• 05/13/2020

Ripartire dalla sostenibilità, con obiettivi e tempi chiari

Il “Corona virus” ha accelerato la necessità di mettere meglio a fuoco obbiettivi e scelte immediate e di medio periodo per conseguire concreti risultati sul piano della lotta al riscaldamento globale e alla riduzione delle emissioni climalteranti

di Roberto Morassut

13 maggio 2020

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Prima ancora che si manifestasse l’emergenza da “Corona virus” i temi della sostenibilità e della lotta ai mutamenti climatici aveva conquistato una grande centralità nel dibattito pubblico.

L’annuncio della nuova Commissione Europea, guidata da Ursula von der Leyen, di un grande programma per 1000 miliardi di euro in 15 anni per un Green New Deal aveva suscitato molte attese e molte speranze ed anche mobilitato l’azione dei singoli Stati nazionali. Nella Legge di Bilancio, approvata dal Parlamento italiano nel dicembre del 2019, erano già presenti scelte importanti nella direzione indicata da Bruxelles, scelte che sono state confermate e ulteriormente rafforzate in chiave di indirizzo generale nel DEF di aprile 2020.

Tuttavia, nonostante gli annunci e le speranze e anche l’indubbio fermento presente nel dibattito pubblico e tra le cancellerie europee ed i parlamenti nazionali, si faticava e si fatica ancora a riconoscere le priorità di questa prospettiva, la selezione temporale degli obbiettivi, la reale credibilità delle risorse disponibili (a partire da quelle pubbliche e da quelle proprie dell’Unione Europea)

L’esplosione della crisi pandemica ha accelerato la necessità di mettere meglio a fuoco obbiettivi e scelte immediate e di medio periodo per conseguire concreti risultati sul piano della lotta al riscaldamento globale, alla riduzione delle emissioni climalteranti e in generale di un nuovo modello di crescita basato sull’economia circolare e la sostenibilità.

Tale urgenza appare motivata in modo ancor più stringente dall’ esigenza di rimettere in moto l’economia dopo quasi due mesi di lockdown totale al quale seguirà una ripresa progressiva e parziale delle attività mentre il fenomeno pandemico non appare completamente debellato e mentre restano diffusi interrogativi sulla possibilità di una sua nuova riproposizione nei mesi a venire. Importanti studi scientifici, cui stanno seguendo indagini e ricerche affidate ai principali istituti di ricerca pubblica specializzata come Ispra, Enea e ISS, sembrano mettere in luce la relazione tra l’inquinamento atmosferico (in particolare quello derivante dalla diffusione e dalla dispersione di particolato e di biossido di azoto) e la veicolazione del Covid 19.

Come ricordiamo l’Italia detiene, insieme alla Germania, il triste primato europeo di morti per particolato e biossido di azoto ed è, per questo, sottoposta anche ad una procedura di infrazione europea.

La diffusione di questi composti nocivi è particolarmente elevata nelle zone con maggiore concentrazione di attività industriale e agricola e a più alta densità abitativa come le grandi pianure (in primo luogo la Pianura Padana) e le città compatte e prive di elevati livelli di capitale naturale tale da favorire un adeguato equilibrio tra emissioni nocive e capacità di assorbimento e cattura di Co2 da parte degli ecosistemi. Ecco perché appare tanto più urgente e necessaria una seria strategia di politiche economiche, fiscali, industriali ed energetiche in grado da subito di far ripartire il Paese (ma anche il resto dell’Europa e del Mondo) in una direzione diversa.

Non si tratta di “tornare alla normalità” che ci ha condotto in questa condizione ma di fondare le basi di una nuova economia e conseguentemente di una nuova società che possa crescere e produrre occupazione e ricchezza abbattendo il consumo distorto e lo spreco delle risorse naturali e delle matrici ambientali come l’aria, l’acqua e la terra. Un tema già sollevato, in modo quasi profetico, dal famoso “discorso agli intellettuali sull’austerità” di Enrico Berlinguer nel 1977 al Teatro Eliseo di Roma.

Negli ultimi anni (e questo dimostra ancor meglio la credibilità di una prospettiva di sostenibilità non basata sulle rinunce ma su nuove opportunità di crescita) i numeri dell’economia e le tendenze del mercato finanziario stanno dimostrando l’esaurimento di un modello di sviluppo “lineare” sempre più in recessione ed incapace di generare posti di lavoro e reddito per tutti e la crescita dei settori più innovativi ed eco-sostenibili capaci creare occupazione e svilupparsi con indici molto elevati anche se ancora non in grado di influire sui grandi numeri in modo decisivo.

Il governo italiano, come ricordato in precedenza, ha iniziato a compiere le prime scelte con la Legge di Bilancio del 2019 e con il DEF del 2020 e nei prossimi mesi il Parlamento sarà impegnato nella discussione e approvazione di diversi importanti provvedimenti che accentuano la direzione di marcia di un Green New Deal.

Tra questi provvedimenti ricordo, nell’immediato:

il recepimento delle quattro direttive europee per l’economia circolare-pacchetto rifiuti che introdurranno scelte importanti nel settore del riciclo dei materiali dei veicoli fuori uso, degli apparati elettronici, delle pile e degli accumulatori, degli imballaggi e nel campo generale della pianificazione del ciclo dei rifiuti, degli impianti e delle discariche;

Il decreto “Semplificazioni” che interverrà su vari settori dell’ordinamento per alleggerire le procedure, semplificare passaggi burocratici, accorciare i tempi per la realizzazione di opere e progetti e nel quale la materia ambientale sarà trattata con un occhio particolare rivolto alla semplificazione delle procedure per la difesa del suolo, per le bonifiche del siti inquinati, per la velocizzazione delle autorizzazione per gli impianti di produzione delle energie rinnovabili, per la valorizzazione delle aree protette, per la realizzazione di una rete più diffusa di centraline per il trasporto elettrico nelle città e lungo le grandi infrastrutture.

Il Collegato Ambientale, disegno di legge di iniziativa del Governo, che rappresenta la sintesi di medio periodo delle scelte principali del paese in materia ambientale e di politiche economiche nella chiave della sostenibilità.

Ma, aldilà dei provvedimenti più immediati è giunto il momento di compiere alcune scelte di fondo su nodi cruciali, scelte che informino più complessivamente l’azione del Governo e delle amministrazioni pubbliche nei prossimi ed introducano radicali trasformazioni in relazione ad obbiettivi non più rinviabili.

L’obiettivo principale è senza dubbio quello dell’abbattimento delle emissioni climalteranti ed in particolare della Co2 per contrastare l’innalzamento della temperatura che produce effetti devastanti e potenzialmente catastrofici sul clima alterando il ciclo dell’acqua, aumentando la desertificazione di ampie zone del pianeta, innalzando il livello dei mari e la violenza delle precipitazioni atmosferiche.

L’Europa si è posta l’obbiettivo della neutralità climatica entro il 2050 (perfetto equilibrio tra emissioni e capacità di compensazione di anidride carbonica) e di una riduzione al 2030 del 55% (ma già si parla del 65%). Per ottenere questo obbiettivo occorre agire con scelte nette nella direzione della decarbonizzazione e dell’abbattimento delle emissioni a partire dalle fonti maggiormente impattanti che sono le grandi città ed i grandi agglomerati di attività e di presenza umana.

Ecco perché ritengo che il tema delle città e di nuove politiche urbane in direzione della sostenibilità sia il cuore di una efficace politica di Green New Deal e che in questo contesto assuma particolare rilievo la trasformazione del processo industriale dell’edilizia in termini di approvvigionamento delle materie prime, uso dei suoli, produzione di materiali, modalità  costruttive e tipologie edilizie, efficientamento energetico, disegno urbano, progettazione degli edifici dal punto di vista funzionale e tecnologico.

L’edilizia è sempre stato e resta un settore trainante per l’economia ed oggi, in un momento di crisi, è importante far ripartire l’edilizia ma gettando da subito le basi per una radicale riconversione del settore. Per questo, già nei prossimi provvedimenti economici, si accentueranno le scelte già compiute negli anni passati con gli ecobonus per le ristrutturazioni.

Ma occorre fare di più. In primo luogo stabilendo criteri minimi ambientali più coraggiosi nell’impiego dei materiali da costruzione, aumentando le percentuali di materia seconda e di riciclato dai materiali di demolizione, in particolare calcestruzzi e gessi, che vedono oggi l’Italia molto lontana dalle medie europee. In secondo luogo facilitando la raccolta dei materiali da demolizione presso la rete di venditori di materiale per l’edilizia ed infine approvando il decreto per l’End of Waste dei materiali da demolizione. In questo modo sarà possibile ridurre l’impatto delle attività estrattive sul territorio e produrre materiali edilizi e stradali con maggiori prestazioni da ogni punto di vista.

Ma in edilizia un’altra materia prima è rappresentata dal suolo, una risorsa non riproducibile ed il cui consumo deve essere limitato e portato a saldo zero entro il 2030. Nel prossimo Collegato ambientale introdurremo nuove norme che puntano a limitare il consumo di nuovo suolo nelle attività di nuova costruzione e a spostare sulla città esistente e sui tessuti degradati gli interventi di trasformazione urbana ed edilizia.

Per farlo occorre cambiare la natura della nostra legislazione urbanistica tutta incentrata sull’espansione delle città, favorendo con forti agevolazioni fiscali gli interventi di ristrutturazione urbanistica capaci di offrire alti standard tecnologici in termini di digitalizzazione, efficienza energetica degli impianti , materiali a bassa dispersione energetica, servizi interni e di quartiere di maggiore prestazione rispetto alla domanda attuale di servizi pubblici, sistemi di riciclo di acqua e dei rifiuti ed infine maggiore densità coniugata ad un costante contrasto ai fenomeni delle isole di calore.

Questa strategia urbana deve collegarsi ad un’azione sulla mobilità urbana che punti in dieci anni alla totale decarbonizzazione del trasporto pubblico LOCALE e alla modifica dei flussi degli spostamenti casa, lavoro, incentivando smart working, telelavoro, e-commerce e una più fitta rete di servizi in ogni quartiere.

Occorre infine un vasto e puntuale programma di intervento per la difesa del suolo e la lotta al dissesto idrogeologico investendo sul capitale naturale, sui bacini idrografici, sull’equilibrio faunistico e sulla riforestazione sia dentro le città che nelle zone interne per le quali occorre una strategia speciale in termini turistici, di valorizzazione paesaggistica, storico-culturale, agricola e artigianale e di servizi innovativi (in primis la formazione e la ricerca scientifica) per scoraggiarne lo spopolamento e ridurre i flussi di immigrazione verso le grandi aree urbane e verso le coste. Un grande aiuto nella lotta al dissesto idrogeologico e nel monitoraggio dell’inquinamento atmosferico può venire, con investimenti contenuti, dal processamento dei dati provenienti dal monitoraggio spaziale dei programmi Copernicus e Cosmo Sky Med che consentono di aumentare la prevenzione e migliorare il tempismo degli interventi.

L’uso della leva fiscale rappresenta lo strumento forse più importante per incoraggiare o scoraggiare gli indirizzi della politica economica. E in questo quadro è importante compiere delle scelte coraggiose e innovative.

Può essere importante, anche a seguito della recente esperienza dell’emergenza pandemica che ci ha svelato la fragilità delle nostre società rispetto alle imprevedibili risposte della Natura e di nuove emergenze epidemiologiche in parte collegati agli squilibri ambientali,  pensare alla istituzione di un “Fondo nazionale per la sostenibilità e per la salute” finalizzato all’insorgere di specifiche emergenza nel campo medico o di fenomeni naturali e che consenta risposte immediate e anche indirizzato al sostegno di azioni virtuose per la rigenerazione urbana. Un fondo alimentato da una ridefinizione di altre tasse e tributi oggi esistenti e finalizzati, non sempre efficacemente a emergenze di liquidità e di cassa delle amministrazioni.

Basti pensare, a titolo di mero esempio, che oggi gli introiti da accise carburanti e da bollo auto (incassato dalle Regioni) ammontano a circa 50 miliardi di euro. Oppure si pensi al fatto che lo Stato italiano eroga circa 19 miliardi all’anno di Sussidi Ambientalmente Dannosi per attività produttive che determinano un costo per il sistema ambientale e per la salute. Anche il solo 10 per cento di queste risorse potrebbe prendere la via di un “Fondo nazionale per la sostenibilità e la salute” per le grandi emergenze nazionali e funzionerebbe come una grande assicurazione pubblica contro gli infortuni delle comunità (e non solo degli individui) in caso di calamità.

Un recente manifesto di scienziati, esperti, accademici, intellettuali ha rilanciato in questi gironi bla necessità di un concreto passaggio dalle parole ai fatti nella direzione del Green New Deal. Questo Governo vuole essere l’iniziatore di una nuova stagione, di una svolta che segni uno spartiacque. Anche per questo, già a dicembre, abbiamo voluto trasformare il principale organismo di programmazione economica dello Stato italiano, il CIPE in CIPES (Comitato interministeriale per lo sviluppo sostenibile).

Non per una formale questione nominalistica ma per ispirare tutta l’azione dello Stato nella direzione della salvezza dell’ambiente coniugata alla crescita dell’economia e dell’occupazione. 

di Roberto Morassut (sottosegretario all’Ambiente)

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