• 11/08/2018

Riflessioni sul quadro politico

Don Luigi Ciotti, siamo di fronte ad “una deriva xenofoba e razzista che viene politicamente legittimata e culturalmente riconosciuta” 

di Umberto Berardo

8 novembre 2018

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Che nell’orizzonte politico possa continuare una chiara svolta a destra è inequivocabile se pensiamo, solo per fare qualche esempio, alle vittorie elettorali di Donald Trump negli Stati Uniti, di Viktor Orban in Ungheria o a quella recente di Jair Bolsonaro in Brasile.

Le stesse Midterm elections 2018 negli USA, pur esprimendo la riconquista della Camera da parte dei Democratici, vedono una sostanziale tenuta al senato e nei governatorati dei Repubblicani appiattiti sulle posizioni di Trump.

Per una visione più ampia del fenomeno occorre guardare con molta attenzione ai movimenti nazional-sovranisti come quelli di Pim Fortuyn e Geert Wilders in Olanda, di Marine Le Pen in Francia, di Heinz-Christian Strache in Austria e, appunto, di Viktor Orban in Ungheria e non ultimo di Matteo Salvini in Italia.

La Lega da noi, secondo i sondaggi, oggi vedrebbe raddoppiare i consensi da parte non solo dell’elettorato tradizionale ma perfino ad opera di lavoratori e disoccupati.

Qualche analista sostiene che si tratterebbe di forze populiste e nazionaliste, ma è indubbio che nelle idee più volte affermate dai suddetti leaders emergono chiaramente principi di natura autoritaria, di protezionismo, di xenofobia e perfino di razzismo che a noi fanno pensare senza mezzi termini a forme di parafascismo difficilmente occultabili da parte di chi teorizza forme illiberali di organizzazione della società, prevalenza dei diritti degli autoctoni sugli immigrati, forme di chiusura disumana all’accoglienza e strutture economiche lontane dalla garanzia di diritti fondamentali con una vita dignitosa per tutti.

Siamo alle norme di vita di quanti ritengono i primi occupanti legittimi possessori di un territorio rispetto a popoli sentiti come invasori e che vorrebbero costruire anche a livello sociale delle gated community come nuove forme di apartheid fondate su individualismi di natura personale, familiare o di gruppo per proteggere i benestanti dai poveri, gli iperdotati dagli ipodotati ed i cittadini dagli alieni.

Come ha sostenuto lunedì  5 novembre a Campobasso don Luigi Ciotti nella sua relazione al Liceo Classico “Mario Pagano” in difesa della Costituzione, davvero siamo di fronte ad “una deriva xenofoba e razzista che viene politicamente legittimata e culturalmente riconosciuta”.  

La mobilità elettorale crescente non è facilmente spiegabile, ma va analizzata a fondo per coglierne le ragioni e tentare di capire il fenomeno.

Sotto la spinta del movimento operaio e di quello studentesco le forze politiche di sinistra, quelle cattoliche e socialdemocratiche nella seconda metà del secolo scorso hanno costruito un’economia sociale che attraverso forme di prelievo fiscale, di controllo del mercato e di redistribuzione della ricchezza ha garantito in genere alla popolazione taluni diritti fondamentali come quello ad un lavoro sicuro con lo Statuto dei lavoratori nel 1972, ad un’istruzione sempre più allargata per tutti a partire soprattutto dal 1963, ad un’assistenza sanitaria avanzata e ad un’accettabile informazione.

Tale modello economico si è rotto negli anni settanta per dare spazio ad un neoliberismo centrato non più su un’economia produttiva reale, ma sulla finanziarizzazione della stessa e su un sistema di globalizzazione in cui il capitalismo ha finito per diventare a tal punto selvaggio da mettere fuori mercato i lavoratori tutelati e cercare manodopera in Paesi senza controlli sindacali unicamente per raggiungere profitti sempre più elevati.

Il sistema è stato completato dalle politiche di privatizzazione e di polarizzazione in tutti i settori che hanno concentrato la ricchezza sempre più in poche mani aumentando a dismisura la disoccupazione, l’inoccupazione e di conseguenza la povertà in tutto il mondo.

A tale architettura socio-economica hanno prestato il campo il Fondo Monetario Internazionale, le Banche Centrali e perfino l’Unione Europea che ha cercato un’espansione ad est con delocalizzazioni di aziende alla ricerca di un mercato del lavoro a basso costo.

In tal modo la stessa Unione Europea, cui gli Stati nazionali avevano delegato molti poteri, ha svuotato sempre più di democrazia le sue strutture istituzionali e, invece di essere una comunità politica di popoli per garantirne i diritti, si è trasformata in una costruzione di tipo finanziario la quale, pur avendo assicurato nel continente anni di pace, si è posta al servizio di un neoliberismo globalizzato che ha finito per impoverire sempre più i ceti medi e quelli popolari come è avvenuto soprattutto nei Paesi di quello che potremmo definire il nuovo Mezzogiorno d’Europa.

Le politiche monetarie e commerciali hanno favorito le multinazionali di Stati con una solida economia ed hanno spinto quelli in difficoltà verso politiche economiche di austerità abbassando i salari, rendendo sempre più flessibile e precario il lavoro, aumentando il debito pubblico ed allargando in maniera paradossale la povertà.

Nello schema economico neoliberale si continua a sostenere che la precarietà e le diseguaglianze sono strutturali e che vanno arginate unicamente con il ridimensionamento delle tutele, del welfare, ma anche con l’uso del debito pubblico. 

Di fronte a carenza di investimenti nelle infrastrutture e nella ricerca è chiaro che la crescita si blocca e si vive una forte stagnazione dell’economia dopo la crisi economica iniziata nel primo decennio del nuovo secolo.

Molti partiti, anche della cosiddetta sinistra, hanno accettato un tale modo di concepire la globalizzazione e le interrelazioni abbandonando la rappresentatività delle classi popolari per cercare consensi elettorali verso il ceto più benestante diventando di fatto cinghie di trasmissione della macchina di un neoliberismo tra l’altro sempre più corrotto ed incapace di guardare al bene comune.

Con la forte crisi economica le classi medie e popolari hanno cominciato a disertare le urne o a  votare per forze politiche schierate contro la globalizzazione e la finanziarizzazione del sistema.

L’esperienza di Syriza in Grecia è stata allo stesso tempo una meteora ed un’anomalia che il potere ha riportato presto all’assetto costituito con sistemi che hanno umiliato l’autonomia, la libertà e la sovranità di quel popolo.

Oggi un elettorato sempre più mobile segue le sirene di chi sfugge ad una precisa definizione di organizzazione della società, proponendo risposte aleatorie su precise richieste della popolazione, o rincorre forze politiche di destra che replicano con soluzioni illusorie a paure reali o costruite.

Prima partiti di sinistra come Syriza, poi forze politiche anomale come il Movimento Cinque Stelle ed oggi soprattutto quelle di destra hanno spostato il consenso elettorale verso posizioni davvero avventate per l’indeterminatezza, l’improvvisazione e le contraddizioni che rischiano di portare non solo l’Europa, ma l’intero Pianeta verso un baratro.

Si ha la sensazione di vivere in un’infinita campagna elettorale dove la propaganda pare abbia sostituito ogni capacità di riflessione, di confronto e di programmazione razionale nella soluzione dei problemi che pure esistono e sono sempre più complessi.

A chi come noi è stato sempre fuori dai salotti elitari fa paura l’idea di chi vorrebbe idealizzare il web a tal punto da farne non solo lo strumento privilegiato di comunicazione, di ricerca e di acculturazione, ma perfino una piattaforma di partecipazione decisionale che dovrebbe oggi affiancare e domani sostituire la democrazia partecipata e reale nell’agorà e nelle strutture istituzionali.

In un Paese come l’Italia in cui la maggioranza di governo è anche opposizione, perché questa appare assente e perfino disimpegnata, si capisce bene che qualcosa scricchiola nella gestione razionale e democratica della res pubblica. 

La cosa certa è che,  se l’elettorato di sinistra sceglie tali visioni del mondo, appare chiaro che i partiti cui era stata affidata la rappresentanza non l’hanno saputa gestire, ma probabilmente le stesse classi popolari aspiravano ad entrare in qualche modo nella cerchia dei benestanti piuttosto che desiderare il superamento di questo sistema socio-economico con una vera rivoluzione in grado di affermare la giustizia sociale ed una vera democrazia con la realizzazione dei principi di libertà, di uguaglianza e di fraternità.

Una popolazione che insegue con il voto quanti si oppongono ai diritti altrui per affermare solo quelli propri lascia davvero pensare e ci interroga sull’impegno di ciascuno di noi nel cercare le strade per uscire dal pantano in cui stiamo camminando a livello locale, nazionale e mondiale.

Qualche tentativo di ricostruire una politica dalla base per il bene della collettività si sta facendo, ma naufraga tra gli scogli dell’individualismo esasperato di chi cerca ancora gli idoli stupidi del prestigio, dell’apparenza e della visibilità personale o di gruppo.

In ogni caso uscire dal grigiore pericoloso che ci circonda è un dovere impellente.

di Umberto Berardo

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