Selvapiana non è più una selva
Un problema di toponomastica: tagliati i faggi superstiti
di Francesco Manfredi-Selvaggi
4 Febbraio 2025
In verità già da decenni avrebbe dovuto cambiare nome questa località attigua a Campitello a causa della scomparsa della faggeta per far posto all’Hotel Kristiania
I faggi sono stati tagliati perché a rischio di collasso e va bene, ma non si capisce chi o cosa avrebbe danneggiato colpendolo tale crollo. Una soluzione al posto del taglio sarebbe potuta essere di delimitare un ambito intorno a tali alberi, magari apponendo una recinzione di cantiere o un semplice nastro bianco e rosso per evitare qualsiasi pericolo. Si riconosce, comunque, che l’area pianeggiante circostante la quale era interamente boscata da cui il toponimo Selvapiana ha perso da tempo i connotati che aveva all’origine, il tempo è il momento della costruzione dell’Hotel Kristiania la quale deve aver comportato il disboscamento del sito.
Caratteri originari e originali in quanto non è frequente trovare formazioni boschive in piano (tanto in montagna quanto in collina quanto in fondovalle). L’eliminazione delle masse boscate che, secondo quanto riferisce Giuseppe Maria Galanti nel suo “Descrizione del Contado di Molise”, pubblicazione di fine ‘700, aveva interessato nel medesimo secolo ampiamente il Matese, provocò la sparizione anzitutto delle superfici boschive planiziali, il suolo piatto è una situazione morfologica favorevole di certo per il pascolamento degli animali e, ad ogni modo, se il terreno è livellato le piante sono più facili da recidere.
Che si tratti Selvapiana di areale inizialmente coperto, per intero, da alberi è a dircelo, oltre al nome del luogo, la fisionomia delle piante, tra le quali quelle abbattute, poste al limite dell’appezzamento boscoso nell’estensione attuale che, a sua volta, è al limite del terreno a morfologia tabulare (all’esterno non all’interno): essi, quelli troncati, erano dei faggi assai slanciati, aspetto che contraddice l’usuale postura degli esemplari di faggio che incontriamo immediatamente prima di inoltrarci in una faggeta. Questi ultimi hanno il tronco più tozzo, un’altezza inferiore e la chioma dalla forma sferica, molto diversi dai faggi che stanno in seno alla faggeta, alti e con ramificazione affusolata, una terminazione non arrotondata.
È un indizio sicuro la conformazione, lo si ripete, dei faggi che sono stati mozzati, alla radice, insieme a quelli sopravvissuti in prima fila (in prima linea trattandosi di uno scontro tra mondo vegetale e umano) della distesa forestale, propaggine dell’ampio bosco di Rote-Trabucco, che essi precedentemente, antecedentemente alla realizzazione dell’albergo citato, erano posizionati dentro e non fuori al bosco come si verifica ora. Chissà che effetto produceva al visitatore di un tempo il passare attraverso questa selva, Selva Piana, a dirla con Dante oscura, aspra e forte in quanto il termine selva si attribuisce ai boschi non “coltivati”, cioè non “governati” né all’alto fusto né al ceduo, ambedue con turni di taglio regolari, il primo a cadenza più lunga, il secondo più breve, per cui al di sotto della copertura arborea cresce uno strato arbustivo che rende il sottobosco intricato, difficile da transitarvi dentro.
Superata la tenebrosa Selva piana l’immaginario viaggiatore si troverà al cospetto del vasto pianoro erboso delimitato dal monte Miletto di Campitello privo, come si conviene alle conche carsiche, di essenze arboree, un transito dall’ombra alla luce repentino, un bell’effetto. Non è che sia impossibile ripristinare simile choc visivo, basterebbe non consentire attività antropiche, tipo il campo da gioco esistente nel prato che ha sostituito la fustaia di faggi perché il faggio è una specie vegetale capace di ricolonizzare gli spazi perduti. La divisione tra zone boscate e zone libere da piante è segnata da un confine mobile, non è un dato di fatto fisso, immutabile; il contorno non è netto, in natura i margini di un bosco sono incerti, soggetti ad oscillazioni.
Nell’addentrarsi nella macchia boscosa cambiano le condizioni di luminosità e colore e l’esposizione ai venti dando il fianco le piante che stanno a fianco, cioè al limitare del bosco, ai fenomeni atmosferici mentre nel cuore dell’estensione boschiva gli alberi rimangono protetti. L’aspetto delle piante è inevitabile che cambi nella transizione tra l’ambiente aperto e quello chiuso. La silhouette degli individui arborei stipati nella massa boscata, individuo e massa sono parole del linguaggio sociologico che le adopera nel descrivere la società contemporanea, tentano di venir fuori da un insieme indistinto, di piante così come per noi uomini di persone, non facendosi largo ovvero distanziandosi dai propri simili, bensì elevandosi, una spinta verso l’alto per beneficiare dei raggi del sole, un emergere alla luce per catturarla.
Poiché tutti fanno alla stessa maniera, la massificazione dei comportamenti vale per gli uomini e per i vegetali, abbiamo un “colonnato” di faggi che quali colonne hanno un profilo allungato. In definitiva, risulta evidente l’alterazione subita dal punto di vista ambientale dalla località, con lo spaesamento delle piante situate alla terminazione del bosco e nello stesso tempo sarebbe stato opportuno risparmiare dal taglio tali esemplari comunque affascinanti per la loro imponenza ed età, ovverosia si invoca il rispetto per le piante in generale, un sentimento che appartiene alla nostra cultura, una sorta di pietas pascoliana pure verso l’universo vegetale. In ultimo la toponomastica: Selvapiana è un microtoponimo in quanto si riferisce ad un’area ristretta la cui denominazione non compare nelle carte geografiche, a qualunque scala, essa per i più è identificabile come una porzione di Campitello che l’assorbe in sé.
(Foto: F. Morgillo – I faggi di Selvapiana)
di Francesco Manfredi-Selvaggi
4 Febbraio 2025