L’impazzimento sociale
Il Festival del Fuoco di Agnone: “Dio è morto e io non mi sento per niente bene…”
di Franco Valente – fb
10 Dicembre 2024
Per dirla con i Eugene Ionesco “Dio è morto e io non mi sento per niente bene…”
IL FESTIVAL DEL FUOCO DI AGNONE.
L’impazzimento sociale.
Nel Molise è la più bella festa cristiana del Natale che di cristiano non ha più niente.
Se provate a partecipare a una festa folkloristica difficilmente riuscireste a svincolarvi dal piacere dei sensi e giustificare l’assurdità della vostra condivisione se a quell’eccitazione partecipano presunti sociologi e antropologi indipendenti che ritengono di attribuire a quell’espressione collettiva, di nessuna valenza storica o religiosa, significati ancestrali.
Ormai gli antropologi di paese e i sociologi di fine pranzo inquadrano la moderna “ndocciata di Agnone” tra le azioni rituali che affonderebbero le proprie radici in una tradizione che, in realtà, strutturalmente, non ha quel collante diacronico che determinerebbe la sua importanza come evento sincronico.
Cerco di spiegarmi con parole più semplici.
Gli antropologi e i sociologi della vecchia scuola sanno benissimo che ogni espressione umana si compone sostanzialmente di due valori.
Uno diacronico che è la conseguenza di circostanze che appartengono al passato e che costituiscono l’ossatura di quella espressione.
L’altro sincronico che è il valore di quello che accade in quel particolare momento in cui la collettività sta partecipando all’avvenimento.
Nelle cerimonie religiose esistono regole liturgiche che diventano sostanza teologica. Nulla valendo i giudizi di natura morale sulla giustezza della visione escatologica dei partecipanti al rito.
Una torcia si può portare in qualsiasi giorno dell’anno. Da soli o in compagnia. Di giorno o di notte.
In tal caso il gesto non ha alcun significato liturgico e tantomeno religioso.
Se la torcia, invece, viene preparata secondo un rituale codificabile, con materiali specifici (prevalentemente abete bianco del bosco di Montecastelbarone), da persone che vivono in contesti urbani speciali e la torcia accesa viene trasportata in un giorno particolare, allora e solo allora, la cerimonia assume anche un significato religioso.
Se, poi, quella cerimonia liturgica si ripete da tempo antico con il medesimo rituale e nel medesimo giorno dell’anno, allora e solo allora si può parlare di conservazione della tradizione.
Non ci sono antropologi, sociologi, poeti e professori che tengano.
Per i Cristiani di Occidente l’attesa della incarnazione di Dio viene definita “periodo dell’Avvento” e comprende le quattro domeniche che precedono il Natale.
Quest’anno le domeniche cadono il Primo dicembre, l’8 dicembre, il 15 dicembre e il 22 dicembre.
Poi vi è la vigilia. Che è il 24 dicembre.
Che era giorno di digiuno.
Che era anche il giorno tradizionale per la preparazione e l’accensione delle “ndocce” per illuminare la via che portava alla Chiesa dove si celebrava la messa notturna del Natale.
Non ci servono antropologi e sociologi per farci scoprire che in tutte le religioni il fuoco ha un valore simbolico straordinario, ma nella cultura religiosa monoteista (Cristiani, Ebrei e Musulmani) il fuoco ha un significato particolare.
Dio si manifesta attraverso il fuoco per confermare la sua alleanza con Abramo (Genesi 15,17), per dialogare con Mosè (Esodo 3,2); per guidare il popolo nel deserto (Es 13,21); per sigillare l’alleanza con il suo popolo al Sinai (Esodo 19,18; 24,17).
Per i Cristiani nel Nuovo Testamento il battesimo cristiano è associato al fuoco (Matteo 3,11).
Gesù assimila la sua missione alla forza del fuoco: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso» (Luca 12,49).
Per non parlare dell’importanza del fuoco nella predicazione domenicana quando la forza della loro predicazione viene simboleggiata nel cane che regge una torcia nelle fauci (“Domini-canes”, i cani del Signore).
Le “ndocce” di Agnone appartengono ai riti cristiani.
Ormai gli organizzatori dell’evento ritengono che quante più persone, numericamente, assistono allo spettacolo, tanto più si consolida il significato antropologico deviato del fatto.
Gli interpreti ormai sono semplicemente “figuranti” che, peraltro, non percorrono più le vie antiche che partivano dalle abitazioni di campagna e raggiungevano la chiesa.
Conseguentemente anche la “ndocciata di Agnone”, dopo aver perso ogni legame con l’origine cristiana di una intima celebrazione dell’attesa dell’incarnazione di Dio, è diventata una delle tante cerimonie spettacolari che deve il successo alle capacità di rendere piacevole l’esibizione dei figuranti che ormai sono professionisti delle roteazioni.
Come i Dervisci rotanti di Konia che vanno in giro per il mondo a fare spettacoli.
Perché la “Ndocciata di Agnone” è uno spettacolo bello e suggestivo dove conta l’abilità degli organizzatori e l’applicazione di alcune regole nella gestualità folkloristica dei figuranti.
La “Ndocciata di Agnone” ha fatto un altro passo avanti.
Credo che nessuno dei partecipanti sia entrato in una delle splendide chiese con quello spirito che appartiene a una tradizione popolare probabilmente scomparsa.
Le “ndocce”sono diventate un festival internazionale dove improvvisati fuochisti accendono le fiaccole con il cannello della fiamma ossidrica, improbabili zampognare scozzesi in hot-pants allegrano la vista sei presenti, il “pupaccio” arriva della Toscana carnascialesca, le streghe dalla Valle del Calore mentre aitanti e poderosi maschi agnonesi reggono code fiammeggianti di pavone con venti torce e sindaci in fascia tricolore si godono il meritato trionfo politico.
Per dirla con i Eugene Ionesco “Dio è morto e io non mi sento per niente bene…”
di Franco Valente – fb
10 Dicembre 2024