• 10/24/2016

Referendum, Barca: Perché alla fine voterò Sì

Respingere provocazioni, abbassare i toni ed evitare esacerbazioni verbali, rissosita’ e veleni. La Costituzione merita rispetto!

di  Fabrizio Barca (da huffingtonpost.it)

25 novembre 2016

Back

Per chi non ne può più del Referendum e di chi ne scrive. Per chi regge solo 140 caratteri o giù di lì. Per chi poi mi dice “non si capisce”. Per chi vuole sapere subito come va a finire. Saltare direttamente al corsivo in fondo al testo.

La difficile decisione sul referendum costituzionale è alle porte. Prima viene il giudizio in merito agli effetti di lungo termine della riforma sulla capacità di ben governare il paese. E’ la “razionalità del Cavaliere”. Poi arriva, irruento, il “sentimento dell’Elefante”, che annusa gli effetti di breve termine dell’esito referendario. Ora i due punti di vista devono incrociarsi. 

Del metodo per valutare la riforma ho scritto. Qui descriverò soprattutto il travaglio dell’Elefante. Ma è pur sempre dal giudizio del Cavaliere sulle cinque dimensioni del “buon governo” che devo partire: regge alle osservazioni ricevute? Vediamo.

L’efficienza, intesa come tempestività dell’azione legislativa parlamentare, appare accresciuta dalla riforma, per via del passaggio di molte norme da una sola Camera. O comunque tale tempestività dovrebbe dipendere meno di oggi dalla volontà dell’esecutivo. L’importanza di questo miglioramento non va sovrastimata. Infatti, di leggi ne approviamo già troppe e le cambiamo di continuo: la tempestività che ci manca è amministrativa. 

L’efficacia tende invece a essere ridotta. Il nuovo riparto di competenze fra Regioni e Stato dovrebbe complessivamente avere un effetto positivo: è così per alcuni settori, quali infrastrutture strategiche e politiche sociali (importante novità); mentre in altri, quali istruzione, salute e governo del territorio, di fatto poco o nulla cambia, visto che la “concorrenza” di competenze dell’attuale Costituzione viene sostituita da una “doppia esclusività”, per cui allo Stato vanno “disposizioni generali e comuni” e alle Regioni “programmazione e organizzazione”. 

Ma la prevedibile perdita di qualità dei Senatori fa pendere la bilancia dell’efficacia in senso negativo. Infatti, il Senato non rappresenterà le Regioni, ma soprattutto non attrarrà i rappresentanti migliori dei livelli decentrati di governo, a causa dei due incentivi perversi che minano la loro selezione: forte impegno di tempo aggiuntivo e immunità parlamentare. Tale effetto negativo potrà essere contenuto solo se la legge che dovrà regolare “le modalità di … elezione” dei senatori da parte dei Consigli regionali vincolerà tale selezione alla scelta degli elettori – come nel disegno di legge Fornaro-Chiti. E’ l’ipotesi contenuta nel Documento Guerini-Orfini-Zanda-Rosato-Cuperlo sottoposto all’Assemblea nazionale del PD.

La certezza del quadro normativo e di governo è modificata in opposte direzioni, tanto che è ragionevole ipotizzare che complessivamente non cambi. Poiché la “fiducia” è affidata a una sola Camera, sale la probabilità di avere un governo stabile dopo ogni elezione – pur restando l’incertezza interna a partiti e coalizioni (la politica!). Ma si conferma l’incertezza dello stesso Ordinamento costituzionale, ancora una volta modificato a colpi di maggioranza. E nasce una nuova incertezza: quella in merito al percorso parlamentare delle norme, per la difficoltà di interpretare cosa debba essere mono- ovvero bi-camerale. 

Per la partecipazione ho modificato il mio giudizio complessivo in invarianza. E’ positivo e importante il rilancio del referendum abrogativo, il cui quorum (del 50%+1) verrebbe calcolato sui votanti delle ultime politiche (anziché sugli elettori) qualora le firme arrivino a 800mila. Ma non ci sono aperture a forme moderne di democrazia deliberativa, la vera novità di questa stagione della democrazia. E soprattutto non posso sottovalutare l’affievolirsi dell’espressione diretta di volontà popolare nella scelta dei senatori, sempreché, di nuovo, non sia approvata la legge Fornaro-Chiti. 

Quanto alle garanzie (soprattutto, Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale), stante anche la possibilità del Senato, su richiesta di un terzo dei senatori, di proporre modifiche su ogni legge, confermo il giudizio di sostanziale invarianza. 

Insomma, il confronto fra una Costituzione e l’altra continua a suggerire indifferenza quanto ai presumibili effetti di lungo periodo. Mi è stato contestato che così trascuro il fatto che una Costituzione già esiste: con il NO non si cambia nulla, mentre con il SI si cambia e molto. Eppure questa considerazione non modifica il giudizio di indifferenza. Ecco perché. 

Per alcuni, a parità di giudizio sui due testi, i costi del cambiamento (in sé) dovrebbero indurci al NO: se un testo vale l’altro, perché sostenere le incertezze e gli oneri di cambiare? La conclusione non convince. L’intero fronte del NO è compatto solo nel perseverare nell’idea fissa che riformare La Costituzione sia prioritario: in caso di rigetto della riforma riprenderebbe – è già ripreso con vigore nei Comitati del NO – il confronto politico su quale riforma realizzare. Il paese perderebbe ancora tempo a occuparsi di Ordinamento anziché di attuazione e amministrazione. Male. Altri, al contrario, enfatizzano i benefici del cambiamento (in sé), legati alla destabilizzazione che la riforma produce, che a sua volta costringe a occuparsi di “attuazione” (delle nuove norme costituzionali), e ne ricavano una ragione per il SI. E’ una tesi più sofisticata, ma neppure questa convince. Infatti, la riforma ci viene proposta dai più come “salvifica” – il famoso “segnale” – , facendoci intravedere un’assoluta sottovalutazione della sua difficile attuazione. Male

Insomma, non c’è niente da fare. Il Cavaliere, comunque la si giri, è indifferente fra Si e NO e suggerisce di astenersi. E’ convinto che il paese potrà avere un governo più giusto (efficiente, efficace, certo, partecipato e garantito) non a seguito della scelta referendaria, ma di come essa, qualunque sia, verrà politicamente attuata e soprattutto della celerità con cui ci si tornerà ad occupare delle questioni decisive per l’innovazione produttiva e sociale del paese. 

Ma ecco che, improvvisamente, entra in campo l’Elefante. Il Cavaliere, suggerendo che dal suo punto di vista ci si dovrebbe astenere, ha lasciato spazio all’istinto dell’Elefante, che annusa gli effetti politici immediati del risultato referendario. E qui domina il rischio.

Nella vittoria del SI, l’Elefante vede il rischio di un Presidente del Consiglio auto-referenziale nello stile di comando, ben poco intenzionato ad affrontare i punti deboli della stessa riforma, e convinto ad andare avanti con provvedimenti socialmente sensibili, ma privi di respiro; e vede il rischio di un Segretario del PD ancor più disinteressato al rilancio di un partito, devastato nella sua organizzazione e avviato a divenire arcipelago di feudi. Nella vittoria del NO, l’Elefante vede il rischio di un governo della Repubblica indebolito e delegittimato, qualunque decisioni seguano alla salita al Quirinale del Presidente del Consiglio; vede emergere dal fronte del NO un solo vincitore, parolaio, sfascista e a-democratico, altro che pretesi nuovi spazi a sinistra; e vede nel PD un redde rationem senza fine, altro che l’avvio di un confronto di idee. “Dannazione” – rimugina l’Elefante, il cui istinto è maturato attraverso la storia travagliata del paese – “in che razza di trappola ci ha messo la scelta di continuare a correre dietro alla lepre della riforma costituzionale.”

“Ma ora – pensa – non è il tempo delle recriminazioni. Bisogna agire. Visto che il Cavaliere ha mollato il frustino, posso farmi guidare dalla mia percezione dei rischi. E il rischio più grande viene dal NO, non ci sono dubbi.” “Nel vuoto che si aprirebbe – è il suo pensiero – non sarebbero certo le idee complesse di sinistra a farsi largo, il lavorio lungo della democrazia partecipata, in cui pure il mio Cavaliere dannatamente crede come unica soluzione nel lungo periodo. Macché. Quel vuoto spaventa i cittadini e chiama decisioni semplici, in cui ognuno veda la tutela dei ‘modesti privilegi’ che teme di perdere. Chiama barriere, muri, difesa, protezione, sicurezza, identità. Chiama autoritarismo, come sta avvenendo ovunque. Su questo non ci sono dubbi. I rischi del SI sono seri, ma sapremo e dovremo affrontarli. Di fronte a quelli del NO siamo indifesi, perché la cultura di sinistra arriva alla scadenza fiaccata, disabituata al confronto. Chi dice il contrario, chi vuole ‘abbattere’ il leader Renzi senza un piano e senza capire il ruolo di argine che egli gioca contro il dilagare della sfiducia nelle pubbliche istituzioni, è un avventurista.” E così l’Elefante inizia a correre verso il SI …

… Ma lo fa con furia. E allora si ferma, e riprende il filo dei pensieri: “Non è giusto ciò che sto facendo. Tutto vero quello che ho pensato. Ma è pure vero che dopo il 5 dicembre non si può andare avanti come prima: trasferimenti a fasce sociali deboli e accoglienza verso gli immigrati, certo, ma senza una strategia di inclusione sociale o di rigenerazione culturale; sacrosanta durezza con Bruxelles, evviva, ma senza un disegno politico per l’Unione né un’alleanza con gli altri partiti socialisti; e poi, una completa disattenzione per il lavoro subordinato e per il suo ruolo nel rilancio della produttività, e quel residuo neo-liberista del Jobs Act, o come diavolo lo chiamano … Questo impianto mostra la corda e le piccole dosi di autoritarismo, di demagogia e di anti-politica che lo accompagnano presto non basteranno più a convincere il “popolo”. La sfiducia e la paura per il domani sono tali che, avvertendo il respiro corto e la frammentarietà delle azioni intraprese, i cittadini finiranno presto per cercare un autoritarismo, una demagogia, un’anti-politica “duri e puri”. E allora lo scenario che il SI può scongiurare per il 5 dicembre alla fine arriverà lo stesso.”

“E allora?” “Ecco – si immagina l’Elefante – ci vorrebbe una mossa. Anzi, ‘a mossa di Renzi. Per uscire dall’angolo. Noi e lui. Prima di tutto, l’impegno in prima persona a ridare a noi cittadini il potere di scegliere i Senatori, e magari anche i Deputati, uno per uno. E poi l’annuncio che il terreno di prova della nuova Costituzione sarà l’attuazione del principio più alto e più urgente della stessa Costituzione: quell’articolo 3 che impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Gli pare di sentire Renzi che annuncia, con lo spirito delle sue grandi occasioni: “… un radicale intervento di politica sociale … una misura secca che favorisca la riduzione dell’orario di lavoro … azioni che rimuovano gli ostacoli al decollo dimensionale delle piccole imprese e promuovano il trasferimento proprietario … una drastica staffetta generazionale nella PA statale e l’autonomia finanziaria per i pubblici dirigenti … un investimento straordinario su scuola e salute che favorisca il loro adattamento alle specifiche esigenze dei territori …” E si immagina il gran finale di questa mossa: “… una battaglia senza tregua in Europa per introdurre, con chi ci sta, un Fondo europeo per la disoccupazione – si, quello proposto già con Padoan – uno per il governo dei flussi migratori e uno per l’istruzione: li finanzieranno i cittadini trasformando un x% di imposte nazionali in un imposta europea (a parità di pressione fiscale complessiva), li gestirà un Ministro dell’Economia e dello Sviluppo europeo, li controllerà un piccolo ma forte Parlamento estratto dall’attuale Parlamento Europeo … “.

‘A mossa di Renzi. “Se arrivasse qualcosa del genere in questi giorni finali – pensa l’Elefante – molti troverebbero la voglia di votare per il SI. E soprattutto il mattino del 5 dicembre il paese avrebbe un’agenda.” Ma l’Elefante sa che deve decidere ora. In questo preciso istante. Comunque. E la decisione l’ha presa. Riprende così a galoppare verso il SI. Senza più fermarsi. Inarrestabile. Augurandosi che la propria rabbia possa trasformarsi in forza grazie solo a … una mossa. 

Un testo costituzionale vale l’altro: sono indifferente. Questo è l’esito della valutazione che ho fatto e rifatto degli effetti di lungo periodo della riforma. E dunque dovrei astenermi. Ma l’esito del voto è carico di conseguenze politiche immediate. Negative, in entrambe i casi. Particolarmente negative nel caso di vittoria del NO. “Abbattere” o indebolire Renzi vuol dire minare l’argine contro la sfiducia nelle pubbliche istituzioni, creare un vuoto che non sarà certo la “sinistra” a colmare, bensì l’autoritarismo che promette barriere, protezione, sicurezza, identità. E dunque, visto che alla riforma sono indifferente, voterò SI, per sostenere quell’argine. Se poi Renzi, in queste ultime ore, si impegnasse in prima persona a correggere il limite più serio della riforma (discutere e approvare il disegno di legge Fornaro-Chiti) e ad usarla per uno scatto strategico, in Italia e in Europa, nella sua azione di governo, uno scatto ispirato all’attuazione della prima parte della stessa Costituzione … se Renzi, insomma, facesse ‘a mossa, allora il mio SI non sarebbe pieno di rabbia, come è ora. Molti altri SI potrebbero arrivare. E soprattutto il paese avrebbe un’agenda per la mattina del 5 dicembre.

di  Fabrizio Barca (da huffingtonpost.it)