Quando a scuola c’erano le punizioni esagerate
I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre
di Vincenzo Colledanchise
15 ottobre 2018
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Il severissimo maestro Paoletti aveva già riempito la nostra stufa di legna, riservandosi un tronchetto per usarlo sulle nostre mani come strumento di tortura, da infliggere come pena per la nostra cattiva condotta.
Aveva uno specchietto che tirava periodicamente fuori dalla tasca in nostra presenza nel quale si specchiava rimirando quei suoi lunghi baffi umbertini, che pettinava con cura grazie ad un pettine apposito.
Fumava la sua prima sigaretta e poi ci esortava a stare buoni e zitti, perché doveva portarsi dal Fiduciario, diceva. Ma noi sapevamo che, invece, si recava nell’aula di fronte dove insegnava la maestra Antonietta.
A volte era costretto a precipitoso rientro in aula quando avvertiva le nostre grida, nonostante che durante la sua assenza il capoclasse scrivesse alla lavagna i nomi dei buoni e dei cattivi. Ma quella volta, irritato dal nostro schiamazzo, torno’ furente per essere stato contrariato da qualche parola dell’amata collega.
Alle ore undici, come puntualmente accadeva ogni giorno, minacciò di non darci il permesso di recarci al Grottone per dar sfogo alle nostre esigenze corporali.
Allora, non essendoci ancora i bagni a scuola, prima i maschietti e poi le femminucce, eravamo costretti a portarci in quel campo all’aperto per dar sfogo alle nostre esigenze fisiologiche.
Allora neanche le nostre case erano dotate di bagni e qualche volta capitava di ricevere in testa quel liquido tiepido lanciato dalle finestre col pitale.
Resistemmo alla meglio, ma quel povero Linuccio, complice la sua grossa stazza, non ce la fece più. Esasperato, aveva col laccio delle scarpe legato il suo membro che saturo di urina, si era enormemente gonfiato e ne temeva l’improvviso scoppio.
Avevamo dei rudi banchi di legno con un foro dove era alloggiato un calamaio per attingervi l’inchiostro. In quel tempo per scrivere si usavano le penne col pennino ad inchiostro di china.
Linuccio credette opportuno svuotare un po’ il suo calamaio, rovesciandone nascostamente dalla finestra l’inchiostro per riempirlo poi della sua urina, in modo che si alleviasse la pressione, ma non bastò.
Improvvisamente, non resistendo più, Linuccio fece scoppiare quel suo grosso arnese spruzzando urina addosso al suo compagno di banco.
Fu solo allora che il nostro rigido maestro, scosso dall’esagerata reazione di Linuccio, provocata dal suo esagerato divieto, ci consentì andare al Grottone che quel giorno rischiò l’inondazione.
(Foto: Anno scolastico 1959)
di Vincenzo Colledanchise