell’affermarsi di una tradizione che si consoliderà nel periodo della Restaurazione e ancor più nel secondo ‘800.
Nell’ambito della “Legge per l’unificazione del Regno d’Italia” (1865) furono stabilite le norme sulla competenza, la costruzione e la manutenzione delle strade, che vennero suddivise in quattro categorie: nazionali, provinciali, comunali e vicinali, una classificazione che rimarrà immutata fino al periodo fascista quando, nel 1923, il Regio Decreto 2506 ripartì le strade in cinque classi. Sempre negli anni ’20 inizia la storia delle autostrade, con l’inaugurazione nel 1924 del primo tratto della Milano-Laghi. Anche le prime autostrade sono spesso costeggiate da lunghe e imponenti file di piante: lungo la Firenze-Mare (1933) si trovavano filari di pini disposti ad una distanza di quindici metri.
In generale, le file di alberi sono diventate un elemento ambientale di pregio e un tratto paesaggistico dell’Italia.
Guido Piovene nel suo Viaggio in Italia (1953-56) giudicava come “il più bel viale d’Italia… quello di platani tra Pisa e Bocca d’Arno costeggiante il fiume: nelle giornate calde le fronde sembrano soffiare, come geni animati, un venticello su chi passa”[5]. È una delle tante testimonianze dell’alberatura stradale come benessere, prima che cominciasse la strage degli alberi.
Dove sono finiti i grandi viali alberati? Perché sono soffocati dall’incuria e dall’ invasione delle macchine? Se lo chiedeva qualche anno fa lo scrittore Pietro Citati, che lanciava il suo j’ accuse per le fronde messe a repentaglio dallo smog e dalle malattie.
Antonio Cederna, uno dei padri dell’ambientalismo, ispiratore delle principali battaglie di Italia Nostra, inserì nel suo libro su La distruzione della natura in Italia (1975) un apposito capitolo intitolato “La guerra agli alberi” nel quale denunciava i tagli indiscriminati di intere alberature avvenuti tra gli anni ‘50 e ‘60, alberi “senza colpa né peccato” ombreggiavano le strade statali della disgraziata penisola.
L’attacco alle alberature stradali ebbe un’impennata tra il 1962 e l’inizio del 1964, quando furono abbattuti più di 100.000 alberi, mentre nel ’64 l’Anas decise di eliminare quelli che sorgevano a meno di 150 metri dalle curve e ameno di 80 centimetri dal ciglio della carreggiata.
L’abbattimento delle alberate venne fermato nel 1966 da una circolare del Ministero dei Trasporti che prevedeva anche il reimpianto nei filari esistenti, ma poi gli abbattimenti sarebbero ripresi dopo l’approvazione nel 1992 del nuovo Codice della Strada che ha relegato la problematica ad una esclusiva questione di sicurezza automobilistica e ad un approssimativo quanto burocratico calcolo della cosiddetta “fascia di rispetto” che “non può essere inferiore alla massima altezza raggiungibile per ciascun tipo di essenza a completamento del ciclo vegetativo e comunque non inferiore a 6 metri”[6]. Fin dai primi anni ‘60 la demolizione delle alberature stradali era stata motivata dalla necessità di aumentare la sicurezza della circolazione e di prevenire gli incidenti automobilistici, ma secondo un documentato dossier di Legambiente “non esiste alcuno studio che abbia messo in evidenza come la sola presenza di alberi lungo le strade provochi un aumento degli incidenti stradali e, contrariamente all’Italia, le norme di altre nazioni europee permettono di mantenere e ripristinare le alberate”[7]. Eppure, l’ultimo aggiornamento del Codice della strada (2022) agli articoli 16 e 17 conferma il divieto di “impiantare alberi lateralmente alle strade”.
Il paesaggio stradale è molto cambiato e sempre più, al posto degli alberi sono stati inseriti altri elementi. La strada contemporanea ha visto affermarsi in modo sempre più massiccio i tunnel a ogni minimo rilievo del terreno, le palizzate fitte dei lampioni e dei tabelloni pubblicitari, le barriere antirumore, le scarpate cementificate e soprattutto le abusate rotonde.
Forse è giunto il momento di ripensare a una estetica delle strade che parta dalla lettura del territorio e non dalla priorità dell’automobile, dalla qualità del viaggio e non dall’ansia della meta. In questo senso lo studio delle alberature tradizionali, dei ruoli e delle funzioni che esse hanno svolto nel tempo, può rappresentare un aspetto utile per ricostruire un rapporto equilibrato tra infrastrutture e paesaggio.
Per questo le alberate e gli alberi isolati sopravvissuti ai bordi delle strade italiane sono da salvaguardare come parte significativa del patrimonio arboreo e paesaggistico del Paese.
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[1] Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, Nuovo codice della strada.
[2] J. Day, Strade e vie di comunicazione, cit., p. 98
[3] L. Bortolotti, Viabilità e sistemi infrastrutturali, cit., p. 302
[4] E. Morelli, Disegnare linee nel paesaggi. Metodologie di progettazione paesistica delle grandi infrastrutture viarie, Firenze, Firenze University Press, 2005
[5] G. Piovene, Viaggio in Italia, Milano, Baldini&Castoldi, 2003, pp. 401 e 414
[6] Regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada D.P.R. 16.12.1992 n° 495
[7] A. Porta – M. De Vecchi, Salviamo gli alberi lungo le strade italiane, Legambiente, 2013, https://www.laterra.org/laterra/wp-content/uploads/2023/02/Salviamo-gli-alberi-v1.1.pdf
Nota bibliografica
M. Ambrosoli, Alberate imperiali per le strade d’Italia : la politica dei vegetali di Napoleone, « Quaderni storici », 99, a. XXXIII, n. 3, 1998, pp. 707-738.
L. Bortolotti, Viabilità e sistemi infrastrutturali, in Storia d’Italia, Annali 8, Insediamenti e territorio, a cura di C. De Seta, Torino, Einaudi, 1985, pp. 287-366.
A. Brilli, Il viaggio in Italia. Storia di una grande tradizione culturale, Bologna, il Mulino, 2008
A. Cederna, La distruzione della natura in Italia, Einaudi, Torino, 1975
J. Day, Strade e vie di comunicazione, in Storia d’Italia, vol. 5, I documenti, t. I, Torino, Einaudi, 1973, pp. 87-120;
H. C. Peyer, Viaggiare nel Medioevo. Dall’ospitalità alla locanda, Bari, Laterza, 2009.
G. Piovene, Viaggio in Italia, Milano, Baldini&Castoldi, 2003
A. Porta, M. De Vecchi, Salviamo gli alberi lungo le strade italiane, Legambiente, 2013,.
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