Museo dell’Emigrazione Italiana
Un’esperienza diversa per sconfiggere i pregiudizi
di Alessandro Rubini – Uno dei curatori di Meet (da italiachecambia.org)
20 febbraio 2023
Siamo abituati a considerare i musei sulla base delle opere che ospitano e che possiamo contemplare dal vivo. Il richiamo agli oggetti fisici e all’educazione visiva come pratica di assimilazione della memoria fa parte della nostra tradizione. Eppure il Museo dell’Emigrazione Italiana (MEI) di Genova è un’istituzione priva di collezioni. Come si spiega?
LA STORIA DEL MUSEO DELL’EMIGRAZIONE ITALIANA
Facciamo un passo indietro. Nel 2008 il Ministero degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale istituisce il Museo dell’Emigrazione Italiana, con sede provvisoria nel complesso monumentale del Vittoriano, a Roma. Nel 2016 la sede provvisoria del Vittoriano viene dismessa e vengono avviate le procedure per individuare la nuova e definitiva sede del MEI. Nel 2018 la scelta ricade su Genova, città simbolo dell’emigrazione, luogo di passaggio, punto di arrivo e di partenza di pellegrini lungo la via Francigena e porto da cui si imbarcarono per decenni italiani che andavano all’estero in cerca di un futuro migliore.
Nel maggio 2022, dopo anni di ricerche scientifiche e progettazione, il Museo dell’Emigrazione Italiana apre al pubblico con un percorso sviluppato su tre piani suddivisi in 16 aree che racconta la storia dell’emigrazione italiana dalla metà dell’Ottocento a oggi. La sede del Museo è la Commenda di San Giovanni di Prè un edificio del XII secolo, che per secoli è stato luogo di accoglienza e punto di passaggio di un’umanità in transito, dai pellegrini alle crociate, fino agli emigranti dell’Ottocento.
IL MUSEO CAMBIA VOLTO
Fin qui ogni scelta appare coerente con un’idea classica di museo in cui i palazzi vengono valorizzati riportando in vita quelle narrazioni che in passato li hanno resi simboli e protagonisti. Poi però la narrazione si sviluppa con percorsi nuovi. Il racconto delle migrazioni parte da elementi biografici e autobiografici messi a disposizione del pubblico attraverso documenti, lettere, diari, fotografie di famiglia e altri materiali digitalizzati relativi alle emigrazioni italiane e con una sezione sui fenomeni contemporanei. Partendo da questo materiale si sviluppano le storie delle migrazioni italiane i cui contorni e contesti storici, sociologici e umani sono raccolti e presentati con linguaggi digitali.
«L’applicazione di tecnologie per la valorizzazione del Patrimonio culturale materiale e immateriale è il cuore della nostra attività. In questo caso però non c’erano oggetti da valorizzare ma intere scene da illustrare per spiegare la multidimensionalità del fenomeno, pertanto è stato centrale immaginare l’esperienza di visita e immergere le persone in una serie di approfondimenti interattivi sotto forma di storie»; così Maria Oddo, project manager di ETT società che ha curato l’allestimento multimediale, spiega il senso dell’operazione di allestimento virtuale del museo.
«I problemi di certe installazioni multimediali – prosegue Maria Oddo – sono rappresentati dalla noia che spesso affligge i visitatori di fronte a uno schermo, per questo qui abbiamo lavorato sull’interattività evitando comunque l’uso di tecnologie troppo complesse per garantire che fosse accessibile a tutti».
L’ESPERIENZA DI VISITA
Anche Pierangelo Campodonico, direttore dei musei del Mare e delle Migrazioni di Genova, esprime la sua soddisfazione per il risultato: «Nonostante il fenomeno della migrazione sia molto consolidato in Italia, fino alla nascita del Museo dell’Emigrazione Italiana non esisteva un museo dedicato all’emigrazione. Questo museo combina elementi fisici con elementi digitali ed è in grado di costruire comunità e promuovere l’integrazione sia per i temi che tratta sia per l’capacità delle installazioni di stimolare continue riflessioni tra pratiche antiche e contemporanee».
«Il museo – aggiunge il direttore – manda un messaggio positivo sulle migrazioni, normalizza un fenomeno umano che è sempre avvenuto e sempre avverrà e cerca di sconfiggere il pregiudizio, quindi è importante raggiungere il più ampio pubblico possibile». Il fenomeno della migrazione è insito nell’essere umano ed è su questa base archeo-sociologica che si sviluppa il MEI. Il museo cerca di trasmettere un messaggio di opportunità legato alle migrazioni, contribuendo a sfatare pregiudizi”.
«Ci siamo anche chiesti come realizzare un museo multilingua senza compromettere l’estetica», spiega Maria Oddo. «A inizio percorso il visitatore crea il proprio passaporto, selezionando la lingua, l’età e il genere. Questo espediente consente di sbloccare i contenuti degli schermi e delle lavagne e rende immediatamente il visitatore soggetto attivo. Sebbene inizialmente l’idea fosse quella di personalizzare la visita in base a queste informazioni, per far percepire al visitatore cosa avrebbe vissuto come emigrante, si è poi scelto di far vivere la stessa esperienza a tutti i visitatori con una sola postazione speciale che interagisce con l’identità, più nel dettaglio il genere, del passaporto creato e permette ai visitatori di sperimentare la discriminazione, offrendo un’esperienza emozionale e illuminante».
Un’altra storia interessante è affidata a un video in cui attori mettono in scena una situazione che si verificava abitualmente nelle taverne sul porto: l’impresario, lo scafista diremmo oggi, che illude poveri e disperati vendendo loro un biglietto per un viaggio oltreoceano con la speranza di un viaggio comodo e di una favolosa prospettiva lavorativa. Sembra di essere nella fiaba di pinocchio, ma la funzione didascalica del video è assicurata.
L’installazione emotivamente più d’impatto è probabilmente quella ospitata all’ultimo piano dell’edificio. Il visitatore deve attraversare un labirinto, assumendo i panni del migrante giunto nello Stato straniero e costretto a interagire, di volta in volta, col padrone di casa o col datore di lavoro. Questi ultimi parlano nella loro lingua originale, per cui emerge forte e chiaro il divario linguistico. La simulazione porta il visitatore ad incarnare il senso di spaesamento del migrante e fa percepire l’umiliante asimmetria di potere e riconoscimento che condiziona in partenza la relazione tra le parti. I personaggi che il visitatore incontra attraversando il labirinto sono uno più sgradevole dell’altro in un crescendo di cattiveria.
I linguaggi audiovisivi e l’interazione permettono quindi di allargare il campo di esperienza dei visitatori che riescono così non solo a conoscere le storie, ma anche a percepire la vita di chi in passato e ancora oggi lascia la sua casa, i suoi affetti e il suo paese alla ricerca di nuove opportunità, di crescita professionale, di miglioramenti economici o semplicemente di nuove avventure.
di Alessandro Rubini – Uno dei curatori di Meet (da italiachecambia.org)