• 11/09/2023

Termoli, il turismo, il mare

La cittadina molisana può tornare ad affacciarsi sull’Adriatico e sul contemporaneo 

di Rossano Pazzagli (dal n.ro di Nov di La Fonte)

9 novembre 2023

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Il Molise è piccolo, ma è tante cose. 
che guarda a levante e che ha in Termoli il suo punto di riferimento. Termoli è una bella città cresciuta male, che non ha raggiunto una sua precisa identità, ancora incerta fra terra e mare, fra turismo e industria, fra ansie di crescita e ripiegamenti su sé stessa. La sua dimensione turistica è importante, ma non è l’unica e ha bisogno di integrarsi con le altre.
Il turismo ha una lunga storia e non è sempre esistito.
Il turismo moderno l’hanno inventato gli inglesi tra XVI e XVIII secolo, prima con il grand tour, poi con le terme, infine con il mare e l’alpinismo. Prima di allora c’erano stati i grandi pellegrinaggi medievali, le villeggiature romane, i viaggi dell’antichità, ma è nell’Inghilterra moderna, quella delle glorious revolutions politiche e industriali, che si cominciarono a organizzare viaggi e soggiorni culturali nel resto d’Europa e in Italia, che videro la luce città termali come Bath, località balneari attrezzate come Brighton o Scarborough.
Poi nell’Ottocento arrivò il treno e le vacanze tesero sempre più a passare da un fenomeno di élite a una pratica di massa. Una inedita frequentazione dei litorali marini si affermò, prima in Gran Bretagna e lungo le coste nordeuropee, poi anche nel Mediterraneo. Il fenomeno era mosso da due ordini di motivi: la salute e il divertimento.
Sul piano culturale c’era un nuovo valore riconosciuto all’acqua di mare, che con l’illuminismo fu proposta come elemento terapeutico e subito dopo, con il romanticismo, si vennero cercando nelle coste nuove esperienze sensuali, come il vento tra i capelli, il sale, i piedi sulla sabbia e nel mare, la vista delle onde come forze della natura…
Ai primi dell’Ottocento anche lungo la penisola italiana si fa strada il turismo nelle località di mare, in modo più diffuso nelle regioni settentrionali, meno in quelle meridionali. Cominciava così la costruzione degli stabilimenti balneari: erano semplici palafitte di legno raggiungibili dalla spiaggia per mezzo di un pontile, nei quali si coniugavano intento medico e spinta ludica e modaiola. Viareggio, Livorno, ma anche Venezia e Rimini si aggiunsero alla riviera ligure che si era già sviluppata come naturale prosecuzione della Costa Azzurra. Anche a Termoli – come ci ha mostrato Giovanni De Fanis – verso la fine dell’Ottocento c’era qualcuno che stava pensando di realizzare, ai piedi dell’antico borgo proiettato sul mare, i primi impianti per la balneazione e il divertimento. Il mare era, poteva essere, la vita della città.
C’ erano già i trabucchi, le straordinarie macchine da pesca. Dai primi anni del nuovo secolo faranno la loro comparsa anche i lidi sulla spiaggia di Sant’Antonio e poi su su, in direzione di Vasto prefigurando il lungomare, e infine, ma assai più tardi, giù giù nella costa di Rio Vivo verso la foce del Biferno. La ferrovia era arrivata da un pezzo, mentre permanevano i caratteri ambientali di fondo: geologici, marittimi, terrestri, climatici (il vento). Così come la cultura e la vita di un borgo di mare di primo Novecento: le botteghe, i monumenti, le chiese, le strade, l’approdo che chiamavano porto; il necessario legame con la campagna attraverso il cibo, il grano e quel vino un po’ barocco che era la tintilia, oggi dopo tanto tempo riscoperto. Intorno i campi, le dune tra il Sinarca e il Biferno, le torri storiche erette per difendersi dai pirati saraceni, il bosco che ancora toccava la città e la costa animata dai pescatori.
Così nacque il turismo.
E ora dove siamo? In quale tempo? La risposta ci riconduce ai giorni nostri, a questa fase di crisi o di passaggio dal turismo di massa, che tanti problemi ha creato agli ambienti costieri italiani, al turismo dell’esperienza dove lo scopo non è più quello di scoprire i luoghi ma di viverli, entrando nelle pieghe della loro identità, alimentandola, senza infoltire le folle dei turisti ma mescolandosi con la vita locale, le tradizioni, i cibi, i riti e le ansie della comunità. A volte pare che Termoli non sappia dove guardare. Occorre riposizionare lo sguardo, vedere dentro la città senza dimenticare ciò che le sta intorno, pensarla come uno straordinario punto d’incontro fra la terra e il mare, tra il Molise e il mondo, un ricco contenitore di vita e d’esperienze, un avamposto verso l’altra sponda posizionato in un sistema di approdi che disegnano l’Italia dell’Est, un luogo dell’oriente italiano rivolto verso Nord come l’ago di una bussola. Ricostruire una visione della città futura e del suo mare, senza consumo di suolo e senza cemento, non limitandosi a programmi di breve periodo: è questa la sfida che l’attende.
Così Termoli può tornare ad essere una città che si affaccia sull’Adriatico e sul contemporaneo. Un Adriatico dimenticato che riprende il cammino, che può farsi vivo e moderno se saprà trovare in sé stesso le risorse per rinascere, se riuscirà a divenire comunità, un tutt’uno con la terra che bagna, a integrare percorsi, persone e culture, come in fondo ha sempre fatto, con fasi alterne, nelle lunghe stagioni trascorse.

di Rossano Pazzagli (dal n.ro di Nov di La Fonte)

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