• 04/01/2019

Un figlioccio particolare

I racconti di Vincenzo Colledanchise hanno la maturità che solo il trascorrere del tempo può produrre

di Vincenzo Colledanchise

1 aprile 2019

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La mia ragazza partì con pochi spiccioli per Termoli nel 1976, dove ebbe a frequentare un corso infermieristico presso il locale Ospedale S. Timoteo.

Dopo aver svolto il corso ospedaliero fu collocata al Nido, nel quale amava vedere nascere tanti pargoletti. 

Solo dopo qualche mese di lavoro, vide nascere Marco che i parenti accolsero con grida di disperazione, perché il bimbo era privo di una gamba.

La mia ragazza fu turbata da questa inaspettata, inusuale accoglienza per quella sfortunata creatura, che la indusse a riversare verso il neonato tutte le sue premure ed affetto.

La mamma se ne accorse e ne rimase tanto confortata da invitarla a battezzare Marco. Per tale motivo, essendo allora io fidanzato della infermiera, divenni compare di quest’ultima prima che divenissi suo consorte.

La sera che battezzammo Marco nel suo paese pugliese, prossimo al Molise, non fu affatto evento felice.

Apprendemmo allora che la mamma stava per divorziare dal marito e fra i parenti dominavano attriti e nel contempo tanta tristezza per quel bimbo doppiamente sfortunato.

Marco fu cresciuto dai nonni materni fino a quattro anni perché la madre lavorava in Germania. Tornata dalla Germania, una triste sera la mamma ci richiese la cortesia di accompagnarla all’Orfanotrofio di Cercemaggiore dove lasciammo Marco in un pianto sfrenato. 

La comare dovendo lavorare non poteva accudire al figliolo. In seguito si unirà ad un buon uomo tedesco che accolse Marco all’età di sei anni nella sua casa bavarese come un figlio. 

Quando Marco fece la prima Comunione, da buon padrino, non potevo esimermi dal raggiungerlo in Germania per essergli accanto nei festeggiamenti e un lauto pranzo fu consumato addirittura in un castello della Selva Nera. 

Ma la mia sorpresa più grande fu vederlo senza protesi saltare come un grillo da una stanza all’altra della casa. E meraviglia più grande fu all’indomani, quando fui invitato a seguire la sua partita di basket durante la quale Marco cadeva con molta frequenza, senza mai farsi male.

Sbalordito, dopo la partita, andai a chiedergli come mai non avesse mai riportato danni nelle ripetute cadute e con mia grande sorpresa ebbe a rispondermi che fin da piccolo si era abituato a cadere sempre e solo con la gamba finta, quella munita di protesi.

(Foto: nel paese bavarese di Marco in occasione della 1^ Comunione)

di Vincenzo Colledanchise

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