Lo scenario diVino dischiuso dallo “squattone”
Declinazione semiseria di un prodigioso rimedio contro la sofferenza interiore
di Achille Mantiche Ironia
13 Gennaio 2025
Un viaggiatore che dovesse recarsi oltreoceano e incontrasse dei cittadini con cognomi centro/alto molisani e ignari della loro origine, lingua, cultura perché nipoti dei nipoti degli originari migranti, ebbene questo viaggiatore rimarrebbe colpito da un fatto: i cittadini con cognomi bagnolesi hanno conservato il rito dello “squattone” e se richiesti di spiegare questa loro abitudine, non saprebbero dare risposte univoche.
Se il nostro viaggiatore fosse un ricercatore, e si fosse recato oltreoceano per una seria di conferenze sul tema Recenti acquisizioni sugli enzimi digestivi, egli esporrebbe il suo intervento in questo modo:
«Gentili Signori, colleghi, come voi tutti sapete, l’organismo riesce ad assorbire principi nutritivi solo quando questi sono stati ridotti a particelle elementari dagli enzimi digestivi. Per ogni categoria di molecole c’è una categoria specifica di enzimi. Ad esempio per l’amido c’è l’enzima corrispondente che è l’amilasi, per il latte c’è la lattasi, per il saccarosio c’è la saccarasi. La capacità o incapacità a produrre certi enzimi, è alla base delle abitudini alimentari e altre specificità fisiche che caratterizzano i diversi gruppi etnici. Ad esempio, i nativi d’America (cosiddetti pellerossa) sono carenti di un enzima in grado di metabolizzare l’alcol: da qui la loro facilità ad ubriacarsi. Altro esempio ci è fornito dal popolo degli eskimesi, che non hanno sviluppato l’enzima in grado di produrre il sudore sul tronco; da qui la loro capacità di movimento resistendo a bassissime temperature: il sudore, infatti, si congelerebbe sul corpo e questo ha sempre rappresentato un problema per gli esploratori provenienti da altre latitudini.
C’è poi una popolazione di origine sannitica disseminata in tutto il mondo occidentale ma originaria di alcuni piccoli paesi Pentri del Molise, i quali grazie a una abitudine radicata nei secoli, di consumare un particolare alimento denominato “squattone”, può vantare la produzione nel proprio organismo di particolare enzima specifico: la squattonasi. Si tratta di un enzima la cui sintesi è controllata da geni presenti solo nei cromosomi dei medio/alto molisani; è stato osservato, infatti, che lo “squattone”, se ingerito da individui di altre popolazioni, risulta disgustoso e non raramente vomitevole. Non a tutti per la verità: alcuni forestieri lo consumano con gusto, ma poi è emerso che nella loro storia parentale c’è traccia di qualche loro antenato di discendenza quantomeno sannitica».
A un’eventuale richiesta di approfondimento rappresentata da un partecipante al seminario sugli ingredienti, sui caratteri organolettici e sulle proprietà benefiche dello “squattone” (un partecipante magari spinto dalla propria origine italiana), si potrebbero supporre risposte di questo tipo:
Dello “squattone”, come del sangue, si distinguono due componenti: una solida e una liquida. La prima è costituita dalla pasta, la seconda dal vino (nel sangue, le cellule e il plasma); solo due elementi ma che combinati in modo armonico, danno una grande varietà di risultati. Nell’ambito dell’alimentazione medio/alta molisana nulla c’è di più personale dello “squattone”.
La tazza è una pagina bianca su cui ognuno scrive la propria storia.
I tagliolini finissimi, con acqua di cottura (lavatura o jozza) a livello appena sopra la massa solida con l’aggiunta di vino rosso, è il modello di “squattone” apprezzato mediamente da tutti i paesi citati. Si arriva poi a forme estreme con tantissima lavatura a effetto ustionante, o a scarsa lavatura e tantissimo vino a effetto inebriante. C’è una versione infantile-adolescenziale con l’aggiunta di zucchero e una versione senile con l’aggiunta di pepe.
La pasta può essere lunga o corta. Infatti per lo “squattone” ci sono i capellini o i cannaringill (cannolicchi). Ancora oggi non è dato sapere dove i negozianti si riforniscano di paste così specifiche per soddisfare questa abitudine locale.
È curioso come i tempi di ingestione non dipendano dal carattere flemmatico («e quand c’ mitt a fatt sct squatton?», cioè: ‘e quanto ci metti a farti sto squattone?’); o nevrile («mo’ già t’è fatt ‘r squatton?», ‘e ora già ti sei fatto lo squattone?’).
Per le donne che servono è d’obbligo consumare lo “squattone” in piedi, come è d’obbligo che i vecchi vengano serviti per primi. Nelle giornate fredde di inverno qualcuno riscalda la tazza con la lavatura prima di versarlo, a dimostrazione di un’estrema cura della persona.
Ci sono testimonianze di centenari e di quelli che si sono avvicinati al traguardo, che facevano lo “squattone” almeno due volte al giorno. Oggi è nota l’indubitabile funzione benefica degli antiossidanti presenti nel vino rosso, l’azione idratante della lavatura, la funzione blandamente lassativa dell’amido che vi è disciolto e l’apporto energetico della pasta.
Si narra di una contadina che tutte le sere, all’ora dello “squattone”, distribuiva il latte della propria mucca a domicilio per la colazione dell’indomani. Molti la invitavano a farsi lo “squattone”, e una sera arrivò a dodici “squattoni”. Tornata a casa, disse al marito: «Questa sera sono proprio stanca… Adesso mi faccio un bello “squattone” e mi metto a letto!».
I vecchi ancora ricordano la tragica distruzione delle vigne ad opera della peronòspora prima della guerra. Ci si ingegnava in mille modi pur di ottenere qualcosa che somigliasse al prezioso vino necessario allo “squattone”. Si lasciavano a fermentare le amarene, le pere e perfino i trigni. E l’onore dello “squattone” fu salvo.
Ma l’esposizione sarebbe incompleta senza un’analisi storico-antropologica dello scattone. Una considerazione preliminare su cui ruota tutto il ragionamento. Ed è questa: lo “squattone” è figlio della miseria e della sofferenza interiore.
Immaginiamo per un momento i medio/alto molisani (ma anche tutte le etnie del centro-sud) prima della fine dell’Ottocento ovvero prima della grande emigrazione verso le Americhe.
Non è irreale l’ipotesi secondo cui essi conducessero una vita di mera sussistenza, in cui la quotidiana dedizione quasi sacrificale verso al terra, richiedeva fatica e sofferenza dall’alba al tramonto, senza altra prospettiva. Immaginiamo come tale penosa condizione si riflettesse sul corpo soprattutto con tensioni al livello della bocca dello stomaco. La stessa sensazione vissuta da coloro che nel paese, di notte, vegliano il morto in compagnia di parenti e vicini, quando il silenzio delle riflessioni è a intervalli regolari interrotto da sospiri profondi che non hanno altra funzione se non quella di placare l’afflizione della perdita, agendo sulla tensione del ventre; così lo “squattone”, analogamente, distribuendo il suo fluido caldo, portava tutto il plesso solare a una sensazione di ritrovato benessere e di dimensione umana. Il pneuma profondo e il fluido caldo: gli unici strumenti di salvezza alla portata dei miserabili. Alla luce di queste considerazioni, non è fuori luogo attribuire allo “squattone” una base di natura spirituale, supponendo che quella organico-materiale sia una sua naturale conseguenza. Ma qual è l’elemento cardine a supporto di questo ragionamento?
Il focus, come già detto, è il plesso solare, cioè quell’area sotto il diaframma che copre lo spazio tra lo stomaco e l’ombelico. Cioè è lì che agisce lo “squattone”. Già il nome, plesso solare, evoca qualcosa che sconfina in un mondo ulteriore. Plesso significa un insieme di cose, e solare ovviamente riconduce al sole. Il plesso solare è, dunque, il luogo in cui convergono i nervi che presiedono all’apparato gastroenterico, oltre che ai vasi sanguigni.
Per gli orientali è il luogo del terzo chakra, cui è deputato il compito di provvedere al metabolismo dell’energia cosmica, oltre al rafforzamento dell’aura; è insomma il luogo da cui scaturisce il piacere della vita, i sentimenti e i pensieri metafisici, e quando il plesso solare perde di potenza, si genera uno scollamento dalla dimensione trascendente.
E come l’orientale, dopo la preghiera rivolta al Buddha si sente di nuovo in armonia col mondo e ringrazia la divinità recitando la famosa giaculatoria nam myoho renge kyo («ritrovo il ritmo dell’universo rivitalizzante»), allo stesso modo il medio/alto molisano, dopo aver ingurgitato l’ultimo sorso del liquido caldo che estende lo stomaco e sollecita direttamente il plesso solare, si riconcilia con sé stesso, con la famiglia e la comunità; sussurrando semplicemente «scià ldat ddie!», il cui significato, senza limitarci a un banale «sia lodato Dio», è di per sé ineffabile, percepibile solo con la sensazione e col pensiero, eguagliando la complessità metafisica della preghiera buddista.
(NdR: nel testo originale figura la parola “bagnolese” (cioè abitante di Bagnoli del Trigno – IS) al posto di “paesi medio/alto molisani” – In effetti in tutta la zona alto/medio molisana, dove è accertato storicamente l’uso dello “squattone”, ogni paese ne rivendica l’origine)
di Achille Mantiche Ironia
13 Gennaio 2025