Recensione del libro: “Mechèle de Cole”
Recensione al libro di Michele Tanno: ‘ Michele de Cole’ , un Personaggio che intriga nel contesto paesano e fa pensare
di Enza Santoro Reale
15 giugno 2017
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Mechele de San Biase, Michele D’Andrea – Famiglia Massimille –
Nato, a San Biase, nel 1898, morto, nell’ospedale civile di Campobasso, nel 1977
Sepolto, senza nome, sottoterra, nel Cimitero di Campobasso.
Le ossa, dissepolte dopo 10 anni, furono collocate in un ossario comune.
Dopo alcuni anni, a cura di Michele Tanno e di Alfredo De Paola nipote di Mechele, emigrato in Inghilterra,
un epigrafe fu collocata sulla tomba della Famiglia De Paola a san Biase
L’immagine di copertina è un’eloquente rappresentazione del Personaggio raccontato da Michele Tanno nel Libro Mechèle de Cole
Un’immagine rappresentativa di un sistema di vita ai limiti della decenza: toppe su toppe in vestiti fuori misura avuti in carità, usati di giorno e di notte fino alla completa consunzione, lerci di terra e di bestie; un vestito sostituito solo se il senso di solidarietà o la Ricompensa per un lavoro eseguito ne fornisce uno nuovo – un vecchio vestito dismesso – accettato con un sorriso di compiacimento e di devozione.
Mechèle de Cole è Persona con una sua rispettabilità: Giacca, Camicia, Gilet, Cappello, Scarpe consunte, un Bastone che dà sicurezza e tiene erta la Persona.
Il volto effonde simpatia; occhi chiusi al sole, concentrati nel pensiero, sorriso di soddisfazione che comunica leggerezza e simpatia ed invita ad aprire il libro per capire l’assurdo:
‘Vivere come bruti ed effondere il sorriso del piacere per un raggio di sole, per un tozzo di pane,
per la musica e la festa, per un Amore sognato e mai realizzato’
L’Autore rappresenta con affetto il Povero Cristo, ricostruendone sette decadi di vita, caratterizzandolo attraverso i piccoli-grandi gesti, nello sfondo di paesi molisani vicini e pur lontani, raggiungibili attraverso sentieri impervi, guadi impraticabili, bufere travolgenti.
Interessante lo spaccato naturalistico e sociale delineato con amore ed oggettività .
L’Autore ripercorre i sentieri praticati da Michele e li descrive con la precisione dello studioso e l’emozione del Viandante.
Ricostruisce inoltre il contesto umano delle piccole Comunità che sopravvivono alla miseria di una terra avara, alle calamità naturali; Comunità chiuse in una difesa scontrosa, non avulse da intrighi, maldicenze e soprusi, che tuttavia l’euforia della festa paesana riesce a ricomporre nella sacralità della Devozione e nell’entusiasmo del divertimento.
Comunità selvagge, sfiorate gradualmente dal Progresso con la magia di Beni impensabili – quale l’acqua, la luce, il telefono – e disintegrate dalla speranza del Meglio – intere Famiglie scelgono lo strappo della Terra per proiettarsi verso un ignoto che promette benessere –
Il poveraccio di San Biase, Mechele de San Biase umile e servizievole, conosciuto nei paesi del circondario, è sempre in cammino con la bisaccia a tracolla ed un palo sulle spalle, cui tiene legato un involto e va di paese in paese retto e corretto per la sua strada anche se ha fame e sete; non chiede, non prende e si accontenta della ricompensa che ognuno sente di dare sia pur con parsimonia per prestazioni generosamente offerte.
Ha rispetto per gli altri ed esige rispetto “se qualcuno si prendeva la briga di difenderlo con parole e gesti o interferiva sulle decisioni prese secondo il suo decalogo diventava una bestia feroce e si scagliava con rabbia e si difendeva con le pietre”.
Michele è un esempio eloquente di quanto incidano l’Educazione e l’Esempio sulla formazione.
Orfano di padre, è allevato dalla Madre Vincenza de Paola ‘Cenza de Massimille’ che, chiusa nel dolore della solitudine, del sospetto e dell’orgoglio, rifiuta contatti umani ed aiuto; sopravvive, cibandosi di verdure campestri, grani ‘spigolati’ e del latte di una capra provvidenziale, in coabitazione con insetti e bestie che invadono il tugurio, lordandolo e assordandolo con un ronzio incessante, succhiano sangue, infettano il corpo di piaghe purulenti, inverminite, tollerate con stoico coraggio.
L’abitacolo maleodorante è sempre protetto dal bastone e da un cumulo di pietre, armi di difesa che la Mamma e Michele usano contro chi osa avvicinarsi o pronunciar parola.
Per fortuna Michele trova un secondo Maestro di Vita: lo Zio Antonio, Fratello della Madre, cui si accompagna per andare lontano a ‘pulir Camini’.
Michele impara il mestiere, impara a camminare, orientandosi in territori ampi e sconosciuti, tra sentieri impervi, con freddo, neve, pioggia o sole infuocato, impara a portare in spalla bisacce pesanti e soprattutto impara ad accettare, senza diffidenza, il cibo – pane duro e poco companatico e, talora, qualche prelibatezza, ad esempio i Fichi secchi che egli rosicchiava in disparte rapido e guardingo come un topolino; impara ad ingegnarsi da solo ed a convivere con il Mondo esterno, delimitando un suo territorio, attento a non superare i confini.
Nel sistema di lavoro, organizzato ‘a modo suo’ mostra resistenza fisica ed agilità di gambe, buon orientamento ed intelligenza nel fiutare e scansare pericoli.
Viandante servizievole ed operoso, diventa trasportatore di merce anche delicata e messaggero, infervorato quando reca ‘Biglietti’ che siglano l’inizio di un Amore, lo rafforzano e lo concludono con la festa nuziale, cui ama partecipare con affetto sincero e….talora ingombrante.
Sensibile alla Bellezza delle Fanciulle, ammiratore silenzioso, sognatore di un Amore lontano che vuol raggiungere andando a piedi alla volta di Roma per volare oltre oceano verso la sua Pasqualenissime.
Sorprendente il suo talento musicale: dava spettacolo riproducendo i suoni e mimando con il corpo gli strumenti musicali, dopo aver osservato quelli della Banda, e dopo aver memorizzato i motivi delle Opere liriche ascoltate in Piazza durante le feste paesane.
All’Autore Michele Tanno il merito di aver sottratto all’oblio una Figura emblematica che ravviva il ricordo di quanti l’hanno conosciuto e si propone ai più giovani come Personaggio assimilabile ai tanti Emarginati che, per libera scelta o per necessità, ancora oggi affollano gli anditi abbandonati delle città.
di Enza Santoro Reale