• 10/23/2019

Ritorno dell’incubo del nucleare a fissione

Il fallimento dell’eolico e del fotovoltaico darà il via libera al ritorno dell’incubo del nucleare a fissione

di Alberto Cuppini (da reteresistenzacrinali.it)

23 ottobre 2019

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Una rassegna stampa (i grassetti nel testo sono nostri) sul recente rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) favorevole al rilancio del nucleare per guidare una transizione energetica più sicura e meno costosa. Secondo l’AIE, senza interventi per invertire la tendenza in atto, nei prossimi 20 anni il contributo del nucleare alla produzione di energia nel mondo crollerà mettendo a rischio gli obiettivi di decarbonizzazione, facendo aumentare i prezzi dell’elettricità e accrescendo in modo significativo complessità e costi della transizione. Forse delusa dalla mancata realizzazione di quella “rinascita nucleare” che aveva profetizzato un decennio fa, l’AIE se ne era da allora disinteressata, spostando il baricentro dei suoi messaggi verso le altre tecnologie low-carbon, in primis nuove rinnovabili (solare ed eolico), ma senza mai rimarcarne i limiti fisici, economici, energetici ed alimentando, in tal modo, il pensiero unico dominante che ritiene che esse possano costituire il principale se non unico strumento per combattere i cambiamenti climatici.Tutta l’enfasi posta finora sulla decarbonizzazione integrale non porterà quindi solo, inevitabilmente, al rilancio di una tecnologia come il nucleare a fissione che nessuno considerava più, se non altro per motivi di costo, ma anche – e questo è davvero incredibile – ad una sua “remunerazione”, parola che si deve leggere intendendola come sussidi pubblici al nucleare “sporco”. La realtà, infatti, ha ormai preso il sopravvento sulle puerili illusioni alimentate dai lobbysti delle rinnovabili non programmabili, che finanziano la loro propaganda grazie a rendite parassitarie di entità inimmaginabile (230 miliardi di soli incentivi alle sole Fer elettriche finora assegnati solo in Italia), tali da essere in grado di condizionare, oltre che i mass media, la politica non solo dei singoli Stati ma anche quella dell’Unione Europea, ed in particolare la Commissione: i Paesi europei, seguendo quanto previsto dai tecnocrati della Commissione nelle loro direttive ordoliberiste, hanno finora preso decisioni sulla riduzione della loro capacità di produzione elettrica, come la chiusura di impianti a carbone o nucleari, spesso senza discuterne con gli altri. L’esito finale disastroso è inevitabile. Lo scorso giugno per più volte le grandi industrie tedesche sono state escluse dalla rete elettrica in sovraccarico, onde evitare il collasso sistemico, che è stato evitato solo con il soccorso dei Paesi confinanti. Questo soccorso presto non sarà più possibile. La crisi sistemica tedesca si è andata a sommare a quella analoga del gennaio scorso in Francia, durante la quale il Paese transalpino si è trovato a un passo dal blackout. La situazione è destinata a peggiorare con l’entrata in vigore dei Piani Nazionali Energia e Clima, pretesi dalla Commissione e resi vincolanti dai provvedimenti compulsivi previsti nel Clean Energy Package. Le politiche su ambiente e energia non si possono guardare un obiettivo alla volta, un paese alla volta – ognuno col suo phase out da annunciare. I tempi appaiono ormai maturi per riconoscere pubblicamente che il re eolico è nudo e che, dopo avere sfregiato l’Europa con decine di migliaia di pale, inutili se non dannose, adesso i Paesi europei dovranno chinare la testa accettando pure le centrali atomiche, che verosimilmente saranno realizzate… con i reattori SMRs cinesi!

E’ stato un colpo sparato a freddo e a bruciapelo.

Lo ha esploso in un suo titolo il quotidiano francese Le Figaro il 28 maggio scorso: “Sans le nucléaire, les objectifs d’électricité verte sont hors de portée”, che sottotitolava: “L’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) raccomanda di prolungare le centrali atomiche”.

Non stiamo dunque parlando di una subdola setta nuclearista contraria per malvagità alla facile salvezza del Pianeta per il tramite dell’eolico santo ed immacolato, ma di una agenzia internazionale (e perciò, nella retorica globalista corrente, rigorosa, equanime e spassionata per definizione) fin qui favorevole alle rinnovabili salvifiche e, ad ulteriore garanzia di autorevolezza, con sede proprio a Parigi, dove sono state sottoscritte le Tavole della Legge degli accordi della COP 21 e dove regna il presidente Macron, che ostenta di rappresentare l’argine provvidenziale contro tutti i letali egoismi, populismi e “sovranismi” che, chissà perchè, fioriscono ogni giorno che passa in ogni parte del mondo.

Per chi non sa il francese, consigliamo di approfondire la notizia leggendo l’articolo del Quotidiano Energia del 29 maggio dal titolo “Aie: Senza nucleare transizione più difficile e costosa”.

Non sono argomenti leggeri, quelli buttati improvvisamente sul piatto della bilancia dall’AIE:

  • “Rischio extracosti di 1.600 miliardi di dollari e maggiori emissioni di CO2 per 4 miliardi di tonnellate”.
  • “Il nucleare ha un futuro incerto in molti Paesi e il rischio di un drastico calo nell’uso di questa fonte nelle economie avanzate potrebbe tradursi in emissioni aggiuntive per miliardi di tonnellate di CO2”.
  • “In economie avanzate… il nucleare è stato per oltre 30 anni la maggior fonte a zero emissioni di CO2 e in molti Paesi gioca un ruolo importante per la sicurezza energetica”.
  • “E’ competitivo con altre tecnologie di generazione, incluso il solare e l’eolico, e può guidare una transizione energetica più sicura e meno costosa”.

Lo stesso giorno anche la Staffetta Quotidiana è doverosamente intervenuta sull’argomento con l’articolo “L’Aie suona l’allarme sul phase out nucleare”.

La Staffetta espone così il problema:

“Senza interventi per invertire la tendenza in atto, nei prossimi 20 anni il contributo del nucleare alla produzione di energia nel mondo crollerà mettendo a rischio gli obiettivi di decarbonizzazione, facendo aumentare i prezzi dell’elettricità e accrescendo in modo significativo complessità e costi della transizione energetica. Lo scrive l’Agenzia internazionale dell’energia di Parigi in un rapporto pubblicato ieri, il primo dedicato al nucleare da quasi 20 anni, avanzando suggerimenti di policy per arrestare la tendenza.”

Contrordine compagni, dunque. Non sarebbe nemmeno la prima volta. Del resto, la presa di coscienza di uno sproposito commesso (affidandosi ciecamente a pale e pannelli), con conseguente bagno di umiltà e ritorno ad un sano realismo non sarebbe, in fondo in fondo, del tutto da deprecare. Ma non finisce qui. Il bello deve ancora venire. Continuiamo con la Staffetta:  

“L’Aie propone quindi di consentire l’estensione della vita dei reattori finché la sicurezza lo permette e di introdurre misure regolatorie che valorizzino la disponibilità di capacità e la fornitura di servizi degli impianti nucleari, remunerando inoltre (e qui sta il fatto più grave. Ndr) anche i vantaggi non economici legati a sicurezza e decarbonizzazione.”

Tutta l’enfasi posta finora sulla decarbonizzazione integrale non porterà quindi solo, inevitabilmente e come da noi facilmente previsto, al rilancio di una tecnologia come il nucleare a fissione che nessuno considerava più, se non altro per motivi di costo, ma anche – e questo è davvero incredibile – ad una sua “remunerazione”, parola che si deve leggere intendendola come sussidi pubblici al nucleare “sporco”.

Sempre la Staffetta, che ha perfettamente inquadrato e valutato la portata della dichiarazione dell’Aie, lo stesso giorno, nell’articolo “L’Aie e il re nudo”, individua il nocciolo della questione con mirabile sintesi:

“L’Agenzia internazionale dell’energia… segnala in un certo senso che il re è nudo. Ci ricorda cioè una volta di più che le politiche su ambiente e energia non si possono guardare un obiettivo alla volta, un paese alla volta – ognuno col suo phase out da annunciare e all’occorrenza rinviare – e con gli occhi solo o quasi alle scadenze elettorali. Vale per il nucleare, senza il quale decarbonizzare la generazione elettrica con i tempi che vogliamo diventa una missione (quasi?) impossibile, per costi, tempi e difficoltà gestionali.”

Questo improvviso ritorno collettivo all’opzione, anzi al must nucleare non lo si può imputare al caso.

Persino la tetragona Repubblica, che rimane il quotidiano italiano più partigiano dell’eolico (nonostante la durissima lezione subita dal patatrac della Sorgenia di proprietà CIR), si è sentita in dovere di pubblicare su Affari e Finanza del 3 giugno la traduzione di un articolo di Bertille Bayart di Le Figaro dall’eretico titolo “E se il nucleare avesse ragione?”.

Nell’articolo si apprende, esterrefatti dalla superficialità e dal pressapochismo degli adoratori delle rinnovabili elettriche, che in Francia compaiono i primi pentiti e dissociati, come il

“saggista Laurent Alexandre che ha confessato “di aver creduto che la transizione dall’energia nucleare a quella solare potesse avvenire velocemente”, tenuto conto del crollo dei prezzi del fotovoltaico. “Non mi sono accorto che non sarebbe stato possibile ovviare all’intermittenza della radiazione solare prima di qualche decennio a causa dei costi molto elevati dell’immagazzinamento dell’elettricità” (ma guarda un po’ che novità. E lui “non se n’era accorto”. Povera Francia! Ndr). Altro pentito è Michael Shellenberger, un illustre americano che dieci anni fa Time Magazine aveva soprannominato “eroe dell’ambiente”: oggi anche lui propende per il nucleare.”

Continua Le Figaro, nella traduzione su Affari e Finanza di Repubblica, giornale pronto come al solito a passare repentinamente da un tic intellettuale alla moda all’altro anche in campo energetico:

“La costruzione di nuovi reattori è un modo per ridurre le emissioni di CO2. L’innovazione avrà un ruolo di primo piano, con progetti di cui si parla perfino nella Silicon Valley e che riguardano una quarta generazione atomica o reattori modulari di dimensioni contenute. Tutto ciò calza a pennello per la Francia: non è forse la patria dell’atomo a usi pacifici, con la più alta percentuale di elettricità prodotta da energia nucleare sulla Terra? Peccato che la filiera francese rischi di perdere la scommessa, nel caso in cui il nucleare dovesse avere un nuovo appuntamento con la Storia. Ne è colpevole la Cina, che guida la corsa in avanti del nucleare con 25 reattori. Ne sono colpevoli i politici francesi e gli industriali”.

Come fa perfidamente notare nel suo articolo del 12 giugno  “Nucleare: chiudere la stalla quando i buoi sono scappati” sul blog della rivista Energia il professor Alberto Clò (che dopo lunga dimestichezza dimostra di non avere una grossa stima dell’AIE):

“Forse delusa dalla mancata realizzazione di quella “rinascita nucleare” che aveva profetizzato un decennio fa, l’AIE se ne era da allora disinteressata, spostando il baricentro dei suoi messaggi verso le altre tecnologie low-carbon, in primis nuove rinnovabili (solare ed eolico). Alimentando, in tal modo, il pensiero unico dominante che ritiene che esse possano costituire il principale se non unico strumento per combattere i cambiamenti climatici, col gas naturale a far da traballante ponte”.

Prosegue Clò, grande esperto di nucleare, dopo molti anni di lotte – perdute – da lui vissuti da protagonista e narrati nell’avvincente libro “Si fa presto a dire nucleare” pubblicato nel 2010 dal Mulino, che invitiamo tutti a procurarsi (l’anno scorso siamo riusciti a trovarlo ancora in libreria):

“Le nuove rinnovabili, in sostanza, non hanno minimamente scalfito le fossili ma hanno semmai ‘cannibalizzato’ la tecnologia nucleare che presenta nel suo intero ‘ciclo di vita’ le minori emissioni di gas serra… A fronte del deludente procedere delle cose nel dopo-Parigi, l’AIE sembra ora correggere il tiro con l’intento, sostiene, di riportare al centro del dibattito l’opzione nucleare. Troppo tardi? Si, temo che l’AIE stia tentando di chiudere la stalla coi buoi scappati. Dopo aver infatti alimentato l’illusione sulla possibilità di far perno solo sulle rinnovabili – imprescindibili ancorché non risolutive – per raggiungere gli obiettivi di Parigi è ora difficile far credere che “senza il nucleare vi è il rischio di un enorme (huge) aumento delle emissioni di CO2”.

E ancora:

“Non tutto il mondo si allontana dal nucleare, che non se ne parli è indicativo della parzialità dell’informazione. Aver alimentato l’illusoria speranza del tout renouvable – senza mai rimarcarne i limiti fisici, economici, energetici – porta oggi i più a sostenere che le nuove rinnovabili potranno, solo volendolo, rimpiazzare con un infinito numero di pannelli fotovoltaici o turbine eoliche i 135.000 MWe di potenza nucleare a rischio chiusura, le molte altre migliaia di MWe a carbone destinati a una simile fine, per non parlare della nuova potenza necessaria ad alimentare la mobilità elettrica. Una prospettiva assolutamente impossibile anche in considerazione del deludente andamento degli investimenti.”

Concludendo che, “anche se forse a babbo morto, il nucleare è solo una parte della soluzione alla lotta ai cambiamenti climatici, ma senza il nucleare essa non avrà soluzione”.

In realtà, contrariamente a quanto afferma nel suo articolo Clò, e come invece riporta il professor Steve Thomas dell’università di Greenwich nell’articolo pubblicato il 16 luglio su Rienergia (che raccomando agli interessati di leggere per intero con la massima attenzione) “Chi investe ancora nel nucleare?”, neanche nei Paesi non-OCSE le cose vanno bene per l’opzione nucleare. Molte sono le difficoltà, ben sintetizzate da Thomas (che però è un economista e non un tecnico e non sembra neppure bene in grado di distinguere tra produzioni elettriche programmabili e non-programmabili), non solo per le tecnologie occidentali, ma anche per quelle russe e cinesi. Per queste ultime, osserva Thomas, 

“l’unica speranza risiede in alcuni paesi in via di sviluppo e nell’Europa orientale. Per i paesi in via di sviluppo, l’offerta di finanziamenti da parte di Russia e Cina sembra risolvere un problema, ma l’alto costo dei reattori per Stati che non sono in grado di permettersi energia costosa potrebbe compromettere la maggior parte di questi piani… Attualmente, l’attenzione è sugli Small Modular Reactors (SMRs) che si prevede produrranno meno di 300 MWe (si deve leggere meglio: “produrranno con potenza inferiore ai 300 MWe”. NdR) e saranno costruiti in fabbrica come moduli, mentre sul sito verrà eseguito solo il montaggio”.

Se ci è permessa una banale osservazione di contorno, ci pare sintomatico osservare che il Bangladesh, che nel ventesimo secolo è stato sinonimo della miseria più disperante del Terzo Mondo, adesso stia cercando una (difficilissima) soluzione dei propri problemi economici nel nucleare, mentre in Italia, dove “nucleare” è una parolaccia (indipendentemente dalle tecnologie adottate), si vorrebbe “decarbonizzare” integralmente il sistema facendo funzionare l’apparato industriale con pale eoliche (!) che girano, anzichè col vento, con gli incentivi smisurati riversati sulle bollette degli utenti. Non vorremmo che il Bangladesh del ventunesimo secolo rischiasse di diventarlo il Belpaese. Non sarebbe la prima volta nella storia (e neppure la seconda) che l’Italia, da Paese più prospero del mondo, divenisse in pochi decenni, per errori di calcolo politico e meschine furberie, il più povero (almeno) dell’Europa occidentale.

Questo improvviso voltafaccia dell’AIE non è un caso. Appena il mese dopo l’audizione parlamentare del 12 marzo scorso sul Piano Energia e Clima dei vertici della Terna, il cui atteggiamento scarsamente responsabile era stato da noi fortemente criticato nel già richiamato post RRC “Accumuli di panzane”, avevamo appreso – sbalorditi – dal Quotidiano Energia del 29 aprile, nell’articolo “Phase out, appello dei Tso europei”, la candida ammissione (a cui nessun accenno era stato fatto davanti alla commissione Attività produttive), da parte della stessa Terna, della validità delle nostre critiche:

“La sicurezza degli approvvigionamenti non può essere data per scontata” perchè siamo legati alle leggi della fisica e ad impedimenti tecnici, aspetti non negoziabili”. E’ l’avvertimento degli amministratori delegati di 15 Tso europei, – tra cui Luigi Ferraris di Terna – secondo i quali occorre un “forte coordinamento delle politiche energetiche nazionali” per evitare di mettere a repentaglio l’adeguatezza del sistema elettrico”… “I Paesi stanno prendendo decisioni sulla loro capacità di produzione elettrica, come la chiusura di impianti a carbone o nucleari, spesso senza discuterne con gli altri… è più facile prendere decisioni sulla chiusura delle centrali piuttosto che avviare nuova capacità di generazione”.

Questo timore per la sicurezza degli approvvigionamenti espressa a fine aprile dagli operatori dei sistemi elettrici europei è parso concretizzarsi poco più di un mese dopo.

Infatti siamo stati informati (anzi: NON siamo stati informati dai giornaloni e dalle televisioni italiane) che in giugno, nella Germania della sempre più traballante Energiewende, per più volte le grandi industrie tedesche sono state escluse dalla rete elettrica in sovraccarico, onde evitare il collasso sistemico, che è stato evitato solo con il soccorso dei Paesi confinanti.

Lo abbiamo appreso per caso, imbattendoci in rete nell’articolo del compassato Frankfurter Allgemeine Zeitung del 2 luglio intitolato niente meno che “Condizioni caotiche nella rete elettrica tedesca”. La crisi sistemica tedesca si è andata a sommare a quella analoga del gennaio scorso in Francia, durante la quale il Paese transalpino si è trovato “a un passo dal blackout” ed anche in quella circostanza, secondo il Quotidiano Energia, “il sistema elettrico è stato salvato dagli interrompibili”.

In Francia i rischi di blackout si accompagnano, come già accaduto per motivi analoghi in Italia, dall’aumento abnorme degli oneri sulle bollette, che, sempre secondo il solito Quotidiano Energia, questa volta del 16 luglio, “crescono dell’11%”. Nel 2020 la Cre (l’autorità amministrativa indipendente francese), ci informa il QE, “prevede un totale di 8,4 miliardi di euro. Pesano le Fer”. Prosit! Ne saranno lieti i gilet gialli.

Con il sistema elettrico dei due autoproclamati (col trattato di Aquisgrana) Diarchi europei a serio rischio, i tempi appaiono ormai maturi per riconoscere pubblicamente che il re eolico è nudo e che, dopo avere sfregiato l’Europa con decine di migliaia di pale, inutili se non dannose, adesso i Paesi europei dovranno chinare la testa accettando nuove centrali atomiche, che verosimilmente saranno realizzati con gli SMRs cinesi, dopo l’omicidio-suicidio intenzionale della tecnologia degli impianti nucleari occidentali, che non potrà tornare competitiva, neanche volendolo, per i prossimi due decenni.   

Ad ulteriore testimonianza dell’abdicazione occidentale dalla leadership in materia nucleare anche nel caso del nucleare cosiddetto “pulito”, cioè a fusione, appare significativa la clamorosa notizia, anche questa – non a caso – NON apparsa sui giornaloni e gli altri mass media italiani, diffusa il 13 novembre dello scorso anno in inglese dall’autorevole Accademia cinese delle Scienze e ripresa dal sito specializzato Altrogiornale.ORG nell’articolo del 29 novembre di Mara Magistroni “Fusione nucleare, il sole artificiale cinese ha raggiunto la temperatura record di 100 milioni di gradi”,

“una condizione ritenuta essenziale per il successo del processo che ci consentirà di sfruttare l’energia derivante dalla fusione nucleare. Un team di scienziati dell’Istituto cinese di fisica ha reso noto di essere riuscito a far raggiungere la temperatura record di 100 milioni di gradi Celsius al plasma contenuto nel reattore Experimental Advanced Superconducting Tokamak (East) di Hefei. L’umanità – dicono – è un po’ più vicina a una nuova era energetica… Il team cinese ha affermato di aver raggiunto il record di 100 milioni di gradi Celsius grazie all’applicazione di diverse tecniche per riscaldare e controllare il plasma. E anche se i ricercatori sono riusciti a mantenere tali condizioni solo per qualche manciata di secondi, tanto basta per definirsi un successo”.

Il passo successivo è stato compiuto dagli scienziati cinesi pochi mesi dopo, anche questa volta nel silenzio dei media mainstream italiani intenti a rimbambire (riuscendoci perfettamente) ancor di più l’opinione pubblica con la “piccola Greta”, per agevolare l’approvazione in corso del catastrofico Piano Energia Clima, che ha il solo scopo di sperperare a favore di onnipotenti clientele politiche altre centinaia di miliardi – che si andranno ad aggiungere a quelli fin qui impegnati – per installare altro potenziale elettrico non programmabile. Ci dà perciò notizia del successo cinese un quotidiano “politicamente scorretto” come il Giornale, nell’articolo di Gianluca Grossi dello scorso 30 aprile dal titolo “La Cina realizza la fusione nucleare dei record: per cento secondi prodotta l’energia del futuro”: 

“Lo scorso novembre il primo importante step: con il raggiungimento di una temperatura di cento milioni di gradi. Ora il traguardo di essere riusciti a prolungare questa condizione per più di un minuto e mezzo. Record, e grandi prospettive per il futuro: «Con questa macchina straordinaria, speriamo di contribuire in modo determinante allo sviluppo del primo impianto per l’energia nucleare derivante dalla fusione», racconta Song Yuntao, fra i leader del progetto East. Siamo solo all’inizio. Perché, costi a parte, la finalità è quella di arrivare a 150 milioni di gradi per un tempo indefinitamente lungo. Sennò l’energia non arriva. Ma è questa, senza dubbio, la strada da seguire”.

Riepiloghiamo dunque brevemente l’evoluzione un po’ tortuosa della politica energetica italiana (ed europea) dell’ultimo trentennio.

  1. Dopo Chernobyl, si rinuncia all’energia nucleare a fissione perchè potenzialmente pericolosa.
  2. Subito dopo, improvvisamente, si viene informati che dobbiamo combattere a tutti i costi il riscaldamento globale per “salvare il Pianeta”.
  3. Si individua il responsabile del riscaldamento globale nell’emissione di gas ad effetto serra ed in particolare della CO2 prodotta dalle attività antropiche, in primis l’uso dei combustibili fossili.
  4. Si decide di conseguenza di attuare niente meno che la “decarbonizzazione integrale” attraverso la “transizione energetica” affidandosi alle rinnovabili elettriche, in larga parte non programmabili oppure, come nel caso delle biomasse, ancor più inquinanti dei combustibili fossili a parità di potere calorifero. Allora ce ne siamo chiesti il perchè. Adesso, fatti i conti e conosciuti i miracolati percettori degli oneri collettivi che ne sono derivati, questo perchè appare chiaro.
  5. Dopo avere speso una barca di quattrini, ci si rende conto che le rinnovabili non programmabili non garantiscono la sicurezza nell’approvvigionamento energetico, nella perdurante assenza della capacità di accumulo di grandi quantità di energia elettrica.
  6. Gli speculatori delle rinnovabili nel frattempo hanno guadagnato (e stanno guadagnando) talmente tanto dai sussidi pubblici (230 miliardi di soli incentivi alle sole Fer elettriche solo in Italia) da essere in grado di condizionare (lecitamente, fino a prova contraria), oltre che i mass media, la politica non solo dei singoli Stati ma anche quella dell’Unione Europea, ed in particolare la Commissione.
  7. L’ “Europa” decide di obbligare gli Stati membri a raddoppiare gli sforzi per installare ancora più eolico e fotovoltaico entro il 2030.
  8. Nel frattempo si moltiplicano i primi serissimi incidenti di rete proprio dove maggiore è la concentrazione di impianti Fer non programmabili.
  9. Mentre stanno per essere definitivamente sanciti, con il crisma dell’approvazione della Commissione UE, i prometeici e costosissimi Piani Nazionali “Energia e Clima” per il conseguimento degli obiettivi di produzione da rinnovabili per il 2030, che diventeranno vincolanti entro pochi mesi, qualcuno (l’AIE, i Tso, eccetera) “scopre” improvvisamente (e tutti contemporaneamente…) che il sistema elettrico europeo, attuando il pacchetto di provvedimenti noto come “Clean Energy Package”, salterà per aria.
  10. Questo qualcuno “scopre” che l’energia nucleare a fissione non emette gas ad effetto serra.
  11. Quando ormai è troppo tardi per fermare l’infernale meccanismo, partorito dai tecnocrati della Commissione, del Clean Energy Package (ormai in corsa inarrestabile come le armate del Kaiser – obbligate ad applicare automaticamente gli intricatissimi piani dell’Oberste Heeresleitung tedesca – nell’agosto del 1914), si tornano a proporre gli impianti nucleari (gli stessi a suo tempo considerati potenzialmente pericolosi) come soluzione per la salvezza del Pianeta dai “mutamenti climatici”, diventata la nuova formula magica che sostituisce quella precedente del “riscaldamento globale”.
  12. L’Europa, dopo essere stata ricoperta da un ripugnante grumo di pale, pannelli e altre schifezze Fer destinate ad essere buttate via (ammesso che sia possibile), si riempirà di reattori nucleari cinesi non perchè più sicuri di quelli occidentali (anzi…), ma perchè, intanto, solo i cinesi hanno sviluppato una tecnologia abbordabile a basso costo, mentre gli occidentali non hanno più le capacità e la competenza tecnica adeguata a costruire impianti nucleari a fissione in tempi ragionevoli per affrontare un incombente tracollo dei propri sistemi elettrici.
  13. Mentre l’Europa trascura la ricerca verso il nucleare pulito perchè mancano, oltre alla volontà politica, gli adeguati fondi, tutti destinati ai furbacchioni che piantano pale e pannelli (e a quelli che forniscono gli innumerevoli servizi ancillari alle Fer elettriche non programmabili), si deve fare affidamento, per trovare una soluzione in un futuro abbastanza ragionevole al trilemma della sicurezza delle forniture energetiche, dei costi contenuti e della lotta ai mutamenti climatici, di nuovo sugli… scienziati cinesi (!), che stanno bagnando il naso agli occidentali anche nel settore della ricerca sugli impianti a fusione nucleare.

Probabilmente c’è qualcosa che non va. Non è difficile capire cosa, ma nessuno, nè nella classe dirigente europea nè nell’opinione pubblica, non solo pare rendersene conto, ma neppure se ne interessa. Per timore, forse, di doversi guardare allo specchio e di vederci qualcosa di poco gradevole.

Requiem aeternam dona Europae, Domine. 

Et ora pro nobis.

di Alberto Cuppini (da reteresistenzacrinali.it)

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