• 06/27/2018

Padre & Figlio

Giuseppe e Carlo Jovine – Il padre, raccontatore e poeta eclettico dialettale. Il figlio primario neurologico, membro della Consulta per il riconoscimento della Santità di Karol Wojtyla. Aspetti sconosciuti di vita nei due personaggi

di Vincenzo Di Sabato (da ilbenecomune.it)

27 giugno 2018

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Tanto padre, più ancor tanto figlio: Carlo Jovine! Figlio di Peppe il raccontatore, il saggista, l’ispiratore inesauribile di poetica dialettale; eclettico studioso di Castelmauro a Roma, produttore di cultura e d’amicizie.

Carlo Jovine è, invece, meno appariscente e passionale del papà, ma intellettuale di razza, autore di oltre cinquanta pubblicazioni scientifiche. Medico – primario neurologico al “San Giovanni della Salle”, fisiatra, perito ufficiale della Congregazione per la Causa dei Santi – nel febbraio 2010 è nominato membro della Consulta per indagare e stabilire l’inspiegabilità scientifica sulla guarigione di Suor Normand, dal cui risultato è scaturito l’inserimento nel “Martirologio Romano” di Karol Wojtyla, ossìa l’ufficialità della sua Santificazione.

E, proprio attorno a Giovanni Paolo II e riguardo al suo pontificato vigoroso e doloroso, che Carlo Jovine, nel Salone di Santa Maria Immacolata in Roma, decora con raffinatezza e sicurezza, un Convegno su “Scienza e Fede”, nobilitato anche dalla tenuità erudita del Cardinale Ruini e di Slawomir Oder, postulatore della Segnatura Apostolica per la canonizzazione del Papa polacco, proclamato, poi, Santo 30 giorni dopo: il 27 aprile 2014.

Ma quanto difficoltoso – addirittura per positività così sorprendenti – è rimuovere la quiete beata e l’indifferenza della nostra contemporaneità! Per cui pare lecito tornarci almeno adesso, svelare gli intrecci e palesare chiarimenti, riflessioni e pensieri filosofici di Carlo Jovine, agganciati al retaggio teologale di Papa Wojtyla il quale lascia inciso il concetto della sua “Fides et Ratio” addirittura attorno alla cupola di S. Maria degli Angeli a Roma: “la scienza ha radici nell’Immanente, ma porta l’uomo verso il Trascendente”. E in quella enciclica il Pontefice rileva che “ci aspetta una grande sfida, quella di saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento”.

E riallacciandosi alla lettera pastorale di Giovanni Paolo II, pure Camillo Ruini, nell’ ”Intervista su Dio”, rivendica nella Sala dell’Immacolata, l’irriducibile originalità della ragione umana e del continuo interrogarsi sul senso <socratico> “più so, più so di non sapere”, in sostanza, sulle eterne domande fondamentali, tese a transitare dalla scienza a Dio. Carlo Jovine, in quel suo conversare, condivide l’impostazione di Antonino Zichichi il quale afferma che “la scienza è frutto di un formidabile rigore logico e matematico, che trova nella natura, il confronto diretto con l’opera del Creatore”.

E Carlo eccita ulteriormente la platea con raffiche di citazioni enunciate da grandi geni della scienza. Galileo Galilei, benché accusato e condannato dall’inquisizione per eresia, così innalza il suo concetto: “nelle mie scoperte ho appreso più con l’aiuto della grazia divina, che non mediante i telescopi”.  Newton: “Non credo che l’universo si possa spiegare solo con cause naturali: io sono costretto ad attribuirlo alla saggezza e all’ingegnosità di un Ente supremo e sapiente”. Einstein: la mia religione consiste nell’umile adorazione di un Essere infinito di natura superiore, che rivela se stesso nei particolari percepiti dai nostri sensi deboli e insufficienti”. Won Braun, capostipite del programma spaziale americano: “Credere che tutto l’universo sia accaduto per caso, è in contrasto con l’oggettività della scienza”.

Estate 1998. Il Centro Studi di Guardialfiera – d’intesa con Carlo e in empatia alla giovialità, all’Ars poetica, e al carattere ardente e arguto di Giuseppe Jovine – organizza da “Zifì” per sabato 29 agosto, l’“Ubi convivia, carmena vinaque: ibi salus”. Cioè una salutare sgranatoria di sapori, saperi, di poesia, di satira, di musica, dialetto, di amicizia: i connotati, insomma, rilucenti di Giuseppe Jovine, l’istrione della soirée.

L’autore de “Lu pavone”, “La luna e la montagna”, di “Benedetti molisani”, di “Chi sa se passa u’ Patraterne”, de “La strenga”, “Viaggio d’inverno”, dei “Detti memorabili di Castelluccio Acquaborrana”, il 29 agosto fin dal mattino è già a Castelmauro, laddove <è nata la sua storia, dove ogni albero ha il suo vento, dove ogni radura ha il suo silenzio, laddove egli cantò, nel linguaggio universale della poesia, l’amore per la sua gente e la sua terra>.

Lì, però, la canicola di quel pomeriggio d’agosto è, d’un tratto, congelata, squarciata ferocemente dal deflagrare d’una morte improvvisa. “Giuseppe Jovine – singhiozza l’editore Nocera – è morto a Castelmauro, stroncato da arresto cardiaco!” Increduli, sgomentati, Pietro Corsi ed io, corriamo, arriviamo fra i primi al suo Palazzo Ducale. La salma del rivoluzionario spirito della letteratura amena molisana, era appena stata composta sotto le volte di quello che egli definiva “il mio Salone delle feste”. La notizia fa il giro d’Italia.

Man mano che gli rendono omaggio, i molti “peregrinantes” s’interpellano imbarazzati anche sull’altro atto d’ossequio – ispirato alla sua vitalità – quello già fissato da un mese, per le ore 20 a Guardialfiera. Carlo Jovine, risoluto, li previene, confermando loro il programma tratteggiato dal papà. E sussurra: “Mi sembra lo schema infallibile per onorarlo! E’ la sua poesia. E’ la sua dottrina sana ad assicurargli l’immortalità. Il mito degli eroi non è legato alla bara, ma al culto e all’èpica del loro messaggio”.

Passano poche ore dallo spirare di Peppe. L’intellighentia molisana rigurgita dentro la “Sala Zifì”. Come flauto la voce di Aldo Gioia esordisce e suona la rapsodia del vernacolo e delle liriche “dal cuore caldo” prescelte dal figlio.  E, man mano, in alternanza “al desinar e al melodiar di corde”, Mario Gramegna, Pietro Corsi, Enzo Nocera, Nicola Perrazzelli, Antonio Mucciaccio, Pasquale di Lena, Gabriella Jacobucci, Carlo Cappella, s’alternano al leggìo e, con rapida estemporaneità sapienziale, lasciano pennellate di colori alla vita e al profilo letterario di Colui che “non è fuggito in compagnia dell’ore”.

Ma Carlo “non s’avvanza al sol languore e pianto”. Diviene “un doverista” alla maniera paterna. “Il Sole sul cammino” – unico esemplare del Sussidiario per la IV classe elementare, curato da Francesco Jovine – è stato trafugato! La mia amarezza giunge a Carlo. Egli conosce il testo. Sa di quelle rare perle che hanno fregiato e forgiato la vita di numerosi scolari, fortunati discepoli dello scrittore, di quando era maestro elementare a Guardialfiera, negli anni 20. E sa che, fra quei marmocchi c’era mia madre. Ne rintraccia copia a Roma negli scaffali di famiglia, me la spedisce, come a voler ricordare e celebrare, anche così, questo 2018, ventennale della morte del suo papà.

E quasi a far risplendere, assieme a lui, un nuovo Sole sul mio cammino sentimentale. Quasi a voler esaltare, assieme a me ottantaduenne, i valori fondamentali, sacri una volta in Contado di Molise, ma spesso dimenticati  dal clamore dei nostri giorni: la semplicità, la tenerezza, la dignità, le premure reciproche che perdurano anche in tarda età. E per farmi amare, col suo spirito di nobiluomo e di vero amico, l’appassimento cronologico che, però, dona la freschezza della palma e del cedro, cantati nei Salmi di Davide.

di Vincenzo Di Sabato (da ilbenecomune.it)

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