Minatore per fame
I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre
di Vincenzo Colledanchise (fb)
12 gennaio 2018
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Nel 1954 Salvatore era un bel giovane, forte e pieno di speranze, ma col problema comune a tutti i suoi coetanei, di essere privo di lavoro. Avrebbe potuto svolgere l’antico mestiere del contadino, come il padre, ma di terra il padre ne aveva pochissima, sufficiente solo per poterne ricavare il bastevole per sopravvivere.
Salvatore approdò, insieme ad alcuni paesani, a Marcinelle, nell’aprile del 1954. Prese alloggio presso un baraccone di legno zeppo di duecento brande, attraverso le finestre opache della baracca si scorgeva un cielo cupo e grigio e l’unica nota felice, in quel posto infernale, era sentire qualche canto dei connazionali meridionali quando la domenica erano intenti a lavare le nere tute presso il comune lavatoio.
Il primo giorno che Salvatore scese in miniera fu terrorizzato dal buio e dai boati che rimbombavano nelle gallerie, erano le mine che aprivano l’ennesima vena di carbone nella roccia e i martelli pneumatici che spezzettavano in piccoli blocchi il carbone. Salvatore, quale ausilio, aveva solo un elmetto col lume e dei guanti per caricare, col badile e sui carrelli, quintali di carbone ogni giorno.
Man mano che scendeva nelle viscere della terra la temperatura aumentava e si sentiva mancare il fiato. Strane esalazioni e tanto pulviscolo scuro rendevano quell’aria irrespirabile, seppur enormi tubi insufflavano tanta aria ad ogni piano della miniera.
L’otto agosto del 1956, Salvatore era sceso giù in miniera con i alcuni suoi compagni di Ferrazzano e di San Giuliano di Puglia, erano tutti allegri, perchè solo qualche altro turno e avrebbero preso il treno per le vacanze in Italia. Ma, a causa di un errore umano, un filo della corrente si tranciò sotto il peso dei montacarichi sprigionando un pauroso incendio, aggravato dalla mancanza di luce e dell’aria non più insufflata dai tubi per i motori fermi.
I minatori rimasero senza via di scampo, soffocati dalle esalazioni di gas. Le operazioni di salvataggio furono disperate e si protrassero fino al 23 agosto, quando uno dei soccorritori pronunciò in italiano “tutti cadaveri”.
Fra quei cadaveri c’erano gli amici si Salvatore, originari di Ferrazzano e di San Giuliano. Salvatore fu salvo per miracolo, ma per 262 minatori non fu possibile salvarli. I minatori italiani morti in miniera furono 136. Molti si sarebbero potuto salvare solo se avessero avuto la maschera antigas, ma questa fu introdotta solo dopo questa inaudita tragedia.
di Vincenzo Colledanchise (fb)