• 10/13/2021

Territorio e domanda di legalità

Il Molise non è esente da rischi di infiltrazioni criminose e non è isolato

di Letizia Bindi (da lafonte.tv)

13 ottobre 2021

Back

La mia riflessione si è articolata leggendo il testo recentemente pubblicato da Giovanni Mancinone, Molise criminale. Quello che gli italiani non sanno su un crocevia di affari, omicidi, armi, droga, terroristi e latitanti (Soveria Mannelli, Rubbettino, 2021), ma riprende una serie di considerazioni che hanno attraversato la ricerca e l’impegno degli ultimi anni e i dibattiti intrattenuti con amici, colleghi, persone a vario titolo attente e impegnate a difendere la tenuta democratica e legale di questa piccola e complessa regione.

La prima idea che emerge è proprio questa: il Molise non è esente da rischi di infiltrazioni criminose e non è isolato, ma al contrario è terra di attraversamenti e per ciò stesso presenta contatti, commistioni, talora connivenze che lo allontanano dall’immaginario riposto e schivo, inedito – come lo definì Eugenio Cirese – e modesto della “gente buona”.

Al tempo stesso ha una configurazione e delle caratteristiche demografiche (montagne, boschi, paesi molto interni e spopolati) che lo rendono interessante come luogo in cui nascondersi o rifugiarsi sotto copertura e per questo non è un caso che numerosi collaboratori di giustizia e persone sotto copertura siano o siano stati presenti sul territorio regionale. Questo, insieme al transito di alcuni criminali ‘importanti’ nelle carceri molisane, ha fatto sì che col tempo si affacciassero sul territorio regionale ogni tipo di linea di sviluppo criminale: dalla ricettazione allo spaccio internazionale, dalle armi agli omicidi su commissione, dall’usura all’abuso edilizio, dai crimini di mafia al terrorismo.

Emergono dal testo linee di articolazione di questo contesto piccolo eppure articolato di crimini e misfatti, ma anche figure e reti di tutela della giustizia e di impegno per la sua difesa rilevanti: persone che hanno donato la propria vita in loco o espletando il loro servizio altrove per la tutela della legalità e ancora funzionari, avvocati, procuratori, giudici che hanno sfidato facili convenzioni e forti pressioni per appurare fino in fondo la verità dei fatti e punire chi si era reso colpevole di crimini.

Al tempo stesso però si rileva anche la spessa tessitura di reti criminose: le coperture, l’indifferenza, la distrazione e noncuranza di chi avrebbe dovuto vigilare e non lo ha fatto. Questo ha determinato conseguenze anche molto gravi, specie quando i crimini commessi andavano a ledere le vite di qualcuno o ancora quando determinavano conseguenze capaci di ledere l’intera popolazione locale, come nel caso dei crimini nei confronti dell’ambiente e del territorio.

Il caso dei rifiuti nascosti in un terreno di quattro ettari a ridosso del mare a Campomarino, come già decenni prima era accaduto invece con i rifiuti speciali nascosti in uno scantinato di Castelmauro, introduce al tema delicato e cruciale dell’illegalità che ferisce e condanna il territorio. Intorno a questo il testo di Mancinone apre delle piste di approfondimento, ma è come se si riservasse di approfondirle in futuro, dato che molti dei procedimenti e delle attività a rischio di infiltrazione criminale sono in atto.

Le linee di questo lavoro su territorio e illegalità si muovono in molte direzioni, come ancora Mancinone suggerisce: l’eolico, il fotovoltaico, lo smaltimento dei rifiuti e le molte verità occultate in merito ai rischi per la salute e i costi reali di queste operazioni. Si allunga su alcuni di questi ‘miraggi’ delle energie rinnovabili o sulla possibilità di impianti di gestione e riciclo dei rifiuti ‘sostenibili’ l’ombra della criminalità organizzata, le perizie commissionate ad hoc per non interporre freni alla realizzazione degli impianti, la distrazione o interesse puramente utilitaristico dei cittadini. Al tempo stesso si dipana attraverso altri ‘miraggi sviluppisti’: i grandi impianti turistici sulla costa come il progetto ‘South Beach’ sulla costa di Montenero di Bisaccia – insostenibili quanto obsoleti -, le operazioni di ‘svendita’ del territorio, ammantate di nuove, luminose prospettive: le case a 1 euro, gli incentivi per tornare. Fa tutto parte, per certi versi, di una medesima logica che tiene insieme uso scellerato dei suoli, spreco, mancanza di visione e un’idea, ripiegata e da colonia dimenticata, di un territorio e di una collettività.

La sensazione che si ricava dalle informazioni – quelle pazientemente raccolte da Mancinone, quelle che andiamo raccogliendo e segnalando di volta in volta anche dalle pagine de la fonte -, così come da ciò che è possibile riscontrare continuando a vigilare giornalmente su quanto accade, è che vi sia una lenta occupazione, da parte di interessi più o meno occulti e criminali, nei gangli dell’economia e della società civile molisana e che queste importanti pressioni in modo crescente siano riscontrabili anche nelle pressioni che probabilmente vengono ad esercitarsi nella governance del territorio e delle istituzioni.

Sorgono spontanee delle domande dinanzi a questa lettura e riflettendo su quanto ne emerge: domande che si traducono in potenziali nuove piste di indagine e vigilanza, per l’appunto. Il territorio molisano è diffusamente segnato da infiltrazioni malavitose e da un orizzonte di illegalità o si tratta comunque di una presenza sporadica? Ambiente, territorio e produzioni agro-alimentari rappresentano uno degli ambiti rilevanti o maggiormente a rischio di illegalità?

Dovremmo ritenere la retorica del silenzio dei pastori e degli agricoltori solitari, ad esempio, un tratto specifico del territorio e della composizione socio-culturale molisana che favorisce o avrebbe favorito, in qualche misura, il diffondersi della criminalità a livello territoriale?

Abbiamo coscienza di quali e quanti rischi alcuni dei crimini verso l’ambiente e il territorio abbiano creato e stiano creando alle popolazioni residenti in Molise? Di questo ho parlato, ad esempio, con le “Mamme per l’ambiente e la salute”, un’organizzazione di volontariato con base a Venafro, da anni attiva su questi temi e alcuni dati sono davvero sorprendenti e desolanti, specie se si considera la gestione già di per sé controversa ed equivoca del sistema sanitario e di prevenzione a livello regionale che lascia i cittadini ancora più soli e disarmati.

L’ultima domanda che mi pongo è circa il ruolo che possono avere oggi i movimenti e le associazioni nella salvaguardia dell’ambiente e nella prevenzione dei disastri o crimini di carattere ambientale e connessi a inquinamento e nell’ evitazione dei conseguenti danni per la salute dei cittadini. In un periodo in cui non si fa che parlare di partecipazione dal basso e di cittadinanza attiva, il rischio per questi movimenti e collettivi ‘scomodi’ di rimanere inascoltati si fa molto alto, schiacciati dalla grancassa di una comunicazione appiattita sui poteri forti e sul paradigma sviluppista ed estrattivo a tutti i costi.

Una ragione in più per aver cura di questi gruppi e di tutti i lavori di indagine e denuncia che tentano di sollevare il velo di omertà compiacente e conforme tanto più assordante in un contesto affollato di voci e di ri-velazioni quale quello della comunicazione contemporanea.

di Letizia Bindi (da lafonte.tv)

Back