Tecnologia e società digitale
Non si può rinunciare alla rivoluzione digitale, ma occorre servirsene ricordando di non confonderla con gli elementi della vita reale nella quale abbiamo ancora le radici profonde ed essenziali della nostra esistenza
di Umberto Berarardo
20 novembre 2020
Da anni ormai i progressi della tecnologia hanno cambiato e addirittura sconvolto per tanti aspetti il nostro modo di vivere.
L’informazione, la cultura, l’economia, la comunicazione e tanti altri aspetti della vita sembrano uscire dalla comunità reale per viaggiare in quella società digitale dove sempre più persone sentono la loro esistenza iperconnessa a un mondo che poi finisce per essere limitato a quello che ci rappresentano grandi imprese, anche difficilmente controllabili, quali sono ad esempio Google, Facebook, Twitter, Instagram, Amazon e altre ancora.
Tale mondo ci sta allontanando sempre più dalle modalità esistenziali nelle quali ci riconoscevamo fino all’avvento del computer e del web.
Le nuove tecnologie offrono sistemi veloci d’interazione, nuove modalità di fruizione dei servizi e forme innovative di partecipazione alla vita politica e sociale in particolar modo per persone diversamente abili che in tal modo possono liberarsi dalla solitudine e dall’isolamento.
Usiamo la rete telematica per informarci, per esprimerci, per comunicare, per relazionarci, per fare acquisti di natura finanziaria o commerciale e pensiamo persino, con le attuali condizioni, di utilizzarla come strumento di attuazione della democrazia diretta.
Questa rivoluzione, che oggi sembra avere una nuova frontiera nei collegamenti in 5G, va a nostro avviso analizzata con grande cautela per individuarne gli aspetti positivi, costituiti dal miglioramento nell’uso dello spettro radio-elettrico, ma anche taluni limiti come l’aumento dei rischi per la privacy, la salute e forme di colonizzazione geo-politica.
Intanto nella società digitale vanno considerati effetti importanti di ordine antropologico.
Nonostante la convinzione generalizzata è difficile mantenere la libertà personale rispetto al sistema delle connessioni e alla monopolizzazione del flusso di dati e informazioni sempre più concentrati negli algoritmi definiti da pochissime società.
È molto alto il pericolo che i nostri comportamenti non siano più frutto di regole, costumi ed usanze democraticamente accettate, ma magari di reality e talent show che cercano di omologare il modo di agire assopendo lo spirito critico.
Il rischio è quello di assolutizzare determinati punti di vista con fake news o con un bombardamento continuo e ripetitivo di affermazioni a loro sostegno.
Tutto questo, in una sorta di logica del pensiero unico, favorito anche da profili anonimi, manifestazione di un’anomalia della libertà espressiva ma anche della responsabilità personale, genera intolleranza e contrapposizioni sostenute da un linguaggio in cui dilaga il turpiloquio e la mancanza di rispetto per le idee altrui.
La limitazione del proprio pensiero può avvenire anche dall’ossessiva ricerca di relazione unicamente con quanti condividono le stesse nostre convinzioni.
Soprattutto agli studenti andrebbe ricordato poi di rifuggire dalle ricerche e dalle consultazioni veloci, ma anche dalla tecnica del “copia e incolla” perché in tal modo si rischia di atrofizzare le abilità di ragionamento, di elaborazione e di approfondimento rinunciando al confronto e allo spirito critico.
Il pericolo di stravolgere i dati o travisare la realtà diventa in tal modo sempre più concreto e pericoloso perché si pretende di presentare per verità ciò che è soltanto un convincimento.
Quale cognizione abbiamo ad esempio sulla metodologia operativa posta in essere nei sondaggi o sulle tecniche adoperate dalla pubblicità per omologare le scelte nella direzione utilitaristica voluta?
Esiste ancora sul web una mancanza di protezione dei dati personali che ci espone sempre più ad una rinuncia alla privacy.
Pur difendendosi con le password e il blocco di messaggi indesiderati, siamo in ogni caso soggetti a intromissioni indesiderate sulle nostre mail o sui profili nei social.
È legittimo chiedersi allora, come già fanno molti esperti, se siamo noi a servici della tecnologia o non sono le grandi lobbies ad usarci attraverso di essa senza rispetto alcuno per la nostra libertà.
Rendere libero il web significa anzitutto dargli sicurezza, impedirne il controllo a pochi gruppi e allargarne una regolamentazione che oggi è molto contenuta.
Un pericolo gravissimo è costituito anche dalla violenza incontrollata che attraversa in vario modo la rete internet e dalla quale occorre difendere soprattutto i bambini.
Molti sono convinti che il web possa essere lo strumento o il veicolo della democrazia diretta.
In Italia soprattutto il M5S ha costruito la cosiddetta “piattaforma Rousseau” che continua, anche se con modalità alquanto affievolite ed ultimamente smorzate, a presentare come il congegno tecnologico che dovrebbe diminuire la delega e allargare la democrazia partecipata.
Spesso si ricorre a tali sistemi di consultazione della base dando la sensazione di una costante relazione con gli iscritti.
In realtà, come abbiamo già sostenuto più di una volta, senza la certificazione del voto da parte di una società terza e un controllo pubblico, in una piattaforma come la “Rousseau” nessuno può garantire che non ci siano manipolazioni nei risultati.
Oltretutto per assicurare un’espressione autenticamente democratica del pensiero dei cittadini su questioni di ordine sociale e politico è indispensabile rendere il voto sempre più allargato, libero, informato e soprattutto non controllato.
Questo non può assolutamente realizzarsi con quesiti talora capziosi e attraverso piattaforme private non controllabili sul piano dello scrutinio dei risultati delle votazioni on line.
Sono sistemi adatti a fondare forme di tecnocrazia, ma di certo non utili a garantire processi di autentica democrazia.
Lo stesso telelavoro da casa o la didattica a distanza possono avere un senso in un periodo di pandemia come quello che stiamo vivendo, ma devono essere valutati nei tanti aspetti problematici di natura psicologica, pedagogica, sociologica e relazionale.
Non possiamo certo rinunciare alla rivoluzione digitale perché sicuramente ci garantisce strumenti efficaci per la comunicazione, ma occorre servirsene ricordando di non confonderla con gli elementi della vita reale nella quale abbiamo ancora le radici profonde ed essenziali della nostra esistenza.
La tecnologia non è mai neutra e, se abbiamo la possibilità di delegare ad essa risoluzioni algoritmiche perché calcolabili, non possiamo fare la stessa cosa per scelte di carattere umano che richiedono riflessione, confronto, giudizio e saggezza.
Per tale ragione ogni innovazione non va utilizzata acriticamente, ma governata, regolamentata e orientata perché sia sempre indirizzata al rispetto della dignità della persona e al bene dell’umanità che pensiamo non possa corrispondere, come molti vorrebbero, al consumismo sfrenato e alla ricerca del superfluo.
Occorre allora una profonda educazione all’utilizzo delle nuove tecnologie e del web che impedisca l’omologazione del pensiero e conservi alla nostra mente soprattutto la libertà, la creatività, la forza elaborativa e l’interazione critica nei confronti della molteplicità dei dati, delle notizie e delle opinioni che ci giungono attraverso i complessi canali informativi.
Gli stessi sistemi d’intelligenza artificiale hanno la necessità etica e politica di essere indirizzati al benessere comune di tutti gli individui e della società, alla distribuzione equa di costi e benefici evitando in ogni caso alterazioni manipolative dell’identità dell’essere umano.
Se, come sostiene la psicanalisi, oggi molti giovani attraversano stati di alienazione che impediscono sempre più la distinzione tra il bene e il male, è il processo educativo che deve superare stati di rischio con un dialogo funzionale alla determinazione di chiarimenti cognitivi capaci di evitare il plagio o il conformismo asettici e acritici e di orientare la consapevolezza sui criteri esistenziali più adeguati in grado d’impedire che la tecnica imponga stili di vita discutibili o peggio pericolosi al punto da determinare la stessa fine dell’umanesimo.
di Umberto Berarardo