• 10/04/2019

Restare/tornare

L’obiettivo è contrastare l’abbandono e lo spopolamento e stimolare nuove, creative attività produttive, artigianali al servizio della cittadinanza

di Letizia Bindi (da lafonte.tv)

21 ottobre 2019

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Da tempo il tema è in testa all’agenda di coloro che hanno a cuore le aree interne, fragili e spopolate del nostro Paese e di questa piccola, specialissima regione caratterizzata da un territorio a tratti impervio, seppur bellissimo, che rende i suoi molti, piccoli e sparpagliati comuni difficili da raggiungere. Questi stessi Comuni spesso sono, tra l’altro, restii a lavorare congiuntamente per la risoluzione delle criticità demografiche e delle crisi economiche che in queste aree fragili hanno finito per colpire ancor più duramente che altrove.

È di questi giorni la notizia dell’ incentivo di 700 Euro mensili, per un complesso di 25.000 Euro in tre anni per chi vorrà rientrare o venire per la prima volta a vivere e lavorare, fare impresa in uno dei molteplici Comuni con meno di 2.000 abitanti come forma proposta dalla Regione per ripopolare le case vuote, le scuole deserte, gli uffici postali ormai quasi inattivi, le poche botteghe private di sostentamento. L’incentivo, definito nella proposta di legge regionale “Reddito di cittadinanza attiva” è stato proposto dal consigliere regionale Antonio Tedeschi ed è stato approvato dal Consiglio Regionale il 9 Settembre scorso.

L’obiettivo è contrastare l’abbandono e lo spopolamento e stimolare nuove, creative attività produttive, artigianali al servizio della cittadinanza. In molti hanno plaudito a questa iniziativa. Altri l’hanno criticata come asservita a logiche produttivistiche e semplicisticamente ‘sviluppiste’. Non intendo dirimere qui la questione delicata, complessa del ripopolamento, del bilancio demografico e della efficacia maggiore o minore di certe politiche del territorio. Sembra che dell’incentivo previsto facciano parte anche gli sgravi fiscali per le aziende di nuovo impianto. L’intervento appare abbastanza sbilanciato sul fronte di un approccio economicista, laddove, in realtà la questione del restare e del tornare o ancora del venire una prima volta per rimanere si collega alla capacità o meno di costruire capitale sociale, rinnovato senso di appartenenza, amore e rispetto per i luoghi e per il resto delle comunità.

Per restare o tornare ci vuole un paese e un’idea di convivenza possibile, sia che a fare ingresso nelle comunità siano cittadini italiani sfavoriti in cerca di situazioni per loro sostenibili, che oriundi di ritorno nelle terre da cui un tempo partirono i loro padri e nonni, che ancora cittadini migranti che nei piccoli comuni decentrati e periferici provano a trovare condizioni e requisiti economici e burocratici affrontabili. Serve un’idea di imprenditoria all’occorrenza, un sapere agro-pastorale o artigianale da mettere in campo, un piccolo capitale reale e simbolico da far valere nell’avvio delle attività. Questo non solo per evitare il facile marchio di bieco assistenzialismo, ma anche per poter sperare di dare continuità e durevolezza a queste esperienze imprenditoriali, pur minime, ma ugualmente cruciali per il mantenimento in vita di questi piccoli poli vitali, i fuochi in un territorio sempre più vuoto.

Le idee, le storie di chi arriva e di chi accoglie rappresentano e possono rappresentare una grande opportunità di scambio, rilancio, elaborazione creativa. Partire dai saperi e dalle pratiche condivise, dalla convinta adesione a un progetto di “restanza” – come l’ha chiamata il collega Vito Teti scrivendo diversi volumi negli ultimi anni sul senso dei luoghi e del rimanere partendo dalle sue ricerche sui paesi della Calabria spopolata da una delle migrazioni più dure del nostro Paese. Allora si comprende meglio cosa debba intendersi con quella sua idea secondo cui “restare/tornare è la forma estrema del viaggiare”, perché ci misura al senso di spaesamento e di perdita tipico del viaggiatore e con l’idea che restare sia una scelta tutt’altro che conservativa, codarda, al ribasso, ma al contrario innovativa, avanzata, persino sfrontata a tratti.

Per restare o tornare e ripopolare/rigenerare i borghi bisogna, infatti, mettere in campo risorse e competenze. Serve farsi venire un’idea e poi perseguirla: l’agricoltura smart e digitalizzata, l’allevamento e la turnazione razionalizzata dei pascoli, un’idea partecipativa dei processi decisionali e di condivisione dal basso della governance, il recupero di antichi cùltivar e di razze autoctone che diano carattere alle produzioni aiutandole a piazzarsi in modo auspicabilmente competitivo in un mercato agroalimentare sempre più complesso e aggressivo, dominato da grandi attori multinazionali disposti a tutto pur di mantenere la leadership dei mercati globali.

Per restare e tornare non bastano i soldi. Servono idee, valori e impegno. Servono persino le delusioni, i fallimenti passati, le criticità e gli spigoli dell’incontro interculturale come bene ha mostrato un film delicato e bellissimo di alcuni anni fa, Il vento fa il suo giro (2005) di Giorgio Diritti, che non a caso narra a tratti con pacata sofferenza, da una riposta e spopolata valle del cuneese, il difficile cammino di accoglienza, integrazione, reale costruzione di un senso di comunità nelle fragili condizioni ambientali e nelle delicate criticità del convivere tra vite e profili professionali, di scolarizzazione e di accesso alla cultura diversi tra vecchi e nuovi abitanti.

Questa proposta, a suo modo provocatoria, è stata notata anche dall’estero. Un collega argentino, con cui mi trovo a collaborare nel quadro di un progetto di cooperazione inter-universitaria, mi ha proprio in questi giorni segnalato e inviato un articolo apparso su La Naciòn del 12 Settembre in cui veniva riportata la notizia relativa a questo provvedimento regionale.

Ciò che mi auguro è che questa attenzione e visibilità sia solo l’occasione per tornare a riflettere su un piano di intervento strutturato e non episodico di contrasto allo spopolamento e al progressivo impoverimento e perdita di lavoro, capitale sociale e cultura cooperativa di questa comunità regionale frastagliata nei suoi 136 Comuni.

Per utilizzare bene le risorse messe a disposizione dalla Regione non è solo necessaria creatività individuale, ma una sinergia e armonizzazione tra le proposte, un’idea di cambiamento, un quadro di sviluppo durevole e sostenibile. Cominciamo da questo: riflettiamo, confrontiamoci, mettiamo a frutto il lavoro già svolto e le proposte in avanti che provengono dalle competenze disciplinari specifiche. Non si fa buon sviluppo senza idee, non si va avanti se non sappiamo cosa abbiamo dietro le spalle e di quali strumenti e risorse si dispone per costruire.

Un’idea, “un paese ci vuole – ce lo ricordava intensamente Pavese ne La luna e i falò – per non essere soli” 

di Letizia Bindi (da lafonte.tv)

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